Ma la reputazione famosa del paese per i sorrisi e per la serenità non dovrebbe illudere il mondo che questa nazione tropicale non possa scivolare nella guerra civile, dice Sriwan Chunpong di Chang Mai.
“Guardate al medio oriente, alla Cina, alla Russia. E’ accaduto dappetutto. Potrebbe accadere anche qui”.
Da mesi la Thailandia diventa sempre più paurosamente caotica, con un parlamento che manca da dicembre e le cui elezioni sono state boicottate e sabotate, nel mezzo di invasioni di ministeri, blocchi di parti della metropoli Bangkok e minacce di sequestro del premier.
Storicamente una situazione del genere causava un golpe e sono 18 i golpe da quando si abbandonò il governo diretto del Re nel 1932. Uno ogni cinque anni, la solita risposta delle forze armate che entravano in campo, deponevano il capo di governo e ne installavano un altro prima di nuove elezioni.
Ora la situazione è diversa e le forze armate stanno ferme, perché la divisione del paese è così profonda che una presa del governo innescherebbe una guerra civile. La gran parte dei thailandesi teme questa eventualità tranne che Mahawon Kawang. E’ un membro influente del più grande movimento politico, le magliette rosse.
“Vorrei che avvenisse quanto prima” dice Mahawon, radio DJ e amico di infanzia di Yingluck, conosciuto per i suoi sermoni contro i golpisti e le elite del paese. “Ho fiducia che in tanti la pensano come me”.
Perché una persona che ama il suo premier e odia i golpe ne desidera uno? A suo dire il prossimo golpe galvanizzerà le masse che entreranno in una resistenza armata, che darà una lezione agli aristocratici del paese, ai generali e ai giudici e dire loro che non potranno più cacciare i governi eletti.
“E’ una situazione agli inizi minuscola che ora attende di esplodere” dice Mahawon. “Se scoppiasse una guerra civile la Thailandia cambierà per sempre. Facciamola finita.”
Le magliette rosse sono composte per lo più di classi lavoratrici e rurali e come blocco di voti ha definito la politica thailandese del XXI secolo minacciando la presa secolare sul potere di Bangkok. Hanno ripetutamente eletto capi populisti in favore dei poveri che vengono poi regolarmente cacciati o dalle forze armate o da ordini della magistratura per accuse di corruzione. L’attuale crisi minaccia di dare un altro colpo simile.
Ed allora le Magliette Rosse stanno cambiando in una direzione incredibile. Parti del movimento parlano apertamente di resistenza armata ed organizzano i sostenitori a resistere con la forza contro un golpe potenziale, una smargiassata facile. Forse tentano un bluff o sono troppo fiduciosi. E mettendo in onda i piani di una lotta armata si avvisano le forze armate che non gradiscono una guerra civile difficile. Ma si è già andati al di là della retorica.
In passato le magliette rosse hanno provato di voler aprire il fuoco in autodifesa. Mentre si chiedevano nuove elezioni nella primavera del 2010, hanno trasformato parti di Bangkok in accampamenti protetti da doghe di bambù e filo spinato. Quando le forze armate tentarono un’incursione notturna in uno dei loro campi, una milizia misteriosa cacciò le forze armate con fucili e granate. Uccisero un colonnello, sfilarono le armi dalle mani di soldati impauriti e persino smantellarono veicoli armati. Tre soldati furono detenuti e i fucili sequestrati furono accatastati in bella vista. Questa risposta senza precedenti diede un messaggio alla nazione: siamo capaci di usare le armi.
Secondo le magliette rosse le elite del paese manovrano militari e tribunali per sabotare direttamente la democrazia che favorisce le masse meno ricche. Ora sono determinare ad assicurare che la prossima presa del potere sarà l’ultima.
Vari elementi del movimento si preparano apertamente al conflitto, reclutando, assicurando l’accesso allearmi, approntando le donne per la catena di rifornimento e assicurando che i propri uomini sappiano usare le armi.
Mirano a mobilitare 500 mila persone per lo più dal cuore agricolo del riso del settentrione. “Abbiamo molti che son ostati soldati. Hanno completato i due anni di militare obbligatorio. Possono usare armi pesanti” dice Pichit Tamoon ex ufficiale di polizia diventato operativo delle magliette rosse che assiste nel reclutamento a Chiang Mai, luogo natio del premier e zona turistica giovanile.
“Davvero, chiuqnue abbia più di 30 anni sa maneggiare un fucile. Siamo cacciatori dopo tutto. La maggior parte non porterà artiglieria pesante. Solo armi leggere come bambù e coltelli. Ma in ogni distretto compiliamo liste di volontari con esperienza militare” dice Pichit. Uno dei vice segretari del premier, Suphon Attawong, chiamato Rambo, ha anche detto che “saranno reclutati 600 mila volontari protettori della democrazia” che saranno addestrati da un generale in pensione.
Non voglio vdere distrutto il mio paese” dice Pichit “Ma bisogna prepararsi allo scenario peggiore che richiede una preparazione seria.”
