Sono le quattro del mattino quando il battello giunge a Namlea, capitale dell’ isola di Buru. Credo che l’oscurità si addice ad un’isola che ha una storia di campo di prigionia.
Sono giunto sull’ isola di Buru per rintracciare i passi di mio padre, Hersri Setiawan, che era stato un segretario generale dell’organizzazione culturale della sinistra Lekra a Giava Centrale.
Era rappresentante del comitato nazionale indonesiano per l’ufficio dell’Africa- Asia a Colombo.
Fu arrestato nel 1969. Dopo essere stato tenuto in varie prigioni di Giacarta, fu mandato a Buru nel 1971 insieme ad altri dodici mila.Lontar Foundation
A prima vista resta poco della storia di Buru come campo di prigionia. Le barracche dei prigionieri sono state demolite da tanto tempo. Ma ad un’osservazione più attenta il passato di Buru come campo di lavoro non è poi così distante.
Quando a Buru giunsero i prigionieri politici dal 1969 in poi ripulirono la terra, costruirono strade, campi di riso e crearono villaggi. Questo lavoro era inteso come una punizione per i prigionieri, ma lo scopo ultimo delle autorità era di prparare Buru all’arrivo degli emigranti indonesiani. Si riferivano a Buru come un luogo di utilizzazione oppure come Luogo di riabilitazione.
Prima dell’arrivo degli emigranti a cominciare dal 1972 si sistemarono a Buru le famiglie dei prigionieri politici- A loro fu permesso di spostarsi nell’isola per unirsi ai membri prigionieri.
I prigionieri che si erano riuniti con l famiglie non furono formalmente rilasciati ma fu dato loro un po’ di libertà e di vivere in case, alcune delle quali ancora restano, piuttosto che nelle baracche. Spesso li occupano le famiglie di ex-prigionieri politici, quando alcuni scelsero di restare a Buru dopo il rilascio dei prigionieri dal 1977 in poi.
I prigionieri politici costruirono altre costruzioni come le scuole. Nel villaggio di Savanajaya a venti chilometri tra Namlea i prigionieri politici costruirono la locale scuola elementare, ed i bambini dell’isola di Buru avevano ed ancora hanno gli ex prigionieri politici come loro docenti. Nelle altre isole indonesiane ai prigionieri politici era vietato insegnare.
Di fronte alla scuola di Savanajaya si erige la sala delle arti, costruita dai prigionieri politici ed usata per gli spettacoli di intrattenimento per i prigionieri e guardie. La sala funziona ancora come luogo per rappresentazioni e incontri della comunità. Nel 2014 la sala fu rinnovata col finanziamento del governatore di Maluku. I lavori scontentarono molte famiglie di prigionieri politici a Buru perché non furono consultate. Queste famiglie hanno salvato i pali originali di legno della costruzione, visti come parte della loro storia, che sono stati sostituiti da cemento armato
Molto vicino a questa sala c’è un monumento che allude alla storia di Buru come campo di prigionia segnando la nascita formale del villaggio di Savanajaya. Per tant ex prigionieri politici il monumento è un simbolo della repressione.
Esistono altri simili monumenti nell’isola. Sulla spiaggia di Sanleko dove molti prigionieri approdarono su Buru, è stato stabilito un parco di divertimenti nel 1972, chiamato ironicamente Servizio della Vittoria, Jaya Bakti, che fu aperto dal comandante Rangkuty, famoso per la sua crudeltà tra i prigionieri. Rangkuty divenne poi sindaco di Medan dal 1980 al 1990.
Questi monumenti rappresentano la storia di Buru come uno sviluppo: la creazione dei villaggi, persino i parchi. Il prezzo di questo sviluppo comunque è scarsamente visibile, simboleggiato dalle lapidi delle tombe dei prigionieri politici. Consumate dalla natura e coperte di muffe, permettono ancora appena di leggere i loro nomi.
Gli estesi campi di riso per l’isola rappresentano ancora l’eredità più tangibile del lavoro della comunità degli ex prigionieri politici. La produzione di riso è ancora una delle fonti di entrate per l’isola di Buru insieme all’olio di eucalipto, copra, noci, spezie e, più di recente, le miniere di oro.
Nel 2015 il presidente Jokowi fece visita a Buru, secondo presidente dopo Yudhoyono nel 2006. Durante la sua visita Jokowi incoraggiò gli abitanti ad accrescere la resa di riso come parte del programma di governo di raggiungere l’autosufficienza nella produzione di riso. Il governo prevede che l’isola di Buru diventi la principale fonte di riso per la parte orientale dell’arcipelago e Jokowi, a questo fine, ha promesso assistenza materiale e finanziaria, invitando il governo locale a regolare l’attività mineraria. Infatti la produzione agricola è diminuita perché molti agricoltori hanno trasformato i loro campi in miniere di oro che certamente sono più redditizie.
La produzione di riso a Buru, e particolarmente l’obiettivo più vasto di fare dell’isola un centro della ricerca indonesiana per raggiungere l’autosufficienza alimentare, non lo si può separare dalla storia di Buru come campo di prigionia. Fu il lavoro forzato dei prigionieri politici dal 1969 al 1979 a rendere possibili questi campi di riso. Tanti ex prigionieri hanno espresso il proprio disappunto alla mancanza di riconoscimento da parte dello stato indonesiano del loro contributo allo sviluppo di Buru.
Oggi l’isola di Buru è per lo più abitata da emigranti che giunsero nell’isola alla fine degli anni 70 con la promessa di ricevere non solo la terra, ma risaie pronte. Molti di loro non avevano esperienza di coltivatori e furono i prigionieri politici ad insegnare loro come lavorare la terra.
Dice Untung, un emigrante dell’isola di Giava: “Suharto ci diceva che i comunisti erano cattivi. Ma quando giunsi qui loro mi mostrarono come irrigare e piantare il riso”.
Mentre lo stato deve ancora riconoscere il lavoro e la sofferenza dei prigionieri politici, persone come Untung non hanno mai dimenticato il contributo dei prigionieri politici allo sviluppo dell’isola di Buru.
Ken Setiawan, Inside Indonesia