Il nazionalismo birmano che emerse nel periodo coloniale fu sviluppato dalla classe media barmar, e metteva in risalto la lingua birmana e il buddismo theravada,
I Rohingya sono un gruppo etnico musulmano minoritario che vive nella parte nordoccidentale dello stato birmano Rakhine che condivide con il Bangladesh una frontiera sul fiume Naaf. I Rohingya sono diventati noti a livello internazionale per essersi rifugiati in Bangladesh per ben due volte, la prima verso la fine degli anni 70 e la seconda all’inizio degli anni 90. Mentre la maggioranza dei Rohingya poi tornò nella loro terra natia, ci sono ancora campi di rifugiati tra Teknaf e Cox’s Bazar nella parte più meridionale del Bangladesh. Oggi ci sono tante persone Rohingya nate e cresciute dentro questi campi di rifugiati.
Dopo il secondo esodo di rifugiati agli inizi degli anni 90, fu rafforzata la sicurezza alla frontiera da entrambi gli stati che ha reso duro la fuga dei Rohingya in Bangladesh via terra. Perciò hanno abbandonato la via terrestre e hanno iniziato invece a usare le vie di mare con imbarcazioni che mirano a raggiungere la Malesia e l’Indonesia.
A maggio 2015, accadde un incidente in cui migliaia di rifugiati Rohingya su navi di legno restarono dispersi in mare, mentre le autorità della regione rifiutavano di prenderli. Fu una notizia che scioccò il mondo. Su questo incidente vi era la questione perniciosa dell’affare dei rifugiati. Una organizzazione gestita da Thailandesi aveva individuato i Rohingya, raccoglieva denaro da loro e di segreto permetteva che le loro navi di legno navigassero verso la parte meridionale della Thailandia. Dopo l’approdo li portavano verso la Malesia e Indonesia per fare soldi. Comunque Il governo thailandese represse questo traffico illegale ponendo severe restrizioni sui movimenti delle organizzazioni che portarono a casi in cui l’organizzazione uccise o abbandonò i Rohingya quando divennero un guaio molto forte. Inevitabilmente la via marittima del traffico di schiavi divenne difficile mentre i rifugiati furono lasciati in mare alla deriva.
Il rifiuto netto di prendere rifugiati dalle autorità della Thailandia, Malesia e Indonesia che erano le scelte privilegiate dei rifugiati per toccare terra, rese il problema più serio. In seguito alla conferenza internazionale del 29 maggio 2015 in cui 17 paesi parteciparono e due sedevano come osservatori, Malesia e Indonesia cambiarono posizione accettando la responsabilità per la protezione dei rifugiati entro il limite temporale di un anno. Ciò non ha risolto la questione, quanto tutte le questioni ad esse connesse sono state soltanto rimandate.
Per prima cosa, nessun paese vuole prendersi la responsabilità di questa questione. Non è difficile immaginare la situazione difficile per questi paesi nel trovarsi di fronte a rifugiati “non voluti”. Eppure anche considerando questo, le risposte ai rifugiati in balia dei mari da parte malese e thailandese, nei cui paesi ebbero luogo omicidi di massa di rifugiati da parte delle organizzazioni schiaviste, sono state troppo fredde in relazione al peso di responsabilità da assumere.
Seconda cosa, è fortemente prominente il senso di irresponsabilità del governo birmano che avrebbe dovuto accollarsi la maggiore responsabilità. Inizialmente la Birmania non intendeva neanche partecipare alla conferenza internazionale assumendo la posizione secondo cui “Questo è un problema di schiavi e non ha nulla a che fare col nostro paese”. Successivamente, capirono che una simile posizione non sarebbe stata accettata dagli altri paesi e decisero di partecipare alla conferenza. La Birmania comunque insistette affinché gli altri paesi non usassero il termine Rohingya, aderendo strettamente alla loro idea che “i rifugiati che sono dispersi in mare sono persone del Bangladesh” rifiutando chiaramente di riconoscere la loro responsabilità.
La tendenza ad escludere i Rohingya presa dal governo birmano è stata sostenuta dalla pubblica opinione nel paese sin dagli anni 70. Sebbene il governo in via temporanea avesse riconosciuto la loro esistenza dopo l’indipendenza del paese, il governo birmano li ha sempre considerati “immigrati clandestini” provenienti dal Bangladesh per oltre 50 anni, rifiutandosi di considerarli come indigeni della Birmania, di dare loro la nazionalità ed usando il nome Bengalesi. Nel frattempo il governo del Bangladesh anche non riconosce i Rohingya come propria gente ed affermano che questo gruppo etnico appartiene alla Birmania. In questo modo i Rohingya sono stati esclusi da entrambi i paesi.
