Il mondo, attraverso i media, vide la devastazione e si bloccò. Non ci volle molto prima che giunse da tutte le parti della terra l’aiuto in soldi e in materiali facendo capire decisamente alla Filippine che non erano sole. Ma cosa è successo da allora?
Il governo ha immesso risorse nel compito enorme della ricostruzione sebbene restino per chi è stato colpito dal supertifone Yolanda problemi tremendi. Le aree devastate come la città di Tacloban non portano più i segni superficiali del disastro; le costruzioni sono state rialzate e gli affari si stanno riprendendo. E’ chiaro che si è fatto del progresso, ma le autorità ammettono che è stata completata una metà dei progetti di riabilitazione e costruzione dopo due anni dal tifone.
Nella zona di Cabalawan in Tacloban 115 famiglie ancora attendono una casa permanente che fu loro promessa. “Non è sicuro dove ci troviamo” dice Rhea Alaga, madre di due bambini, nel suo ricovero. “Ogni volta che piove mio figlio si aggrappa a me dicendo c’è una tempesta, c’è una tempesta” L’Autorità Nazionale della Casa aveva promesso che le case per Alaga e gli altri sarebbero state completate entro il 15 ottobre.
In una audizione al Senato i rappresentanti dell’autorità affermavano che appena un decimo delle case richieste erano state costruite. Il segretario alla comunicazione Coloma si affrettò a spiegare la ragione: “Dobbiamo comprendere che la devastazione fatta dal supertifone Yolanda era estremamente estesa. Secondo l’esperienza di altri paesi, due anni non sono sufficienti a trattare tutti i bisogni delle famiglie colpite.”
Ma stando alle dichiarazioni di Chaloka Bayani, inviato speciale dell’ONU per le persone dislocate internamente, il governo filippino non ha fatto proprio abbastanza: “Mentre va lodato in termini di risposta immediata, resta inadeguata la sua attenzione per assicurare soluzioni durature sostenibili per le persone dislocate internamente”
Imaginiamo quale sarebbe la situazione se governi stranieri, ONG, grandi imprese e cittadini non fossero intervenuti. Virtualente titte le grandi imprese filippine hanno dato tanto. La Croce Rossa e UNICEF erano sul posto quasi immediatamente. Volontari della fondazione Tzu Chi, fondata in Taiwan e con 10 milioni di membri in 47 paesi, arrivarono prontamente nell’area del disastro dando il proprio contributo nel lavoro pesante come pure a donare aiuti. Introdussero l’innovazione con un programma di 19 giorni di lavoro a pagamento in cui 34 mila sopravvissuti aiutavano a ripulire i villaggi ricevendo contanti per comprare quello che serviva e a riprendere l’economia locale. Urban Poor Associate continua ancora ad assistere le famiglie dislocate a Tacloban, per citare solo alcuni.
C’è uno sforzo rinnovato nel non dare solo alimenti e riparo ma a riporre l’attenzione sul quadro più complessivo. Lo scorso marzo la delegazione filippina alla Conferenza Mondiale sulla riduzione del rischio da disastro a Sendai in Giappone, si è battuta per una maggior consapevolezza di come gestire gli effetti delle calamità del tipo di Yolanda.
“Il nuovo quadro di azione prioritaria per la riduzione del rischio da disastro deve affrontare i rischi crescenti presenti nei paesi specialmente nelle comunità vulnerabili.” ha detto la senatrice Loren Legarda che guidava la delegazione. Dopo tutto cosa c’è di più importante che apprendere come approntarsi quando qualcosa come il supertifone Yolanda dovesse colpire di nuovo?
Preparazione al disastro resta una bella frase ad effetto tra i governi locali ma la domanda da fare: Siamo davvero pronti? Il governo ha fatto molto per aiutare quelli il cui mondo fu sconvolto dal supertifone Yolanda, ma la verità è che il suo compito resta incompleto.
Finché resteranno famiglie dislocate in rifugi improvvisati e i loro bambini avranno paura del rumore di un tuono, resta molto da fare.
EDITORIALE DI INQUIRER.NET