Mentre si avvicinano le elezioni presidenziali dell’Indonesia, il ministro degli esteri indonesiano, Marty Natalegawa, parla della diplomazia nella regione e del bisogno di sensibilità nei negoziati.
Marty Natalegawa che emerge nel mezzo della gente in grigio per il suo elegante vestito gessato e per gli occhiali a montatura larga di marca, non è il solito diplomatico del sudestasiatico. Malgrado il tipo con calma sta forgiando la regione senza usare la diplomazia del megafono.
Nel luglio del 2012 giunse a salvare il blocco dell’ASEAN quando iniziò una missione di due giorni in cinque paesi per produrre una dichiarazione congiunta dei ministri dell’ASEAN dopo che non erano riusciti, la settimana prima, per la prima volta in 45 anni ad emetterne uno a Phnom Penh.
Il diplomatico di carriera cinquantunenne fu richiamato a casa cinque anni fa dalla sua posizione di rappresentante permanente all’ONU per essere il ministro degli estri nella seconda legislatura di Susilo Bambang Yudhoyono. Il padre di tre bambini e marito di una thailandese lasciò originariamente il paese nel 1976 per studiare per nove anni in Gran Bretagna. Nel 1985 conseguì un master in filosofia e tornò a casa per lanciarsi nella carriera diplomatica un anno dopo. Il giorno prima delle elezioni legislative Marty incontra, sempre bene vestito Southeast Asia Globe.
Quali sono i progressi fatti con il processo in sei passi per restaurare i legami tra Australia e Indonesia?
Le relazioni bilaterali tra Indonesia ed Australia non state molto positive negli scorsi dieci anni. Per la situazione specifica in cui ci troviamo, il presidente Yudhoyono ha individuato sei passaggi per riportare le relazioni sul giusto percorso. Ora iniziamo il secondo passo: discutere un codice di condotta. Richiediamo essenzialmente la riaffermazione del quadro fondamentale e dei principi delle relazioni bilaterali. Gli elementi chiave nell’impegno sarebbero per l’Australia di non impiegare i loro servizi segreti in attività che contrastano con gli interessi dell’altro paese. E’ un tipo di spirito che vorremmo catturare.
I critici affermano che i chiedenti asilo sono le vittime di questa fase spinosa delle relazioni tra i due paesi. Cosa pensa che accadrà loro?
Avemmo un discorso analogo dieci anni fa quando lanciammo il processo di Bali per raggiungere un approccio comprensivo che coinvolgeva i paesi originari, il transito e la destinazione. Era il 2003 e resta lo stesso nel 2014Chiediamo ai colleghi australiani di assicurare che, qualunque sia la loro politica nazionale, mantengano la loro adesione al Processo di Bali che stabilisce che non ci possano essere misure unilaterali nel trattare questo problema.
Come valuta Myanmar a presidente dell’ASEAN?
Dopo quattro mesi l’ASEAN resta sul percorso della propria agenda: la formazione della comunità economica dell’ASEAN. AEC. Sono compiaciuto di vedere che Myanmar sia attenta as tutti e tre le colonne degli sforzi per formare l’AEC. Abbiamo iniziato la discussione sulla visione del dopo 2015. Ovviamente tutti hanno le loro sfide interne ma spero che questo non avrà conseguenze sulla costruzione della comunità.
Una sfida interna di Myanmar è di affrontare il problema dei Rohingya. La loro etnicità era stata esclusa dal recente censimento governativo.
Il paese si trova in una fase di transizione alla democrazia e ci sono certamente complicazioni come il caso dei Rohingya. Siamo impegnati, su base bilaterale con Myanmar, ad assicurare che gli interessi dei Rohingya siano protetti, ma ora cominciamo a vedere le sfide reali. Fare un censimento è molto importante e dovrebbe essere portato avanti con un grande sforzo di sensibilità. Per come la capisco io, l’ONU è impegnato con la Birmania su questo processo.
Ma persino l’ONU ha attaccato l’esclusione dal censimento ….