I sentimenti birmani contro i Rohingya si originano dai seguenti fatti. I Rohingya hanno una pelle più scura e tratti cesellati, non parlano il birmano in modo fluente e soprattutto sono musulmani. I Rohingya inoltre sono visti come persone che credono in un Islam particolarmente conservatore, cose che “proverebbe” la loro origine bengalese e l’essere immigrati clandestini.
Quando i buddisti dello stato Rakhine attaccarono i Rohingya nel giugno 2012, il governo birmano costruì uno spazio di quarantena come un ghetto a Sittwe nella parte settentrionale dello stato Rakhine per “proteggerli” e mantenere tanta gente Rohingya confinata lì. Ad altri Rohingya fu strettamente proibito di uscire dall’area del nordovest dello stato Rakhine. Questa condizione continua anche oggi, e di conseguenza le loro prospettive future non sono solo ristrette, ma non possono anche scappare dalle dure condizioni di vita dove soffrono di grave malnutrizione e cattiva sanità e dove i bambini non possono ricevere istruzione.
La storia dei Rohingya
Chi sono i Rohingya come gruppo etnico e che tipo di storia hanno? Sono davvero un gruppo etnico di un retroterra oscuro e qui cercheremo di indagare la loro storia finché possibile.
Il nome Rohingya appare nei documenti e materiali storici solo dal 1950. Verso la fine del secolo dei lumi, nel 1799, il medico scozzese Buchanan-Hamilton dell Compagnia delle Indie britanniche, registrò che c’erano persone definite “Rooinga” nello stato Rakhine, dove fece visita all’allora regno di Birmania nella dinastia Konbaung attraverso la regione del Bengala. Comunque non è stato mai provato che si trattasse dello stesso gruppo degli attuali Rohingya. Il medico era un dottore con molto talento ma non era addestrato come linguista o etnologo. Dal momento che il nome Rooinga non appare in ogni altra letteratura importante scritta da occidentali oltre lui, la validità di questa affermazione è difficile da giudicare.
Nel frattempo intellettuali Rohingya dispersi nel mondo danno commenti sulla loro storia che risalirebbe al secolo VIII. Sembra implausibile pensare che l’Islam, che si stabilì nella regione nel VII secolo, avesse raggiunto un posto così distante come la costa occidentale birmana in soli cento anni. Islam raggiunse l’India solo nel IX secolo.
In seguito nel regno di Arakan, dal 1430 al 1785, che fiorì dalla prima metà del XV secolo alla fine del XVIII si sa che musulmani vivevano insieme ai buddisti. Mentre questo regno era una dinastia buddista, i primi undici re tolleravano l’Islam e i musulmani fino al punto che si presentavano usando i loro nomi islamici quando commerciavano com mercanti musulmani nella Baia del Bengala. Dati storici confermano che c’erano re musulmani con posizioni e titoli all’interno del palazzo reale. La popolazione musulmana dentro il regno consisteva, per lo più, di discendenti di persone che erano state portate come prigionieri, come pure mercenari e delle loro famiglie. In questo periodo non si osservò nessun conflitto religioso tra buddisti e musulmani. La capitale di questo regno era chiamata Mrohaung, da cui secondo gli intellettuali Rohingya sarebbe disceso il nome Rohingya.
In seguito al collasso del regno di Arakan nel 1785 a causa dell’aggressione del regno birmano, la popolazione barmar governò la regione per i successivi 40 anni, mentre i musulmani che non apprezzavano questo cambiamento fuggirono sul lato bengalese insieme ad alcuni buddisti Rakhine. In seguito la situazione cambiò totalmente. Ci fu lo scoppio di una prima guerra anglo-birmana del 1824. Quando l’area divenne colonia britannica con la sconfitta del regno birmano nel 1826, i musulmani cominciarono a migrare in massa dal lato bengalese che portò al loro nuovo insediamento attraverso varie generazioni.
Questo improvviso influsso di immigranti distrusse la relazione di coesistenza tra buddisti Rakhine e musulmani. Nel XX secolo il confronto tra questi due gruppi divenne sempre più serio. In Birmania che divenne colonia britannica nel 1886, molti immigranti dell’India si riversarono a Rangoon. Indipendentemente dallo status di questa gente, Indù o musulmani, vennero come lavoratori di classe inferiore, e la maggioranza giunse come immigrati temporanei che pensavano di tornare in India nel giro di qualche anno. In contrasto i musulmani che immigrarono a nordovest dello stato Rakhine si sistemarono lì diventando indigeni. Questa fu la causa che creò frizioni graduali ma serie tra musulmani e buddisti.
