Siamo ad oltre un mese da quel fatidico 17 agosto 2015 quando scoppiarono le bombe a Bangkok al tempio di Erawan che fece oltre 20 morti e cento feriti.
Nel frattempo il capo della polizia Somyot Pumpanmuang si è congedato e gli subentrerà Chaktip Chaijinda. Somyot ha presentato i due stranieri arrestati come gli esecutori materiali della strage. La vera mente, o le vere menti, sono libere insieme ad altre 15 persone contro cui sono stati fatti i mandati di arresto. Un nuovo sospettato è Yongyut Pobkaew, una maglietta rossa, mentre quello ricercato è sempre Abdullah Abdulrahman le cui tracce vanno dal Bangladesh, alla Turchia, alla Cina e chissà dove.
Facciamo il punto attraverso due commenti che esprimono un po’ tutti i dubbi su questa inchiesta e sulle capacità inquisitorie della polizia thailandese che, già nel processo di Koh Tao per gli omicidi di due turisti inglesi, sta mostrando tutte le sue incapacità e le sue partigianerie. Cominciamo con il primo commento della corrispondente del Straitstimes, Tan Hui Yee. Il secondo è di Joshua Kurlandzik di Asia Unbound.
Le preoccupanti domande sulle indagini sulle bombe a Bangkok
Sabato scorso soldati e poliziotti armati bloccarono le strade di Bangkok mentre la polizia portava i due sospettati stranieri a fare una elaborata simulazione dell’attacco più mortale vissuto dalla capitale thai.
Il lunedì successivo il capo della polizia in aria di pensione Somyot Pumpanmuang chiamò quasi la fine delle indagini, consegnando in una conferenza stampa un premio da centomila euro donati per i suoi uomini.
Poi prese tutti di sorpresa con la sua idea: le bombe a Bangkok ad Erawan del 17 agosto e la bomba del giorno dopo buttata nel Chao Praya non furono solo la vendetta da parte dei trafficanti di esseri umani contro la repressione del governo.
“Potrebbe essere stato un contratto tra criminali. Un gruppo potrebbe aver assoldato un altro già pronto aduna vendetta così che tutti hanno avuto quello che volevano” ha detto Somyot attirando l’attenzione così su uno dei sospettati thai che proverrebbe dalle magliette rosse legate all’ex primo ministro in esilio Thaksin Shinawatra.
Questo collegamento ipotizzato alle magliette rosse, che ora sorvegliate strettamente e represse dal governo militare, ha prodotto un miscuglio di ridicolo e rabbia. I capi delle magliette rosse hanno negato di conoscere il sospettato Yonyut Pobkaew che è latitante.
Si rischia anche di politicizzare un’indagine che, sebbene goffa sin dall’inizio, sembrava aver fatto passi significativi dopo l’arresto di un sospettato importante che ora si crede sia uno Uighur.
Il prossimo capo della polizia Chktip Chaijinda eredita un caso che resta pieno zeppo di domande.
Mentre il sospettato principale Adem Karadag ha confessato di aver messo la bomba dell’ora di punta, che uccise 20 persone e ferito altre 100, avrebbe agito in base alle istruzioni di un uomo chiamato Abdullah Abdulrahman che è latitante.
Difatti su 17 persone colpite da mandato di cattura di una corte militare, 15 sono latitanti. Alcuni sono thai ed altri identificati come turchi e molti si pensa siano fuggiti all’estero.
Le autorità thai hanno fermamente negato che si trattasse di un attacco terroristico, nel chiaro tentativo di proteggere la sua industria turistica che continua a portare la tanto necessaria moneta ad un’economia che perde colpi. Ma se si considera che restano latitanti 15 persone, la negazione continua dell’elemento terrorista ha implicazioni pratiche come un rallentamento dell’aiuto internazionale sul caso.
Secondo gli accordi internazionali del 1997 sul terrorismo, di cui la Thailandia fa parte, detonare un esplosivo o altri mezzi mortali in un luogo pubblico con lo scopo di causare morti, distruzione o ferite serie è considerato un atto terroristico.
Hernan Longo, dell’ufficio del antiterrorismo dell’ONU a Bangkok ha detto al giornale: “Perché si possa applicare questo strumento legale internazionale contro il terrorismo, le motivazioni dell’attacco, l’ideologia o il gruppo o la rete di sostegno sono irrilevanti”
Il riconoscimento del terrorismo potrebbe accelerare l’assistenza di altri paesi nella raccolta delle prove, nell’attivare i meccanismi legali internazionali che permettono “il congelamento senza ritardo di proprietà di terroristi o l’istituire le basi per stabilire la giurisdizione sui crimini, in quei casi dove hanno interesse diretto nelle indagini più di uno stato a causa della nazionalità delle vittime o degli esecutori.”
“Garantisce anche che la cooperazione non sarebbe rifiutata su accuse potenziali sulla natura politica dell’atto, come crimini che non possono essere considerati di una natura politica”.
Nel frattempo ci sono altri aspetti preoccupanti delle indagini. I due detenuti stranieri, Karadag e Yusufu Mieraili, sono ancora detenuti in una prigione militare piuttosto che una civile a Bangkok.