E’ questo che intendo per sensibilità. E’ facile accusare. Avrei pensato che questo genere di preoccupazioni dovessero essere comunicato in modo costruttivo, come problemsolving. E’ molto difficile cambiare quando le posizioni si annunciano in quel modo. C’è un senso di disaccordo. Se non riesce l’ONU a risolvere il problema chi altro può?
Cosa possono fare i paesi dell’ASEAN per impedire che si verifichi di nuovo una mancanza di dichiarazione congiunta come quella accaduta nell’incontro dei ministri degli esteri del 2012 ?
Credo che tutti noi abbiamo appreso la lezione di quel 2012. Le lezioni da dover apprendere sono che in un contesto collettivo come l’ASEAN dobbiamo essere pronti al compromesso. E’ questo ad aver causato il successo dell’ASEAN di questi anni, la capacità dei paesi a vedere l’interesse maggiore.
Parlando delle questioni bollenti dell’ASEAN, qual’è la posizione indonesiana dopo che la Cina ha affermato le proprie richieste sulle acque attorno alle isole Natuna?
La situazione nel Mare cinese Meridionale richiede la nostra costante attenzione collettiva. La nostra posizione è che ci sono tre cose da riconoscere. Per prima, tra Indonesia e Cina non esiste una questione territoriale importante. Questa è stata la posizione di entrambi i paesi. Secondo attraverso l’ONU abbiamo chiesto alla Cina di chiarire le basi legali della cosiddetta linea a nove tratti che è unilaterale. Chiediamo semplicemente le sue basi legali. Terza cosa, non siamo tra gli stati che avanzano delle richieste che negli anni si sono bel delineati. Il mare cinese meridionale è l’esempio più ovvio del bisogno di gestire le potenzialità di un conflitto nella regione.
Di recente la Malesia si è ritrovata sotto le luci globali. Dovrebbe esserci un codice internazionale per condurre operazioni congiunte in seguito alla ricerca internazionale del volo scomparso della Malaysia Airlines?
Questo è un altro esempio che richiede la partnership. Questo è esempio di sicurezza aerea ma nel passato si è trattato di disastri naturali. Se c’è qualcosa di buono che può venir fuori da questa vicenda, spero sia che le differenti agenzie della regione siano più cooperative nel prevenire questi incidenti e, all’occorrenza, di lavorare mano nella mano.
Spostandoci su questioni più vicine all’Indonesia, cosa spera per le prossime elezioni nazionali in termini di sostegno alla politica estera?
Non c’è stata tanta attenzione dei media globali nel mondo per la terza democrazia al mondo. Deve voler dire che c’è la sensazione di una regolarità, non più un dramma. Dalla prospettiva della politica estera, le elezioni sono importanti perché dimostrano al resto del mondo che l’Indonesia è una forza democratica vibrante e sempre più influente. Le nostre preoccupazioni come ministero sono di assicurare che abbiamo circoscrizioni di politica estera attiva. Comunque ci vuole sinergia per assicurare che nonostante le opinioni differenti una volta adottata una politica si possa lavorare verso l’effettiva applicazione.
Come può allora l’Indonesia mantenere la consistenza nelle politiche estere che son ostate messe nel passato se il prossimo governo ha idee differenti?
Da diplomatico professionista, devo dire che il presidente Yudhoyono è stato un presidente di politica estera. Ha mostrato una visione tremenda sulle questioni di politica estera. E’ di estrema importanza per la politica estera del paese aver avuto un presidente che si prende cura con facilità. Per il prossimo governo è sempre un problema di coniugare il cambiamento con la continuità perché gli impegni presi da uno stato verso un altro si estendono oltre il termine del governo. Senza dubbio il prossimo governo avrà le proprie priorità ma la politica estera è la costante come una istituzione. Il prossimo governo dovrà essere grintoso dal momento che qui si terranno appena dopo la nomina gli incontri dell’ASEAN, del G20 e dell’APEC.
Cosa pensa di fare se non terrà ancora la prossima posizione ministeriale?
E’ la cosa che mi preoccupa di meno. Non preoccupa me e credo che non dovrebbe preoccupare nessun altro. Ho portato avanti queste responsabilità a discrezione del presidente, i nquesto caso Yudhoyono. Non deve interessare nessuno dove sarò.
Ismira Lutfia Tisnadibrata, sea-globe