Il conflitto tra buddisti e musulmani fu esacerbato durante la seconda guerra mondiale quando l’esercito giapponese invasore armò alcuni buddisti Rakhine che lottarono contro le forze musulmane, armate dall’impero inglese. La lotta tra questi due gruppi divenne una “guerra di religione” ad un livello separato della guerra tra Giappone e Gran Bretagna, ed il conflitto tra buddisti e musulmani finì per raggiungere perciò un punto irreparabile.
Dopo la guerra, la Birmania ottenne l’indipendenza nel 1948. La parte nordoccidentale dello stato Rakhine che condivide con il Pakistan Orientale, ora Bangladesh, la frontiera nazionale restò una regione al di là del controllo completo del governo centrale fino ai primi anni 50. I musulmani bengalesi che soffrivano di mancanza di alimenti nell’allora Pakistan Orientale, si spostavano nello stato Rakhine intensificando il conflitto con i buddisti. Questo nuovo grappolo di immigrati includeva un gruppo ribelle chiamato Mujahideen guidato a Pachistani (soppresso dall’esercito birmano agli inizi anni 60). In quel periodo i Rohingya si fecero avanti per dichiarare che Rohingya era un termine generico per definire i musulmani che vivevano in quella regione.
Oggi il più vecchio documento tracciabile che usa il nome Rohingya è una lettera indirizzata al primo ministro U Nu nel 1950. Era una lettera di due pagine sotto il nome di “Anziani Rohingya dell’Arakan settentrionale” consegnata al primo ministro quando fece visita a Maungdaw, dove si concentra una popolazione Rohingya, nella parte nord occidentale del Rakhine.
Non si può negare la possibilità che il nome fosse già usato prima di questa lettera, ma non si trovano le fonti storiche documentabili. I documenti ufficiali amministrativi prodotti dagli inglesi quasi esclusivamente usavano il termine Chittagoniani, né il termine Rohingya né altri nomi la cui pronuncia fosse simile a Rohingya appaiono in questi documenti.
Infatti insieme all’ambiguità sui tempi in cui questa gente cominciò ad usare il nome Rohingya, è anche poco chiaro come i tre strati storici di musulmani in questa regione si mischiarono e per quali ragioni cominciarono a mantenere l’identità Rohingya. I tre strati storici sono i residenti del periodo del regno di Arakan, gli immigrati del Bengala durante il periodo coloniale e i nuovi immigranti nel periodo dell’indipendenza. Senza la soluzione del mistero dell’identità la gran parte dell’opinione pubblica continuerà a considerarli “immigrati illegali del Bengala”. La ragione è che i i birmani sono attenti solo al terzo gruppo, “lo strato di immigrati musulmani” che entrarono nell’immediato periodo successivo alla guerra. Per la memoria pubblica birmana, era come se non ci fosse stata alcuna immigrazione musulmana precedente all’influsso di questo terzo gruppo.
Un fatto che probabilmente è stato dimenticato è che il governo birmano intese accettare i Rohingya, per un certo periodo di tempo dopo l’indipendenza. Nel parlamento birmano del dopo indipendenza c’erano due musulmani eletti dalla circoscrizione elettorale del Nord Rakhine, Sultan Ahmed e Abdul Ghaffar, che erano membri attivi della Lega antifascista della gente libera, AFPFL. Non ci sono prove per dire che questi due si identificavano come Rohingya. Cionondimeno in parte perché erano membri del partito di potere, il governo birmano accettò la loro affermazione e pianificava di portare la regione Mayu, che include Buthidaung e Maungdaw dove vivevano molti Rohingya, sotto il diretto governo centrale per prevenire l’intervento dei Buddisti Rakhine e proteggere i musulmani nella parte nordoccidentale dello stato Rakhine. In aggiunta durante la fine degli anni 50, il governo permise anche la trasmissione in onde corte in lingua Rohingya, precisamente il dialetto di Chittagong di lingua bengalese, durante un periodo di tempo designato.
Queste considerazioni per i Rohingya scomparvero nel 1962 quando l’esercito birmano prese il potere col golpe dal primo ministro U Nu. Il nuovo governo promosse fortemente la centralizzazione con lo slogan “la via birmana al socialismo” ed accrebbe la logica che escludeva i Rohingya. I birmani dentro il paese sostennero questo approccio. Il nazionalismo birmano che emerse nel periodo coloniale fu sviluppato dalla classe media barmar, e metteva in risalto la lingua birmana e il buddismo theravada, che aveva avuto un’influenza significativa su molti nazionalisti birmani nel dopo indipendenza. Per questa ragione persone che non parlano il birmano e non credono nel buddismo theravada erano disprezzati dai buddisti barmar, la maggioranza, e si venne a stabilire nel paese il clima in cui queste popolazioni erano state oggetto di esclusione.
Il sentimento anti Rohingya si intensificò in particolare a causa del fatto che i Rohingya consistevano di immigrati musulmani, e questa situazione rese più difficile risolvere la questione Rohingya.
