Lo scorso anno le Filippine portavano dinanzi al Tribunale Arbitrale dell’ONU un reclamo contro le azioni aggressive della Cina nel Mare Cinese meridionale (anche Mare Filippino occidentale).
Come disse un esperto vietnamita di diplomazia della Cina “i cinesi furono colti impreparati ed erano davvero imbarazzati”.
Fu un colpo da maestri quello del governo filippino che mise la Cina sulla difensiva, secondo un altro analista vietnamita, e che spinse la Cina, lo scorso anno, ad accettare, in linea di principio, a tener discussioni con l’ASEAN su un Codice di Condotta per il corpo dei mari in questione, definiti in vario modo dalla Cina che lo considera mare cinese meridionale, il Vietnam che lo considera Mare Orientale e per le Filippine che lo chiama Mare filippino occidentale.
La cooperazione tra Vietnam e Filippine è l’ultimissimo sviluppo che segue alle affermazioni territoriali aggressive cinesi. Nel 2009 la Cina presentava la cosiddetta mappa “delle cinque linee” dove si reclama l’intero mare cinese meridionale, lasciando agli altri quattro paesi che vi si affacciano nient’altro che le dodici miglia delle acque territoriali.
In applicazione di questa politica le navi di sorveglianza cinese hanno costretto i pescatori filippini a lasciare la Secca di Masinloc che giace entro la zona esclusiva economica Filippina. Più di recente i cinesi hanno provato a disperdere le imbarcazioni filippine che si avvicinavano alla Secca con cannoni ad acqua.
Inoltre le navi cinesi hanno impedito le imbarcazioni filippine che volevano rifornire una guarnigione militare sulla secca di Ayungin nelle isole Spratley.
Il lato negativo della mossa legale di Manila è che le Filippine sono diventate l’obiettivo primario di Pechino rimpiazzando Hanoi come rivale principale nell’attuale disputa.
“Vi stanno isolando” diceva un esperto della Cina presso l’Accademia diplomatica di Hanoi “mentre le relazioni tra Vietnam e Cina tornano alla normalità.”
Nonostante il frequente scambio di visite, “ci prende sempre un brivido. In termini di paesi mal visti nell’ASEAN, noi siamo al nono posto e voi al decimo. Alla lunga però il Vietnam è il principale problema strategico di Pechino.”…
I Vietnamiti si trovano in una bella posizione per analizzare il governo cinese sia perché hanno lottato contro la Cina a periodi intermittenti per un millennio, sia perché hanno modi molto simili di interpretare gli sviluppi politici. Sono governati entrambi da partiti comunisti con una tendenza leninista comune, ma la loro ideologia in comune è marcata comunque da interessi nazionali in conflitto.
Come interpretano i vietnamiti la mappa dalle Nove Linee che virtualmente definirebbe l’intero corpo marittimo come territorio cinese? Ci sono varie scuole di pensiero. La prima vede la mappa come delimitatrice dei confini marittimi cinesi e non necessariamente possesso delle isole nell’area. La seconda la interpreta come se dicesse che solo le isole e altre formazioni terrestri appartengono alla Cina lasciando lo status delle acque circostanti ambigue. Una terza interpretazione è che tutto appartenga alla Cina, isole e acque circostanti.
C’è una quarta prospettiva, e sebbene ritenuta da pochi esperti, è intrigante. Secondo questi esperti la mappa delle Nove Linee è uno strumento di negoziato aggressivo. Secondo un esperto accademico e diplomatico, che ha esperienze di negoziato con i cinesi, lo stile di Pechino di risoluzione delle questioni territoriali ha i seguenti passaggi.
“Il primo è che le due parti si accordano sui negoziati che guidano i principi.
Secondo entrambe le parti stendono le mappe secondo le rivendicazioni territoriali proprie con la Cina che li spinge quanto più lontano possibile.
Terzo passo si paragonano le mappe per individuare le rispettive aree di conflitto. Quarto le parti negoziano per risolvere le aree della disputa. Quinto se c’è un accordo si disegna una nuova mappa. Infine si va all’ONU per legalizzare la nuova mappa.”
Nonostante le differenti opinioni sulle intenzioni cinesi, i vietnamiti sono uniti nel dire due cose fondamentali: la mappa delle Nove Linee è illegale; sono possibili solo negoziati multilaterali per un accordo duraturo e comprensivo alla luce del numero dei paesi che reclamano territori e della sovrapposizione delle rivendicazioni stesse.
