Il comitato che scriverà la nuova costituzione della Thailandia, la ventesima nella sua storia moderna, ha grandi speranze di successo. Il suo presidente afferma che le sfere celesti si trovano nella posizione più favorevole per il suo lavoro importante ed i membri del comitato hanno giurato solennemente di lavorare «a beneficio del paese e della sua gente».
Ma il Comitato di Stesura della Costituzione avrà bisogno di qualcosa in più dei buoni auspici. Esso rappresenta il potere di Bangkok, una piccolissima frazione della popolazione thailandese. Molti dei suoi membri hanno partecipato attivamente alle proteste organizzate dal PDRC che all’inizio dell’anno hanno lottato per abbattere il governo eletto guidato da Yingluck Shinawatra.
La richiesta delle manifestazioni delle magliette gialle era di un governo pulito, di buon governo e che non ci fossero elezioni prima delle «riforme» del sistema politico. Realizzarono i propri desideri nel golpe militare del 22 maggio. La giunta al governo che si autoproclama Consiglio Nazionale per la Pace e l’Ordine ha iniziato a costruire una nuova Thailandia basata più o meno sulla copiacarbone delle magliette gialle.
Ha istituito un consiglio nazionale della riforma che invierà le raccomandazioni al comitato di stesura a dicembre. Vari mesi dopo che il comitato conclude la bozza finale, previste per settembre dell’anno prossimo, si terranno le elezioni. Se non altro la nuova costituzone troverà i modi per ridurre il ruolo dei politici eletti, ponendo le funzioni chiave del governo nelle mani di persone non elette.
Contro la giunta e il comitato di stesura c’è la maggioranza degli elettori che consegnarono una vittoria straripante nel 2011 a Yingluck. Con la maggioranza dei seggi della Camera dei Rappresentati, il suo Puea Thai usò il proprio mandato per dare quello che aveva promesso: un programma di sostegno del prezzo del riso più che generoso, una paga minima e la giustizia per le famiglie colpite dalla repressione del 2010 contro i manifestanti delle magliette rosse, ordinata dal precedente governo.
Il Puea Thai che pensava ugualmente di lavorare «per il massimo beneficio del paese e della gente» aveva promesso di rimuovere le parti più antidemocratiche della costituzione del 2007, un prodotto esso stesso del golpe precedente del 2006. Quella costituzione poneva un incredibile potere nelle mani del sistema giudiziario che nominava membri delle agenzie di controllo e una corte costituzionale. Ometteva qualunque meccanismo di controllo di questi corpi nominati, dimostrandosi impossibile da emendarsi. Infatti i tentativi del Puea Thai di emendarla per rendere il senato un organo completamente eletto giocò una parte nel fomentare le proteste antigovernative.
Per il Puea Thai e i suoi sostenitori delle magliette rosse riforma significa ritornare alla costituzione del 1997, conosciuta come costituzione del popolo. Era un documento prodotto dopo un notevole processo di consultazione popolare. Fu la costituzione più democratica che si conosca e conteneva un vasto campo di diritti civili di qualunque altra versione. per i grupp idemocratici le costituzioni divennero importanti dopo il 1997 poiché allora fu quando divenne importante il voto. Nel 2001 il fratello di Yingluck, Thaksin offrì un insieme chiaro di politiche per formare un governo di coalizione vincendo le elezioni successive del 2005. Per gli elettori il sistema andava bene dal 1997 al golpe del 2006. Se c’era qualcosa che necessitava una riforma durante il governo Yingluck era proprio la costituzione del 2007.
Ma con la stessa velocità con cui gli elettori potevano portare al potere un primo ministro o un partito, le agenzie costituzionali di controllo li buttarono fuori. Negli scorsi otto anni due premierati sono stati finiti con colpi di stato, tre per ordine dei tribunali, mentre i partiti di Thaksin sono stati sciolti due volte.
Il destino della nuova costituzione dipenderà da tre cose: se sarà vista come legittima dalla maggioranza, se la gente avrà una possibilità di contribuire alla stesura finale e fino a che punto darà voce e potere alla volontà della maggioranza. I militari hanno provato a definirela selezione dei mebri del comitato come rappresentativi. Eppure 11 dei 36 membri sono stati scelti dalla giunta ed altri 25 provengono dal Consiglio della Riforma o dall’Assemblea legislativa nazionale, un parlamento di prescelti dai capi del golpe. In tutto il 70% dei membri sono ufficiali del governo, membri di istituzioni conosciute per gli orientamenti monarchici o perché hanno partecipato alle manifestazioni di quel movimento.
Se non dovessero riuscire a produrre una costituzione che piaccia ai generali è la giunta a mantenere l’ultima parola. La verità è che non c’è una parvenza di rappresentanza democratica nel comitato di stesura. La nuova costituzione sarà giustamente vista come creazione della giunta con i suggerimenti di personaggi visti vicini alle magliette gialle.
Sin dall’inizio sono chiare le preferenze per la nuova costituzione del potere di Bangkok: lo scopo è ridefinire la democrazia in modo da diminuire l’importanza delle elezioni e dei partiti. Alla prima seduta del mese scorso, al consiglio della riforma fu presentato un rapporto dei militari sulla riforma da usare come «base» per le sue delibere. Sebbene la giunta abbia detto che non esiste una trama preparata per la nuova costituzione, i membri del comitato hanno già affermato che la sezione 35 dell’attuale costituzione provvisoria servirà come quadro di riferimento. Una clausola di questo articolo 35 potrebbe bloccare ogni politica che tenti una distribuzione della ricchezza più egualitaria che verrebbe vista come una forma proibita di «populismo».
