Chi è stato condannato per collaborazionismo con l’insorgenza nel Profondo Meridione Thailandese dovrebbe poter partecipare ai negoziati di pace in corso tra governo e movimento separatista, insieme a quelli in esilio, lo dice un militante prigioniero di coscienza a Pattani.
E’ la dichiarazione di Muhamad Anwar Hayiteh, conosciuto come Anwar, un militante trentenne del profondo meridione, in carcere da due anni.
Sua moglie Romuelah Saeyae dice che suo marito è amareggiato dal governo che non riconosce interamente il prigionieroi di coscienza nonostante il fatto che sono stati condannati per aver collaborato con i “movimenti politici”.
Proprio il primo maggio 2013 la Corte Suprema inflisse una condanna a 12 anni di carcere ad Muhamad Anwar Hayiteh sulla base di accuse di appartenere al gruppo ribelle BRN, Barisan Revolusi Nasional.
La sentenza si basò su confessioni parziali di altri quattro sospettati che tirarono in ballo Anwar con le loro testimonianze di essere membri del BRN e che confessarono, nei loro interrogatori, di aver partecipato alle attività del BRN.
Il verdetto causò un’ondata di critiche tra i gruppi civici del Profondo Meridione che in seguito lanciarono la campagna nota di “Liberiamo Anwar”.
I gruppi civici temevano che il verdetto non aiutava affatto gli sforzi concreti e il momento per prevenire che chi “simpatizzava” decidesse di lavorare nella clandestinità e di essere spinto ad usare la violenza.
La campagna Liberiamo Anwar non ebbe successo nel tentativo di liberare il giornalista libero e militante della società, ma costrinse le autorità a riconoscer il ruolo significativo che i prigionieri possono giocare nei colloqui di pace.
Durante il sessantesimo compleanno della Principessa Reale Maha Chakri Sirindhorn la sentenza di Anwar fu ridotta di un quinto. Se si includono i 14 mesi in cui era in carcere durate il processo ed i due anni successivi alla sentenza della Corte Suprema, Anwar ha ancora sei anni e quattro mesi da scontare in carcere.
“Certo che è un periodo lunghissimo per noi nella famiglia” dice Romuelah.
Ma nonostante la stanchezza della moglie per la sua sentenza, il periodo in prigione ha rafforzato la risoluzione di Anwar di liberare gli altri prigionieri di coscienza nel profondo meridione.
“Non è forte fisicamente, ma forse lo è intellettualmente. La sua pelle diventa più scura dal momento che lui gioca a calcio dentro la prigione con gli altri carcerati, nonostante non gli piacesse giocare prima.” dice Romuelah che va regolarmente alla prigione di Pattani per vedere suo marito.
Il 29 aprile cinque membri della famiglia di Anwar hanno avuto la rara opportunità di fargli visita insieme, come parte di una politica che permette ai carcerati accusati di reati contro la sicurezza di passare un giorno con la gente amata. Erano una cinquantina le famgile che hanno fatto visita ai propri arrestati.
“Usano un progetto pilota di video conferenze tra familiari e detenuti. Possiamo andare al Palazzo della Provincia a Pattani e parlare con loro. E’ più conveniente che attendere due ore a parlare a qualcuno attraverso una barriera di vetro.” dice Romuelah che di recente ha iniziato un nuovo lavoro con l’ufficio di Pattani del Centro dei diritti umani e studi della pace della Mahidol University.
Romuelah dice che un’altra cosa che su marito sta pensando è che, quando i detenuti sono rilasciati, la polizia trova immediatamente altre ragioni per arrestarli di nuovo.
“E’ come torcere il braccio di qualcuno, buttargli una caramella di libertà, poi toglierla. Le famiglie che attendono senza posa per il loro rilascio si sentono punite e tormentate da questa insincerità” ha detto Romuelah citando Anwar.
Un altro sviluppo che dà preoccupazione è la recente ricollocazione improvvisa di alcuni prigionieri per accuse sulla sicurezza verso le prigioni di massima sicurezza di Klongpai a Nakhon Ratchasima e di Khaobin a Ratchaburi.
“Che ci siano colloqui di pace o no, sotto il governo militare la gente ha meno fiducia nel sistema di giustizia. La speranza sta scemando mentre la violenza continua” conclude Romuelah.
Achara Ashayagachat, Bangkokpost