Sotto queste condizioni e senza la presenza del proprio avvocato che Karadag ha confessato di aver posto la bomba al tempio di Erawan. Come un precedente utile per un tribunale militare, i sospettati che hanno tuttora un mandato di arresto di un giudice civile hanno ricevuto ultimamente un nuovo mandato di arresto da parte di una corte militare. La prospettiva che questo processo di alto profilo sia alla fine fatto in un tribunale militare è preoccupante perché ci si attende che le procedure siano meno trasparenti di quelle civili.
Sam Zarifi, direttore regionale di ICJ dice: “I tribunali militari nel mondo e in Thailandia non hanno la capacità di gestire casi complicati come questo”. Se il processo va ad un tribunale militare “il caso perderebbe davvero una gran parte di legittimità nella comunità internazionale e in Thailandia”.
Morirono 14 stranieri tra i quali sette cinesi, cinque malesi ed un singaporeano. Il mondo osserverà scrupolosamente. Tan Hui Yee
Il secondo commento di Joshua Kurlandzik di Asia Unbound
Le svolte e le contorsioni delle bombe a Bangkok
Dopo oltre un mese del mortale attacco al tempio di Erawan a Bangkok centro, le autorità thai hanno fatto due arresti ed emesso 17 mandati di cattura complessivamente.
Lunedì la polizia annunciò che uno degli uomini in custodia era la persona vista sull televisione a circuito chiuso il giorno della bomba, che sembra stesse lasciando una bomba al tempio. Ma alcuni commentatori thai restano scettici che il governo si sia avvicinato alla risoluzione del caso.
La mancanza di fiducia sul fatto che la polizia abbia preso i reali colpevoli nasce da vari fattori. Prima cosa, negli ultimi anni la polizia thai e le forze di sicurezza hanno dimostrato una tendenza a indagini problematiche nei grandi crimini, che siano le bombe dell’anno nuovo del 2006, o il caso di omicidio a Koh Tao, in cui due turisti stranieri furono uccisi sull’isola.
Nel caso di Koh Tao la polizia annunciò prima che due poveri emigranti birmani, ora sotto processo, avevano confessato il crimine, i quali poi ritrattarono ed affermarono di aver confessato sotto tortura. Ora sono sotto processo ma ci sono tante prove importanti che mettono in dubbio la loro colpevolezza. Più di recente il più importante esperto di medicina legale thai annunciava che il DNA sull’arma usata per l’omicidio non apparteneva ad i due imputati. Secondo il Time, “Il caso dell’accusa si affida al DNA ritrovato sul corpo di uno dei due turisti e le autorità dicono che è quello dei due accusati. Alla richiesta della difesa di avere una nuova analisi sui campioni la polizia ha detto che sono stati usati completamente”.
Come fa notare un commentatore Thai, Saksith Soiyasombut, la polizia thai continua ad usare metodi di indagine per lo meno antiquati. Continuano a presentare persone arrestate pubblico per ripetere gli atti criminali presunti. Agli inizi di settembre la polizia portò uno dei due sospettati della bombe a Bangkok, Yusufu Mierili a Bangkok Centro dove ripercorse i passi che avrebbe fatto la sera della bomba, mentre i giornalisti seguivano gli avvenimenti.
Tali simulazioni non permettono ai presunti criminali di avere un processo equo, sebbene quello che dicono in questa fase non possa essere usata nella corte (civile). In aggiunta Saksith nota, che le simulazioni non servono alle indagini, ed a volte hanno portato folle di persone ad attaccare i sospettati proprio dopo la simulazione.
La polizia thai talvolta riceve anche premi grossi annunciati quando chiaramente danno una svolta alle indagini, una pratica insolita per le polizie. Nel caso della bomba, la polizia thai ha già annunciato due volte che terranno due premi. Il primo premio fu originariamente offerto a chi dava suggerimenti per l’arresto dei sospettati, ma la Polizia li diede a se stessi. Poi all’inizio della settimana i capi della polizia annunciavano che la polizia si premiava da sola di un secondo premio per aver fatto progressi sostanziali nelle indagini….
Terzo ci sono state tante inconsistenze nelle affermazioni delle persone arrestate e nelle affermazioni delle autorità thai su quelli arrestati e le ragioni per l’attacco. Alcune volte hanno detto che chi ha messo le bombe a Bangkok agiva per vendicare una repressione sulla rete degli schiavi, per vendicare la deportazione di un gruppo di Uighurs rispediti in Cina, per colpire il governo thai a favore dell’insorgenza nel profondo meridione, o persino per ragioni interne alla politica thailandese. In vari momenti delle indagini i rappresentanti del governo hanno detto che uon degli uomini arrestati non era quello che aveva posto la bomba; ora invece dicono che è proprio lui.
Il governo ha anche provato ad implicare tanti altri sospettati, per lo più oppositori locali al regime.
Infine dopo oltre un anno di governo della giunta militare, il livello di sfiducia nel governo è generalmente cresciuto, e questa sfiducia si riversa su come il governo gestisce questo caso.
Politiche opache e repressioni sul dissenso restano la norma. All’inizi di settembre il noto giornalista Pravit Rojanaphruk, critico aperto del regime, fu portato in una piccola cella presso una base militare per la modifica delle attitudini. Dopo la sua liberazione lasciò il suo lavoro presso il giornale importante dove lavorava chiaramente sotto la pressione di alcuni suoi colleghi.
Joshua Kurlantzick