Inoltre tra i vari esperti, per quanto differenti siano le loro letture dei motivi cinesi per portare avanti questa mappa, c’è consenso tra i vietnamiti che lo scopo strategico della Cina è di asserire il controllo completo del mare cinese meridionale. In altre parole lo scopo di Pechino è di trasformare legalmente l’area in una via d’acqua nazionale governata dalle leggi nazionali cinesi. Alcune delle leggi cinesi sono esplicite, come lo stabilire a Sansha City l’unità di governo domestico per l’intero mare e la recente approvazione della legge della pesca che richiede alle navi non cinesi di prendere una licenza dal governo cinese.
Altre sono più ambigue, come la questione della libertà di navigazione. Ambiguità che serve quando non hanno potere a sufficienza da eguagliare la propria ambizione. “Non c’è dubbio che quando raggiungeranno quel punto, di avere la forza per imporre la propria ambizione, sottometteranno l’area alla legge nazionale cinese” ha detto un esperto vietnamita.
Secondo uno studioso vietnamita il governo vietnamita sostiene, a livello informale, totalmente la posizione legale filippina ma non può sostenerla totalmente a livello pubblico. Lo si capisce da una risposta arguta di Nguyễn Duy Chiến ad una domanda dei giornalisti sulla posizione vietnamita circa la mossa legale Filippina.
“E’ la posizione coerente del Vietnam che tutte le questioni relative al Mare Orientale devono essere risolte con metodi pacifici sulla base della legge internazionale specialmente la legge dell’UNCLOS del 1982.” ha detto il vice presidente del comitato nazionale delle frontiere del ministero degli esteri.
“Secondo la nostra opinione tutte le nazioni hanno dil pieno diritto di scegliere i mezzi pacifici per risolvere le dispute in conformità della Carta dell’ONU e la legge internazionale compreso l’UNCLOS”.
In una visita a Washington il presidente vietnamita Truong Tan Sang ha attaccato la mappa delle Nove Linee come “legalmente infondata” restando comunque silenzioso se il Vietnam si sarebbe unito alle Filippine nel presentare un reclamo all’ONU contro la Cina, sebbene fosse veloce nell’aggiungere che come membro dell’ONU le Filippine “hanno tutti i diritti a portare avanti il procedimento che piace loro”.
Una parte delle ragioni per un esplicito sostegno vietnamita sembra essere che un giudizio sul caso chiarificherebbe le richieste non solo cinesi e filippine ma anche vietnamite, ed alcune implicazioni potrebbero non essere del tutto favorevoli al Vietnam. Ma soprattutto vi è il desiderio di non far arrabbiare la Cina in un momento in cui gli scambi di alto livello stanno riportando le relazioni tra i due paesi verso la normalità, o quasi.
Nonostante le esitazioni nel dare l’appoggio pubblico, lo sforzo ha attratto generale ammirazione nei circoli ufficiali in Vietnam ed un ambasciatore in pensione lo ha persino dichiarato “eroico”. Una ragione fondamentale della popolarità è che ha placcato la Cina e sconvolto i calcoli attenti di Pechino.
Secondo un esperto di diplomazia cinese: “la ragione della loro rabbia è che ora devono aggiungere ai cinque campi di battaglia, politico, diplomatico, massmediatico, di sicurezza e militare, anche un sesto campo, quello legale. I cinesi dicono ‘quando hai una bandiera in mano non la lasciare agli altri’” In altre parole Pechino si sente persa sul piano legale dove sono gli esperti in legge internazionale a decidere.
In una delle ironie della Storia, il Vietnam ha dato il benvenuto ai piani americani di accrescere la presenza americana nella regione e bilanciare la Cina. Nemici un tempo, Hanoi ha buone relazioni di sicurezza con gli USA la cui marina è stata invitata dal Vietnam a visitare la vecchia base navale sovietica a Cam Ranh pe bisogni logistici e di riparo delle navi.
Per la stessa ragione il Vietnam approva la controversa accresciuta presenza americana nelle Filippine, una posizione non nuova. Da paese alleato di sempre degli USA è nel ruolo delle Filippine chiedere agli USA di accrescere la propria presenza militare nel pacifico occidentale.
