Nell’oscuro mondo dei movimenti clandestini radicali, le alleanze si formano e si rompono regolarmente. Spesso questo fa parte di una tattica per mantenere i propri oppositori in stato di allarme e, talvolta, possono essere intese per nascondere le manovre reali e le alleanze che si formano in modo segreto, talvolta senza la conoscenza dei membri ordinari dei movimenti stessi che non hanno idea su chi servono e quale agenda viene portata avanti.
Questo è stato il caso la scorsa settimana quando il gruppo radicale Jamaah Ansar-ul Tauhid, JAT, guidato dal noto ulama Abu Bakar Bashir, si è diviso in due fazioni dopo che Bashir domandò che i ranghi e le fila del movimento seguissero la sua linea e giurassero lealtà allo stato islamico, ISIL, o movimento IS di Abu Bkr al Baghdadi in Siria ed Iraq.
Si è scritto che metà dei membri si siano rifiutati e sono stati espulsi da Bashir. Ancora più strana la rivelazione che tra quelli che sono stati cacciati dal JAT c’erano i figli di Bashir stesso. Che gruppi simili si sfacciano quasi subito dopo essersi formati non è cosa nuova e unica di questo caso.
Bashir era il vecchio capo dei Majlis Mujahidin Indonesia (MII), ma quando lui chiese che MII lo accettasse come Califfo a vita, fu sonoramente sconfitto dal proprio movimento che argomentò con fatto che a nessuno deve essere dato tanto potere su un movimento come MII. Bashir a sua volta ribadì che non esisteva democrazia nel movimento come MII e che la posizione di capo deve essere riservata solo per le persone più meritevoli, cioè lui. Dopo essere stato espulso dal MII formò la sua fazione del JAT che ora sembra essersi divisa ancora.
Indipendentemente da queste convulsioni e rivolte interne, questi gruppi sono forieri di guai per lo meno, e le loro azioni violente in tutta l’Indonesia hanno causato un danno enorme alla reputazione del paese, allontanando visitatori ed investitori, che hanno definito l’Indonesia come un paese in crisi perpetua e sempre sull’orlo di un collasso.
Che tali piccoli gruppi possano causare tanto danno è particolarmente vero nell’era dei media globali e del sensazionalismo, dove un solo attacco con bombe, in un parte lontana del paese, lo si può sapere in tutto il mondo in pochissimi minuti.
E’ forse questo senso di fatica e di irritazione con tali gruppi radicali che il governo indonesiano si è rimboccato le maniche e ha affrontato il toro per le corna.
Nelle scorse settimane, il ministro degli affari religiosi Lukman Saifuddin ha apertamente dichiarato che IS era una minaccia a tutte le comunità religiose nel paese. Il governo e le forze di sicurezza li hanno dichiarati un pericolo la cui diffusione è da prevenire. Ed alcuni capi dei movimenti radicali sono stati già arrestati.
Il più recente proclama contro l’IS è giunto dal corpo istituzionale più alto degli studiosi islamici degli Ulama, Majlis Ulama Indonesia, che ha dichiarato che le azioni dell’IS non erano islamiche, e che i suoi mezzi violenti erano contrari all’insegnamento e all’etica musulmana.
In un periodo in cui tanti governi sembrano paralizzati davanti all’avanzata dei radicali islamici dell’IS l’Indonesia ha almeno mostrato di voler prendere posizione e pagare il costo politico se necessario.
Il fatto che la critica più feroce contro l’IS venga dai ministri, dai comandanti anziani della polizia e dell’esercito, ed ora dalla importantissima MUI, ci dice qualcosa sul tono e il tenore dell’Islam in Indonesia oggi, uno dei pochi paesi a maggioranza musulmana al mondo dove i termini moderazione e tolleranza non sono solo delle etichette vezzeggianti da essere prese con cautela, ma dove, invece, essere moderati significa dover dimostrare la moderazione con cose reali e volontà politica.
FARISH NOOR, TheNew Strait Times