Quando politici e governi sono cacciati per un capriccio; quando i capi sono accusati di avere non solo le mani ma le braccia nella cassa; quando il voto per i capi si riduce ad un concorso di bellezza tra celebrità; allora l’ ideologia va in vacanza e la politica si riduce ad un caso di presa del potere come un mezzo di autogratificazione.
In Indonesia l’ex ministro degli Affari Religiosi è stato invitato a dimettersi dopo essere stato accusato di aver deviato dei fondi che avrebbero dovuto essere usati per finanziare i pellegrinaggi alla città santa di Mecca.
In Malesia, un candidato al parlamento si è ritrovata ad essere l’obiettivo di una campagna di oltraggi in cui si distribuivano immagini di un’attrice straniera in bikini per dare ad intendere che fosse nuda.
In Thailandia l’esercito è entrato in campo per prevenire quello che sembrava uno stato crescente di tensione tra fazioni politiche opposte che ha portato il paese sull’orlo della guerra civile.
Per tutto il Sudestasiatico vediamo grossi esempi di politica di passione, ma senza alcun ancoraggio ideologico per poter dare a questi spettacoli un reale significato. Perché si ha questo?
Uno sguardo veloce a quello che accade nella nostra regione suggerirebbe che noi persone del Sudestasiatico contemporaneo ci siamo abituati ai mezzi e alle trappole della Modernità ma non ne abbiamo interiorizzato i suoi valori o idee.
Negli scorsi quattro mesi ho seguito la campagna elettorale indonesiana, per la parte legislativa prima ed ora per le presidenziali. Le mie osservazioni generali sono per lo meno fosche: le agenzie di statistica hanno notato che almeno il 50% della popolazione non crede più nei politici o nei partiti politici, mentre oltre il 50% pensa che vada benissimo accettare un regalo per votare un partito in particolare.
Questo livello basso di fiducia pubblica spiega la scialba campagna elettorale che si è vista finora, e i poveri risultati dei grandi partiti nell’elezione amministrativa. Ancora più preoccupante è il fatto che sia cresciuta al 30% la proporzione dei possibili elettori che hanno deciso di non votare. Eppure noi sosteniamo che ci sia qualche genere di normalità nel processo politico con le lezioni che si tengono su basi regolari. Il fatto che le elezioni siano diventate appunto uno spettacolo avrebbe dovuto far suonare l’allarme. La campagna elettorale indonesiana ha avuto la sua parte di fanfare e candidati celebri. In Thailandia un’elezione che il governo in carica era stata costretta a fare fu annullata.
In tali circostanze ci si meraviglia che tanti abitanti della regione, specie delle nuove generazioni che votano per la prima volta come Indonesia e Thailandia, sentano che le elezioni siano una frode e un metodo conveniente per assicurare il timbro della legittimità per un sistema altrimenti illegittimo?
Mentre accadono questi sviluppi intorno a noi, non dimentichiamo che nel giro di un anno la regione dell’ASEAN dovrebbe andare versi una integrazione ed unità più strette. Su che basi si pensa si fondi questa unità, se le popolazioni rispettive dei paesi non credono neanche nella legittimità del processo politico?
Il 2015 segnerà un punto di svolta enorme nella storia della nostra regione. Si spera che l’ASEAN uscirà dal ventre della Guerra Fredda e trasformarsi, con creatività ed intelligenza, in qualcosa di più di un patto tra governi che non vollero essere tirati dentro il pantano del dibattito della guerra fredda. Ma se deve essere così richiederà fiducia e legittimazione come blocchi fondanti.
Guardando allo stato attuale della politica nel Sudestasiatico sembra, comunque, che a mancare tra tanti stati della regione è l’educazione politica. Ed è specialmente vero quando si tratta di interiorizzare e rispettare le regole del gioco democratico.
Quando politici e governi sono cacciati per un capriccio; quando i capi sono accusati di avere non solo le mani ma le braccia nella cassa; quando il voto per i capi si riduce ad un concorso di bellezza tra celebrità; allora l’ideologia è in vacanza e la politica si riduce ad un caso di presa del potere come un mezzo di autogratificazione.
Questo equivale ad un tradimento di tutto ciò per cui lottarono i padri fondatori delle nazioni dell’ASEAN. Tra gli anni 30 e 50 un’intera generazione di capi politici, intellettuali, attivisti e studiosi lottarono a lungo e duramente per porre fine all’eredità coloniale e fare nascere nuovi stati nazione dove si volevano esaltare i principi del nazionalismo, cittadinanza ed uguaglianza davanti alla legge.
Quella generazione gridò contro la chiara ingiustizia di un ordine coloniale di conoscenza e potere che relegavano gli asiatici originari nella categoria dell’esotico, del primitivo e dell’assurdo. Ma oggi, lo stato nazione che un tempo era visto come un premio tra premi è diventato esso stesso vuoto. La politica democratica si è ridotta ad un processo di contrattazione tra le elite con aspirazioni di mobilità sociale verso l’alto.
Se lo stato deve essere semplicemente un mezzo per il miglioramento individuale e la politica ridotta a carrierismo, allora l’ASEAN del prossimo futuro sarà una priva di un credo, significato o contenuto ideologico. Gli abitanti di questa regione hanno bisogno di ritornare al tavolo di disegno e riapprendere la lezione delle generazioni precedenti di costruttori delle nazioni. E apprendere di nuovo l’importanza delle ideologie.
Farish A. Noor straitstime.com