Punti per una soluzione
L’opinione pubblica esclusiva vers i Rohingya dentro la Birmania si è originato dal sentimento anti indiano che si sviluppò durante il periodo coloniale. Oltre a questo, la paura del lato buddista, che assumeva che i musulmani provavano ad espandere la loro popolazione in Birmania, si sovrapponeva con questo sentimento anti emigranti indiani, e i sentimenti razzisti basati sul colore differente della pelle e l’apparenza differente della faccia ulteriormente lo appesantirono. E’ quasi impossibile cancellare questi sentimenti di paura dal paese in un breve periodo di tempo. Richiede tempo e sforzi pazienti, mentre il processo è pari allo sciogliere una rete complessa di fili.
Ironicamente, in seguito al cambio del sistema politico da regime militare ad “amministrazione civile” nel marzo 2011, la libertà di parola fu facilitata e il discorso religioso divenne anche liberalizzato. In questo nuovo ambiente alcuni monaci buddisti estremisti iniziarono a condurre sermoni che attaccano l’Islam. Sotto il regime militare, questo tipo di discorsi erano visti come un disturbo alla pace e i monaci erano arrestati per questo. Non è comunque più il caso in Birmania. Mentre è proibito l’uso politico della religione nella costituzione, non ci sono azioni fatte per impedire questi sermoni che sono dei discorsi di odio. Alcuni buddisti, influenzati da queste preghiere malevoli, intraprendono azioni pericolose attaccando anche fisicamente i musulmani. Consci della maggioranza dell’opinione pubblica, i media locali esitano anche a riportare criticamente la questione dei sermoni contro l’islam condotti dai monaci.
Più si guarda alla realtà, più difficile diventa trovare il modo di risolvere la situazione. L’UNHCR e varie ONG internazionali che riconoscono questa questione come una questione di diritti umani compiono azioni per dare sostegno materiale alla gente Rohingya. Comunque la realtà è che persino queste azioni servono ad inimicarsi la maggioranza buddista.
Nel frattempo, è anche vero che sono iniziati sforzi costanti verso la formazione della società civile ad un livello differente rispetto al livello politico. E’ una candela che splende lontano nell’oscurità. Eppure sebbene poco a poco, i dialoghi tra i gruppi etnici come pure tra le religioni, e spunti verso la mutua riconciliazione del conflitto mostrano segni di diffondere questi sforzi tra i cittadini. E’ anche un movimento per liberare la gente dal nazionalismo chiuso che opprime il paese.
C’è per esempio un movimento originato da Min Ko Naing, ex capo del movimento studentesco ed ex prigioniero politico. Durante il movimento del 1988 era un capo carismatico ed ottenne popolarità a livello nazionale pari a quella di Aung San Suu Kyi. A causa di ciò il regime per contenerlo lo imprigionò per 20 anni. Durante la prigionia continuò la sua resistenza indomita fino al suo rilascio nel 2012. D allora non è stato coinvolto nella politica partitica. Invece ha collaborato con molta gente e organizzazioni verso la formazione di una società civile in Birmania e ha posto i suoi sforzi nello sviluppo di un movimento nazionale che cerca la revisione della costituzione nel tentativo di tenere i dialoghi tra religioni e gruppi etnici.
Anche le attività portate avanti da Lahpai Seng Raw, donna Kachin, sono degne di attenzione. Ha fondato la ONG maggiore della Birmania “Metta Development Foundation” che si ripropone sin dal periodo del regime militare di dare una formazione tecnologica a giovani generazioni e a stabilire anche asili per gruppi etnici nelle aree di frontiera nazionale. In aggiunta è coinvolta nel sosteer le attività in favore delle Persone dislocate internamente e per i rifugiati. Nel 2013 ricevette il premio Ramon Madsaysay che è l’equivalente asiatico del Premio Nobel. E’ una delle attiviste che fa continui sforzi nella società civile birmana mantenendo nel contempo una certa distanza dalle politiche partitiche come per Min Ko Naing.
In contrasto con Aung San Suu Kyi che ha intrapreso il cammino di entrare nelle politiche di partito, è degna di nota l’immagine di persone come Min Ko Niang e Lahpai Seng Raw che mirano a formare la società civile fuori dei partiti e continuano a fare sforzi costanti basati sulla prospettiva dei cittadini nel panorama politico della moderna Birmania.
Indipendentemente da quanto tempo sia richiesto, se spera che un giorno potremo trovare, a partire da questi sforzi, un’idea alla soluzione della questione Rohingya. Se i cittadini birmani non saranno liberati dal suo nazionalismo chiuso, questa questione non si sposterà di un passo verso la soluzione.
Nemoto Kei, Sophia University, Tokyo. PeacebuildingAsia