La discussione sulla guerra civile prima era riservata ai teorici tromboni. Quella paura ora è diffusa. L’implicazione è enorme: la Thailandia è una delle più forti economie della regione ed è il più vecchio alleato americano in Asia.
Il conflitto thailandese è fortemente complesso. Ogni parte ha degli ideologhi eccelsi, opportunisti corrotti, finanzieri ricchi ed elementi armati in ombra. Ma la lotta si divide generalmente lungo le regioni e le classi.
Dalla parte delle magliette rosse: un nord delle campagne conscio politicamente ed una classe media povera delle città che ha cambiato lo status quo eleggendo capi che incanalavano risorse verso i poveri e le campagne.
Dall’altro lato la vecchia guardia di Bangkok composta di ricchi ed influenti devoti della famiglia reale, la classe media da negozi e capi dell’esercito. Le elezioni non sono andate bene per questo gruppo piccolo ma ricco. Sono stati superati nei numeri.
Il partito favorito delle magliette rosse, Puea Thai, attualmente detiene il potere con una presa, però, debole. Guidato da Yingluck Shinawatra, sorella dell’ex premier e miliardario Thaksin cacciato da un golpe del 2006, il partito al governo è assediato su vari fronti.
Primo: l’autoproclamato movimento di strada del “golpe della gente” che ha invaso i ministeri, minacciando gli elettori durante le elezioni ultime e persino lottato con granate e proiettili contro la polizia. Loro vogliono sradicare del tutto la famiglia Shinawatra alleata delle magliette rosse, un clan di Chang Mai di nuovi ricchi che, nella propria ascesa verso la notorietà, sono in rotta di collisione con gli aristocratici.
Lo scopo utopico di un “golpe del popolo” è di rimpiazzare un governo eletto con un consiglio di non eletti. L’assemblea dei prescelti dovrebbe purificare la nazione dalla corruzione e restaurare le elezioni in qualche futuro incerto. La cosa svuoterebbe l’elettorato del nord deriso per essere facilmente comprabile e troppo poco istruito per eleggere dei giusti capi.
Il movimento del Golpe del Popolo sostenitore dell’elite sta anche sostenendo i casi di corruzione nel sistema giudiziario. Varie accuse minacciano di mettere il premier sotto accusa e chiudere il suo partito. Ma qualunque dissoluzione del governo eletto è considerato dalle magliette rosse come un golpe, la linea rossa che accenderebbe una resistenza armata.
Dovesse succedere, le magliette rosse isolerebbero il nord della Thailandia e inviterebbero il primo ministro a ricollocarsi nella natia Chang Mai, dice Mahawon ed altri. “Concederemo probabilmente Bangkok. La gente del nord ha già previsto questa possibilità”
Quello che potrebbe servire, a suo dire, è una campagna per affamare la capitale del riso che nasce nel nord e dell’elettricità che proviene dalle dighe costruite nel nord. Sostenitori sarebbero impiegati per bloccare le strade da qualunque intrusione non gradita.
La divisione politica si ha anche nelle forze di sicurezza. La polizia è generalmente vista come simpatizzante delle magliette rosse. La grande maggioranza dei generali sono legati alla vecchia guardia a Bangkok. Quello che Pichit ed altri capi delle magliette rosse prevedono è una lotta tra i militari e le forze di polizia alleate delle magliette rosse, civili reclutati e disertore delle forze armate. Benché non abbia ammesso l’accumulazione di armi, un crimine serio nella Thailandia, Pichit dice che è facile trovare le armi. Qualunque stazione di polizia ne ha armi pesanti compresi gli M16 e fucili di assalto.
“La polizia coopererà. Immaginate 2000 magliette rosse che circondano una stazione di polizia e che dicono ‘possiamo prendere in prestito le vostre armi?’ Se viene la guerra civile la polizia sarà fondamentale. Hanno armi pesanti, armature e veicoli corazzati” dice Pichit.
Parlare di isolare parti del paese con milizie armate evoca il separatismo, punibile con la prigione a vita. La dirigenza delle Magliette Rosse ha ripetutamente rigettato le accuse che cerano di dividere il paese. Le magliette rosse che promuovono il separatismo sono una netta minoranza “che si lascia prendere dalla più brutta amarezza” dice Mahawon. Il movimento si considera come protettore del sistema democratico della Thailandia e vede ogni pianificatore di golpe come un aggressore. Una eventuale divisione tra Bangkok e il nord sarebbe solo un male temporaneo necessario per vincere questi aggressori e restaurare un governo eletto.
La dirigenza centrale ha anche promesso di non assemblare unità armate, affermazione che sembra contraddire le spinte al reclutamento attuale come pure altri articoli del GlobalPost. Ancora persino la retorica dai capi delle magliette rosse tradiscono un oscuro calcolo.
