Non c’è mai stato uno slogan “più forti uniti” come dopo la tragedia a Erawan quando una bomba ha colpito Yala o Pattani.
Boston ebbe la sua “Boston Strong”. Parigi ha avuto “Je suis Charlie”. Ora per quanto desideriamo non sia mai accaduto, Bangkok dopo 17 agosto ha proposto “Stronger together” (Più forti uniti) ed “Our Home, Our country” (la nostra patria, il nostro paese) mentre si grida contro il terrore agghiacciante all’incrocio del Tempio di Erawan di lunedì.
Se la felicità non è riuscita a riunirci, forse lo può la tragedia. O almeno dovrebbe. E fino ad un certo punto, lo ha fatto sebbene non abbastanza da fermare il prurito di puntare il dito e i pregiudizi già pronti, che sono iniziati che neanche si era dileguato il fumo e le varie parti dei corpi non erano stati neanche radunati.
Fino a quando i killer codardi rimarranno senza nome, il giogo di accusare è con noi, pronto ad essere sfruttato dalle nuove e vecchie elite di potere; ed il solo modo di trovare una soluzione consiste nel trovare i criminali il più velocemente possibile. Se non si riesce a farlo si confermerà il nostro stato di disfunzione, morale e giudiziario. Questo è chiaro.
L’esplosione a Ratchadaprasong è stato il peggiore attacco a Bangkok nella storia recente, e pur tuttavia non è stata la peggiore, specialmente quando si pensa alla frase consacrata “Our Home, Our country”.
Il profondo meridione ha subito di peggio per un decennio. Questo è anche chiaro sebbene spesso sia dimenticato, ed una telefonata veloce ad un amico mi ha fatto capire che non c’è mai stato uno slogan per far mettere insieme la gente ad essere “più forti uniti” quando una bomba ha colpito Yala o Pattani.
Solo tre settimane fa un attacco a Saiburi ha ucciso un monaco, un soldato, un civile e ferito tanti altri, e mentre la notizia è stata tremenda per tutta la nazione, c’è stata una autobomba, una bomba su motocicletta, almeno due casi di incendi e due altre bombe nella regione. Il prezzo della morte a giugno è stato di 15, a maggio 29. Tutte le vittime erano thai.
E’ triste scendere così in basso a contare le morti, poiché la morte non è solo una statistica. Ma se davvero siamo spinti al quantificare le morti, le stragi di Krue Se e Tak Bai di sicuro battono quelle di Bangkok. Per non citare il conto totale che ha già superato 6300 morti dopo 11 anni e sette mesi.
Quanto è successo al tempio di Erawan è stata una tragedia. Quello accaduto in tutto il resto del “nostro paese” potrebbe sembrare remoto, privo di connessioni, persino intangibile, ma non è meno tragico. E’ anche una realtà di ogni giorno sostenuta da tanta gente che hanno già imparato a stare attenti a pacchi sospetti er strada, molto prima che noi nella capitale abbiamo cominciato a farlo sei giorni fa e già ci lamentiamo. La bomba di Bangkok fu certamente forte ma era più forte del resto?
“Our Home Our Country” si adatta questa frase al meridione ferito piagato dai dubbi, dove home e country hanno una dimensione più profonda? “Stronger together”, questa è generica, potente , militaristica, che vuol dire che non funzionerebbe nel meridione dove la presenza militare è certamente parte del problema prima di poter essere una soluzione (echeggia anche la divisiva “insieme ce la facciamo” adottata dopo la repressione del 2010 a Ratchadaprasong, perché un termine che vuole portare inclusione spesso finisce per escludere quelli con differenti punti di vista).
Pensateci, “Io sono Pattani” sarebbe accettabile per la gente chic di Bangkok, ora che noi nella capitale sappiamo come una bomba può sconvolgere tutto, per non citarne 100? I nostri ricordi della violenza sono selettivi, intasati e offuscati dalla paura, ed il nudo retrogusto della crudeltà non è talvolta non sufficiente a portare la solidarietà con qualche slogan.
I motto del dopo 17 agosto sono buoni certamente per fare magliette da vendere a Nana o a Silom.
Sono edificanti e catturano l’istinto umano ed andare avanti e l’istinto thai a dimenticare. Gli slogan sono pubblicitari cioè sono vuoti, o almeno in parte, dal momento che puliscono i nostri strati assortiti di scontento trasformandoli in oblio.
Sono necessari, certamente, ma il loro sotterfugio semantico è anche un tipo di maschera. Ecco perché gli slogan non funzionano quasi mai nei luoghi dove la gente non riesce a stare insieme per sentire il conforto vuoto del dimenticare, come il meridione, dove così tanti casi, così tante forme di barbarie ed ingiustizia sono ancora persistenti.
“Boston Strong” perché Boston arrestò e condannò chi mise la bomba. Parigi diede la caccia gli omicidi di Charlie Hebdo e, a causa delle circostanze, mise fine alla loro vita. Non ricerco l’occhio per occhio. E’ solo che lo slogan deve stare in piedi per davvero significare qualcosa, qualunque cosa, e provare che non si tratta di simboli vuoti. Lo slogan esalta ma non porta a nulla, e più ci affidiamo alla pubblicità sempre più da vicino verrà a rimpiazzare la realtà.
Trovate gli assassini, finitela di puntare il dito, altrimenti “Stronger Together” ci farà solo più deboli insieme per sempre.
Kong Rithdee Bangkok Post.