C’è un festival letterario prestigioso in Indonesia che si tiene ogni anno ad Ubud, nel centro dell’isola di Bali, da 12 anni, diventato ormai un’istituzione letteraria internazionale. E’ il Ubud Writers and Readers Festival che sarebbe dovuto iniziare oggi 23 ottobre con una parte del programma dedicato al massacro del 30 settembre 1965 in Indonesia. Il tema di quest’anno era “17000 isole di immaginazione”
A discutere del massacro ci sarebbero stati tre gruppi di discussione, una proiezione del film, premio Oscar, The Look of Silence di Jashua Oppenheimer, una mostra d’arte e il lancio del libro The Act of living. A pochi giorni dall’inizio sono stati tutti annullati a causa della censura applicata dalla polizia e dai militari sull’iniziativa.
Si legge dal sito del Festival di Ubud:
“Questo giunge dopo un’indagine sempre più intensa da parte delle autorità locali che hanno il potere di revocare il permesso di operare del festival dato dalla polizia nazionale. Il festival è stato coinvolto in negoziati intensi con le autorità locali ma alla fine ci è stato consigliato che, facendo andare avanti certe sessioni, si sarebbe corso il rischio che l’intero festival sarebbe stato cancellato e con esso 225 eventi”. Dopo tante discussioni si è deciso che non potevamo mettere in pericolo l’intero evento in questa fase finale.”
La polizia, i militari ed il governo locale avevano avvisato che il festival avrebbe potuto essere chiuso se quelle iniziative culturali sui massacri del 1965 fossero andate avanti. Di questo anno particolare per l’Indonesia abbiamo parlato diffusamente in questo blog più volte. Una cifra indefinita tra 500 mila ad un milione di persone, appartenenti al Partito comunista indonesiano o suoi simpatizzanti o persone ritenute tali, furono trucidate tra il 1965 e il 1966 in uno dei capitoli più oscuri della storia politica mondiale. La CIA americana, che pur diede una mano a questi massacri, li definì “uno dei peggiori massacri di massa del XX secolo”.
Se tutti conoscono i massacri dei Khmer Rossi, pochi conoscono questo massacro di cui si parla anche in un film di Mel Gibson, Un anno vissuto pericolosamente.
Questi massacri, associati anche ad arresti e confini a migliaia di altre persone, furono compiuti non solo dall’esercito guidato da Suharto, ma anche da associazioni religiose varie e da gang di criminali comuni. Di queste strage vi è la testimonianza diretta nel film di Oppenheimer.
Di questo buco nero della storia indonesiana non se ne vuole parlare anche perché chi li ha compiuti vive ancora e detiene posizioni politiche ed economiche ancora oggi, perché molti presidenti indonesiani passati avevano in qualche modo le mani in questa storia.
Le conseguenze sui familiari delle persone uccise o mandate al confino restano pesanti ancor oggi con l’ostracismo da diritti e posti di lavoro nel campo pubblico.
L’insegnamento della storia nelle scuole riproduce ancora la litania ufficiale di un tentato colpo di stato del PKI andato a male. Nessuna indagine è stata finora possibile persino sul numero reale delle persone scomparse e su ciò che realmente accadde.
Per la direttrice del Festival di Ubud, Janet De Neefe, arrabbiata per questo atto di censura, “E’ estremamente deludente e si può anche dire che il governo in modo codardo si rifiuta di discutere questa tragedia nazionale”. Assurdo anche perché negli anni precedenti si era già discusso di scrittori che parlavano di quell’anno. “E’ come se la censura sia diventata di moda di nuovo nel giro di una nottata”.
Il capo della polizia della provincia di Ubud ha detto a proposito del divieto “questo è per il beneficio della gente. Lo spirito del festival non è di discutere cose che avrebbero aperto vecchie ferite.” Ed ha aggiunto che la polizia ha autorizzato un festival di scrittori e lettori non di presentazioni di film. “Il film non ha superato neanche il test della censura” ha detto la polizia riferendosi al film di Oppenheimer.
E’ una tragedia che i familiari dei morti vogliono comprendere e metabolizzare, ed alcuni ritornano sui presunti luoghi del massacro a ricercare i resti umani dei propri genitori. E’ il caso di un cittadino svedese di 77 anni, Tom Ilijas, che è ritornato a cercare la tomba del padre a Sumatra che sarebbe stato seppellito insieme a tanti altri e che è stato rimpatriato con la forza.
L’uomo, Tom Ilijas era uno dei tanti che l’amministrazione del presidente Sukarno mandò a studiare all’estero e che dopo il massacro ed il colpo di stato di Suharto non potè più rientrare in patria.
Studiava Agraria presso l’università di Pechino e rimase apolide per 18 anni prima di diventare cittadino svedese. Tom era giunto insieme ad altri familiari ed amici e voleva vedere la tomba di sua madre nel villaggio di Salido, a tre ore di macchina dalla capitale di Sumatra Occidentale, Padang. Poi voleva rintracciare la tomba del padre che doveva essere una fossa comune non segnata dei simpatizzanti del PKI. La tomba era stata individuata in un rapporto della Commissione dei diritti umani indonesiana, Komnas HAM.
Mentre erano sul posto dove ci doveva essere la tomba, si ritrova circondato da una ventina di persone della sicurezza mentre i capo villaggio gli nega il permesso di visitare l’area. Sulla via del ritorno a Padang, viene fermato dalla polizia e viene interrogato, accusato di fare un documentario per denigrare l’Indonesia. Rilasciato, Tom Ilijas viene rispedito in Svezia e non potrà più rivedere la propria terra.
Per il regista Oppenheimer “E’ davvero sconvolgente. E temo che sia una riaffermazione del potere da parte di uno stato ombra. Spero di sbagliarmi”.
Lo scrittore Eka Kurniawan, ritenuto l’erede del grande scrittore indonesiano Pramoedya Ananda Toer, avrebbe dovuto apparire nelle discussioni e scrive: “Diciassette anni dopo la reformasi, dopo la fine dell’era di Suharto, siamo ancora perseguitati dalle stesse cose. Sembra che di recente sia rinata una nuova ondata di anticomunismo anche se il comunismo probabilmente non esiste in Indonesia. Se si tollera la censura delle idee, continuerà fino a che non raggiunge la sua apoteosi: eliminare le vite delle persone considerate differenti”.
Un altro autore che avrebbe dovuto partecipare è Putu Oka Sukanta che passò dieci anni di carcere senza processo perché sospettato di essere di sinistra. “Naturalmente come scrittore sono deluso del divieto della letteratura o delle attività relative alla libertà di espressione. La costituzione indonesiana permette la libertà di espressione e di parola…. Persino il governo promise di indagare su quello che successe nel passato. L’impatto della tragedia è enorme, toccò tutti i segmenti della società. Questo paese deve liberarsi dal peso del passato se vuole muoversi nel futuro.”
Certamente questa censura incredibile non passerà sotto silenzio a livello internazionale, visto l’intenso dibattito sugli eventi del 1965 che restano ancora profondamente radicati nella coscienza e nella pelle del popolo indonesiano e visto anche l’intenso successo di pubblico e di critica della letteratura indonesiana al festival del libro di Francoforte in Germania.
E’ stata una censura iniziata sin dai primi giorni di ottobre quando la polizia sequestrò il giornale letterario dell’università di Yogyakarta che poi bruciò in un rogo, riminescente di quella purga del 30 settembre 1965.