Un altro dice che si può esercitare il potere dello stato solo per «l’interesse nazionale e il beneficio pubblico». Più preoccupante è la clausola che afferma che sarà posto in essere «un meccanismo efficiente» per prevenire il cambiamento dei «principi fondamentali» della costituzione. Termini come «pubblico beneficio» e «populismo» sono ambigui e carichi di ideologia. nelle mani di una corte costituzionale potrebbero diventare difficili da cambiare.
In mancanza di legittimazione che deriva da dei rappresentanti eletti, si potrebbe vedere la legittimità del processo solo se ci fosse un’effettiva consultazione pubblica, o se la bozza finale fosse soggetta ad un referendum.
Comunque sebbene il regime si sia presentato come aperto ad idee di tutti i campi politici, non esiste meccanismo per mostrare se queste idee avranno una qualche influenza sul risultato finale.
Un editoriale del quotidiano conservatore TheNation di recente ha scritto: «Il solo ascolto della gente non implica che essa avrà una sua parola nella costituzione, o che prenderà parte alla sua composizione.» la legge marziale proibisce la formazione di gruppi per presentare suggerimenti di riforma. E i 10 mila casi di lesa maestà gestiti dalla polizia sin dal 2011 non incoraggiano una discussione veritiera sulla politica thailandese.
Il referendum sulla costituzione del 2007 era profondamente falso. Gran parte del paese era ancora sotto la legge marziale dopo il golpe del 2006; erano vietati sia la critica alla bozza che indicare il voto No; e la giunta del momento minacciò di riportare in vita una costituzione del passato se il risultato fosse negativo.
Questa volta è chiaro che i suggerimenti costituzionali influenzeranno il processo di scrittura solo se cadano all’interno dei parametri previsti della «riforma politica» dal gruppo degli amici del golpe. Lo scorso mese Paiboon Nititawan, ex senatore con legami forti con le magliette gialle, è stato scelto dal consiglio della riforma per servire presso il comitato di scrittura.
Espresse una versione molto dettagliata della visione di riforma del potere di Bangkok, sostenendo che la colpa per il «conflitto che ha afflitto il paese per anni» sta nei partiti politici. Quindi la soluzione era di trovare un modo per ridurre il loro potere. Prevedeva «cambiamenti drammatici» che avrebbero reso difficile per un singolo partito vincere nelle elezioni. Ci potrebbero essere richieste che il primo ministro e i ministri non dovevano essere membri del parlamento, aprendo la porta a primi ministri non eletti, segno del governo semidemocratico del passato thailandese.
Complessivamente, le «riforme» elettorali probabilmente faranno dei futuri politici eletti ostaggio di una maggioranza di legislatori nominati. Potrebbero forse spartire i voti in modo che nessun partito possa prendere la maggioranza dei seggi, o rafforzare i corpi di controllo per paralizzare qualunque ombra resti di un governo propriamente eletto.
La questione non è se la stesura della nuova costituzione sarà un disastro, lo sarà. Se la costituzione del 2007 fu inaccettabile per molti, quest’altra sarà anche peggiore.
C’è comunque un modo per evitare il disastro che si avvicina. La giunta ha suggerito che forse potrebbe tenere un referendum, che permetterebbe un verdetto chiaramente democratico. ma un semplice si o no sulla carta proposta senza una chiara alternativa non è un test giusto in un ambiente in cui la giunta controlla il meccanismo del governo.
La giunta dovrebbe essere sfidata a fare il passo forte di annunciare un referendum tra la sua bozza e quella del 1997.
Competizione tra idee stimola la coscienza, l’innovazione e persino il compromesso. Ma il luogo delle idee deve essere libero e quindi la legge marziale deve essere tolta e sospese le restrizione ala libertà di espressione per il periodo della discussione. Una campagna totale finanziata dal governo tra i promotori di ognuna delle costituzioni inonderà la società thai con un dibattito, una discussione e disaccordo che da tempo il paese ha più bisogno di avere.
Se i proponenti delle due parti fossero saggi, troverebbero i modi per fare appello all’altra parte promettendo degli emendamenti nel caso la propria parte prevalga. Si potrebbe da parte dei fautori della costituzione del 1997per esempio concedere qualcosa sulla qualifica dei senatori eletti, una delle cose chieste dall’opposizione. Di fronte ad una competizione reale gli estensori della nuova costituzione potrebbero offrire clausole che si appellino ad un elettorato più grande.
Qualunque sia il risultato dovrebbero esserci un meccanismo ragionevole per futuri cambi costituzionali, permettendo così alla società thai di crescere piuttosto che essere chiusa nella presente divisione.
Un tale approccio offre un vantaggio ai militari. Piuttosto che insistere di avere sempre ragione e sopprimere semplicemente le voci del dissenso, la giunta potrebbe concludere quest’ultimo pezzo di ignominia della politica thai abbracciando la sfida reale di lottare liberamente tra eguali. Emergerebbero come i precursori di uno stato pacifico e più unito. le due parti potrebbero dare alla campagna il loro migliore impegno allungandosi alemno un po’ verso l’altro. E almeno i Thai deciderebbero il proprio futuro.
David Streckfuss, NIKKEI ASIAN REVIEW