Nei due mesi passati la Thailandia è stata riportata indietro con la forza in un periodo oscuro. A maggio, alcuni giudici di parte costrinsero il primo ministro Yingluck Shinawatra a lasciare l’incarico, e poi i generali monarchici strapparono il potere al governo facente funzione. Era il 13° colpo di stato militare dalla fine della monarchia assoluta, avvenuta ottanta anni fa.
Ancora un volta i generali affermavano di essere entrati nel pantano politico semplicemente per restaurare l’ordine. Questa volta però la posta è straordinariamente alta, particolarmente per l’elite tradizionale, cioè i militari, i monarchici conservatori, vari giudici e vecchi burocrati e grandi uomini di affari. Re Bhumibol ha 86 anni e il principe ereditario non è così popolare. I militari, stanchi di ogni incertezza nell’avvicinarsi della battaglia per la successione, percepita come un gioco dove o si vince o si perde, provano a mettere i critici della vecchia elite sotto silenzio, tra i quali membri del movimento delle magliette rosse sostenute da Thaksin Shinawatra, da Yingluck e dall’ex primo ministro stesso.
All’inizio sembrò che i sostenitori degli Shinawatra sarebbero stati la migliore contrapposizione dei militari. Ma i golpisti hanno dato la caccia immediatamente nelle province lontane alla rete delle magliette rosse, arrestando vari capi locali. Di conseguenza la condanna ufficiale del golpe a livello internazionale è stata più importante di quanto pensabile, e una maggiore pressione sui generali potrebbe rivelarsi sorprendentemente efficace.
Il generale Prayuth, capo dell’esercito, del golpe e ora auto-nominatosi primo ministro ad interim, ha fatto vaghe promesse su un eventuale ritorno alla democrazia. Nel frattempo ha giunta ha provato a migliorare la propria popolarità con un populismo becero e promuovendo un programma sotto la bandiera “ridare la felicità ai Thai”. Ha inondato la popolazione con costosi giochi di breve termine come le partite del mondiale sulla TV nazionale e biglietti gratis per film patriottici.
Nonostante la facciata della unità nazionale, la giunta ha provato a reprimere persino la più debole forma di dissenso, facendo pressione e arrestando i critici, ed in alcuni casi accusandoli per la legge arcaica di lesa maestà che vieta l critica alla famiglia reale. Il 24 maggio fui convocato dai militari per parlare contro il golpe. Vivo a Kyoto e mi sono rifiutato di andare, e il 13 giugno è stato emesso un mandato di cattura contro di me.
In risposta alcuni paesi occidentali hanno cominciato ad imporre sanzioni sulla giunta. L’Europa, che ha invitato a elezioni immediate e al rilascio di tutti i prigionieri politici, ha annunciato il 23 giugno di aver sospeso le visite ufficiali in Thailandia e di aver sospeso un patto di libero commercio. Qualche giorno dopo gli USA hanno detto di voler tagliare l’assistenza militare annuale alla Thailandia di oltre 4,7 milioni di dollari. L’Australia ha fermato il suo programma di cooperazione della difesa annunciando un divieto sui visti di viaggio della giunta.
Queste misure sono relativamente limitate e predicibili, eppure la giunta reagisce con grande malessere come se non sapesse cosa fare. Da un lato il generale Prayuth ha detto che il paese dovrebbe risolvere i propri problemi “con il nostro stile thailandese”. Dall’altro il governo ad interim ha rilasciato molti dei dissidenti che deteneva dopo alcuni giorni di intimidazione sotto la custodia dell’esercito. E Sihasak Phuangketkeow, segretario permanente al ministero degli esteri, ha allungato un ramoscello di ulivo all’Europa: “Dovremmo guardare ai benefici di lungo termine del mantenere l’amicizia”. Il messaggio incostante della giunta suggerisce che si sente vulnerabile.
E vulnerabile lo è. L’ultimo golpe del 2006 si dimostrò un fallimento perché l’influenza politica di Thaksin sopravvisse anche dopo la sua deposizione, e le elezioni successive portarono un altro partito di Thaksin al potere. I generali si affrettano a reprimere i sostenitori di Thaksin poiché sono stanchi di ripetere lo stesso errore anche se è minata la loro affermazione secondo cui il loro putsch era un golpe per la democrazia.
Con una legittimazione così incerta, la giunta ha distribuito benefici economici alla popolazione per assicurarsene il sostegno. Ha ordinato lo sborso dei fondi per gli agricoltori poveri dovuti dal governo Yinglcuk secondo il progetto di sostegno del riso. Ha anche detto di voler iniettare qualcosa come 30 miliardi di dollari, il 40% del budget per questo anno finanziario, in progetti infrastrutturali nelle aree remote.
Sembra che la giunta credi che la propria sopravvivenza dipenda dalla propria popolarità che, a sua volta, potrebbe dipendere dall’abilità della giunta di distribuire i benefici economici, che a loro volta potrebbero dipendere da come tanti paesi occidentali vogliano tollerare la sospensione delle libertà.
La Thailandia è particolarmente vulnerabile alle sanzioni poiché il paese è un legame fondamentale nella catena di rifornimento globale di merci fondamentali come riso e automobili. I compratori dipendono anche da queste catene di rifornimento, ma potrebbero più facilmente rivolgersi al Vietnam o alla Birmania per comprare riso di quanto la Thailandia sia capace di diversificare i beni che produce. Questa è una ragione per cui la giunta sta facendo delle apertura alla Cina: solo due settimane fa il generale Prayuth stringeva le mani con uomini di affari cinesi con un occhio sulle conseguenze degli effetti delle sanzioni occidentali.
Gli USA e l’Europa hanno preavvisato che potrebbero prendere passi più aggressivi come il boicottaggio di merci thailandesi se i generali non riescono a restaurare la democrazia. Alcuni dei sostenitori più duri dei golpisti hanno risposto chiedendo misure di ritorsione contro i prodotti europei ed americani. Anand Panyarachun, ex primo ministro e realista, ha dichiarato che il paese dovrebbe semplicemente “chiudere per inventario”.
Naturalmente sono reazioni stupide ma come la svolta dei generali verso Pechino, rivelano una profonda ansia sul danno che la pressione occidentale potrebbe avere sul’economia e sulla popolarità della giunta. Spesso si deridono le sanzioni come simboliche ed inefficaci, ma si dimostrano utili contro i capi del golpe a Bangkok.
L’occidente dovrebbe allargar la propria azione. Aumentare i costi economici della presa del poter illegittima della giunta allenterebbe la morsa dei generali, ed aiuterebbe le magliette rosse e gli altri attivisti contro la giunta a restaurare la democrazia in Thailandia.
Pavin Chachavalpongpun, NEW YORK TIMES