Quattro giorni dopo che i militari thailandesi abbatterono il governo eletto guidato dal Puea Thai, Re Bhumibol diede la sua approvazione conferendo legittimazione ad un intervento illegale.
Infatti l’approvazione reale sarà fondamentale per applicare le ferree politiche della giunta per controllare la politica del dissenso.
I golpisti hanno strangolato lo spazio per la libertà di espressione facendo dei media e degli intellettuali dalla mente libera i loro principali obiettivi.
I golpisti hanno emesso vari ordini tra i quali vi è uno secondo cui gli accademici devono far rapporto alle autorità. Se non lo facessero rischierebbero il carcere con una pena fino a due anni e la multa fino a mille euro.
Il mio nome è tra quelli ricercati dalla giunta. Sin dal golpe sono stato critico del ruolo dei militari nel loro ultimo golpe che fu chiaramente percepito come una minaccia. Sebbene l’intimidazione degli intellettuali non sia qualcosa di nuovo nel mondo duro e cangiante della politica thailandese, emettere un ordine di detenzione nei loro confronti serve a minacciare gli intellettuali persino quelli fuori del paese come nel mio caso.
Benché rimasi scioccato all’inizio, chiarii immediatamente la mia posizione non rispondendo alle convocazioni dal momento che rigetto la legittimità del golpe e non prenderò ordini dai despoti. La mia esperienza di anni di insegnamento all’estero mi costringe a mantenere la mia integrità e professionalità.
L’affermazione secondo cui l’intervento militare fosse necessario per restaurare la pace e l’ordine è solo un’idiozia. Non significa sostenere le riforme politiche o la promozione della democrazia. La Thailandia sta ora ritornando alla forma più esplicita di autoritarismo.
Finora il capo dei golpisti, generale Prayuth Chanochoa, è stato incapace di dare una data per le prossime elezioni, continuando invece a reprimere quelli che considera elementi contrari al golpe. Tristemente sempre più intellettuali sono stati detenuti in località sconosciute.
Alcuni potrebbero essere accusati di altri reati, come la violazione della legge marziale o persino la legge della lesa maestà. Quest’ultima, il crimine di danneggiare la famiglia reale, è definito dall’articolo 112 del codice penale che sostiene che fare commenti diffamatori, di danno o minaccia contro il re, la regina e il reggente è punibile con sentenze da 3 a 15 anni di carcere.
Il processo di indagine e accusa è, per sua natura, opaco forse anche più sotto le circostanze attuali.
Un disegno per mettere la museruola ai critici dei militari si è intensificato mentre cresce la condanna di organizzazioni internazionali.
Sono più fortunato dei miei colleghi che sono in Thailandia e che hanno visto distrutti i propri diritti ed hanno visto strappata la propria libertà. Altri accademici sono stati costretti al silenzio o ad esercitare l’autocensura per paura della pena nel caso dovessero parlare contro i militari.
Si è generato con successo un clima di paura. La limitazione dello spazio della libera espressione tra gli accademici mostra un senso di insicurezza da parte della giunta. Peggio molti thailandesi, specie chi a Bangkok è favorevole al golpe, hanno creato un nuovo discorso secondo cui gli intellettuali sono dei nemici dello stato.
Se questo fosse un sogno, potrebbe sembrare che la Thailandia sia stata trasformata in una Cina anni 60 durante la rivoluzione culturale, quando era legittima la violenza contro gli intellettuali contro il regime.
Ostacolare la libertà degli intellettuali può servire solo agli interessi a breve della giunta ma, a lungo termine, causerà un danno grande al processo di democratizzazione del paese.
Questa è la ragione del mio rifiuto di piegarmi a chi ora detiene il potere nella mia patria natia.
Pavin Chachavalpongpun, South China Morning Post