E’ la classica posizione leninista della logica del bilancio dei poteri: la Cina è la potenza in ascesa e gli USA in declino, per cui i deboli cioè Filippine, Vietnam, ASEAN e Giappone, devono fare patto comune insieme agli USA per contenere la nascente potenza imperiale.
Di fronte a questa logica, ho espresso in modo articolo il disaccordo con la logica. Essenzialmente non si può contare sugli USA per il sostegno ai propri reclami territoriali e non si può considerare che Washington sia solo interessata ad un bilancio di potenze, ma porterà avanti le proprie richieste strategiche ed economiche su una base da quid pro quo.
Inoltre invitare gli USA ad una maggiore presenza militare è controproducente se si vuole risolvere le dispute territoriali con Pechino. Una maggiore presenza USA trasformerebbe il contesto regionale in un conflitto di superpotenze marginalizzando perciò la questione territoriale e la possibilità di risoluzione. Senza considerare che l’invito a Washington a porre una maggiore presenza nelle Filippine significherebbe convertire il paese in uno stato di frontiera, come Afghanistan e Pakistan, con le terribili conseguenze che si porta con sé questo status, una subordinazione dello sviluppo economico alle priorità strategiche di una superpotenza.
E’ anche troppo presto dire se il declino americano è temporaneo o irreversibile. E’ istruttivo ricordare che gli USA risposero con forza negli anni 90 dopo che tanti esperti prevedevano un sorpasso giapponese inevitabile. In modo simile, non è scontato che la Cina rimpiazzerà gli USA, specialmente perché il suo modello di sviluppo legato alle esportazioni è in crisi e che Pechino non è affatto sicura di poter fare la transizione verso un percorso di crescita, guidata da un mercato interno, senza una massiccia sollevazione interna.
Infine una situazione di bilancio di potenze è instabile e capace di generare conflitti dal momento che, sebbene nessuno voglia la guerra, le dinamiche del conflitto possono sfuggire al controllo e portare la guerra. Proprio su questo punto notavo in una conferenza in Vietnam
“Le richieste territoriali aggressive cinesi, la teoria americana del Pivot To Asia e le mosse opportunistiche giapponesi costituiscono una trama volatile. In tanti osservatori notano che la situazione militare politica dell’Asia Pacifico sta diventando simile a quella dell’Europa della fine del XIX secolo con l’emergere di una configurazione fluida di politiche di bilanci di poteri. Nessuno oggi vuole una guerra come non la volevano le potenze della I guerra mondiale. Il problema è che in una situazione di dura rivalità tra le potenze che si odiano a vicenda un incidente potrebbe innescare catene di eventi che possano comportare una guerra regionale, se non peggiore”.
Gli ascoltatori vietnamiti hanno sentito ma sono restati poco convinti…..
Le Filippine e la USA sono alleati naturali nella lotta comune contro la spinta cinese per l’egemonia nell’Asia Orientale.
Già partner nell’ASEAN probabilmente saranno sempre più attratti dalla sfrontata manifestazione di forza della Cina mentre dà luogo alle sue richieste su quasi tutto il Mare Cinese Meridionale.
Entrambi si sono avvicinati agli USA cercando di usare Washington per bilanciare la presenza crescente militare cinese nella regione. Il Vietnam è stato più abile nel giocare la carta americana, affidandosi alle Filippine affinché invitassero ufficialmente una presenza militare americana espansa sul proprio suolo e mare, qualcosa che i Vietnamiti non accetterebbero.
Dopo aver sconfitto gli USA in guerra, i vietnamiti sembrano fiduciosi di poter gestire gli USA come alleato. Questo probabilmente spiega della mancanza di apprezzamento di una relazione differente che le Filippine hanno con Washington. Manila è sempre stata in una relazione dipendente rispetto agli USA ed una presenza americana espansa rafforzerebbe e approfondirebbe questa condizione, subordinando lo sviluppo economico e politico alle relazioni di sicurezza.
Eliminerebbe quindi il fragile spazio di manovra che il paese poté ricavarsi quando cacciò le basi americane nel 1992.
Il Vietnam può nuotare con gli squali e salvarsi, ma le Filippine in una analoga strategia di bilanciamento di poteri è costretta a finire dentro le fauci di uno di loro.
WALDEN BELLO, FPIF