Il nuovo capo del movimento, Jatuporn Prompan, subentrato da poco, ha detto di non voler vedere “la situazione attuale degenerare come il Ruanda o la Cambogia” e ha proclamato che “se finisce la nostra pazienza e non possiamo tollerarlo, dobbiamo lottare e la situazione prenderà un nuovo verso. Il mondo ricorderà la nostra battaglia”.
Jatuporn ha anche messo in guardia che, nel caso che il governo fosse cacciato, “sarebbe possibile un caos che porterebbe alla guerra civile” secondo il bangkokpost. Jatuporn ha detto di aver provato a convincere elementi delle magliette rosse che favoriscono la violenza a “ritornare verso i nostri ragionamenti che si attendono sui metodi pacifici”.
Ma l’ascesa di Jatuporn suggerisce la discesa sul piede di guerra. L’esuberante ex parlamentare deve ancora rispondere delle accuse di terrorismo per alcune manifestazioni turbolente di quattro anni fa a Bangkok. E’ apertamente disprezzato dal capo delle forze armate che lo considera un bandito e che avvisa che l’ostilità delle magliette rosse verso i militari sarà vista con aggressione.
Yingluck, le cui dichiarazioni sono sempre rose e fiori, di recente ha detto che la politica thailandese è discesa in un circolo vizioso di illegalità. “Se continuano ad inseguirci fino a quando non abbiamo spazio dove stare, allora quelli che subiscono questa violenza risponderanno” ha detto Yingluck.
“Non possiamo negare la nostra relazione stretta con le magliette rosse. Hanno lottato duramente per la democrazia soffrendo parecchio” ha detto Suranand Vejjajiva, segretario generale del Premier. “Ci sono elementi che useranno la forza” ha aggiunto Suranand ma il premier non riesce a controllarli. “Siamo preoccupati per quello che succederà nel caso di un golpe”.
Le magliette rosse non desiderano trasformare il nord in un nuovo stato, dice Singkham Nanthi, uno dei capi originali del movimento. Ma una lotta per porre fine ad un sistema feudale, una gerarchia che ci vede al fondo” potrebbe portare a conseguenze non previste.
Se si divide la Thailandia non sarà quella di una campagna separatista che si contraddistingue. Nessuno farà una decisione di per sé. Il paese si dividerà automaticamente” dice Singkham. “Il paese potrebbe dividersi come le Coree.”
“Se mi lascio andare a parlare, farò la parte di un poveraccio. Se dico che abbiamo combattenti e gruppi di reclutamento, le parole possono essere usate contro di me. Ma fidatevi che siamo preparati” dice Singkham. In precedenza ha aiutato nella pianificazione logistica ed ha offerto la sua flotta di 2500 camion per la futura resistenza.
“Abbiamo avuto troppi golpe e prese di potere. Siamo stanchi. L’alta società non può lottare con noi faccia a faccia. Hanno paura di essere colpiti. Si dissolveranno e correranno via”.
Se hanno davvero il cuore e le risorse per un conflitto totale è difficile da determinare. Parte dei loro calcoli assume che l’alta società è fiacca, terrificata del dolore fisico e se ne andrà in massa dal paese.
Un altro fattore cruciale: i soldati disertori. I militari thailandesi sono reclutati e tanti vengono dalle regioni che simpatizzano per le magliette rosse. Vari dirigenti operativi affermano che nel caso di una guerra civile alcuni capi militari potrebbero disertare e portare i propri subordinati con sé. Quando le magliette rosse respinsero unità dell’esercito nel 2010, la loro resistenza non durò. I campi elle magliette rosse furono repressi con munizioni vive che lasciarono oltre 90 morti e la periferia di Bangkok in fiamme. “Abbiamo appreso la nostra lezione” dice Pichit, operativo del reclutamento. I sostenitori di massa erano disarmati, dice. “Cosa successe? Morti. Feriti. Ora lo sappiamo meglio”.
La rete delle magliette rosse è anche decentralizzata e con dissensi. Alcuni sono fortemente leali al ricco clan dei Shinawatra. Altri spinti da una missione ideologica di porre fine ad una gerarchia sociale di secoli. Alcune parti potrebbero scegliere di lottare mentre altri allontanarsi dal combattimento. E’ anche difficle immaginare le reclute delle magliette rosse, impiegati dei negozi, meccanici, contadini e quant’altro, sopportare una guerra sostenuta e sanguinosa.
Questo scontro potenziale secondo Pichit è ancora reversibile. Se si permette ai governi eletti di completare il loro mandato senza interruzioni militari e dei tribunali i piani di resistenza resteranno sulla carta. “E’ deprimente parlare così. Non voglio vedere il mio paese distrutto. Diciamo alle elite ‘Non potete ritirarvi?”
Ma la reputazione famosa del paese per i sorrisi e per la serenità non dovrebbe illudere il mondo che questa nazione tropicale non possa scivolare nella guerra civile, dice Sriwan Chunpong di Chang Mai. “Guardate al medio oriente, alla Cina, alla Russia. E’ accaduto dappetutto. Potrebbe accadere anche qui”.
Patrick Winn, Global Post