Il 20 gennaio scorso, dopo i proclami governativi di una migliorata situazione nelle province del profondo meridione thailandese di frontiera di Naratiwat, Pattani e Yala, 50 militanti attaccano una base militare nella provincia di Naratiwat ed uccidono 6 soldati ferendone altri 14.
Nel raid rubano vari fucili e munizioni ed altre armi gettando nello scompiglio l’intero accampamento. Subito dopo l’attacco sono stati mossi duemila militari alla ricerca del gruppo e delle armi rubate, mentre sono 60 mila i militari coinvolti nella guerra.
La legge di emergenza è stata nel frattempo estesa per altri tre mesi col le proteste delle ONG dei diritti umani che contestano la validità e l’atteggiamento del governo centrale di Bangkok ed il potere assoluto delle forze armate che, con le loro costante violazioni dei diritti umani, non fanno altro che alimentare la rivolta e la violenza, dando la chiara percezione anche di una profonda mancanza di rispetto della differente cultura, religione e lingua della popolazione locale.
Il raid è percepito quindi allo stesso livello di un precedente raid del 2004, di uguale spessore, che segnò l’inizio della insorgenza nelle province del meridione Thailandese.
“Invia un grave segnale a quei settori dello stato e della società civile dicendo che gli attuali approcci al lavoro non sono riusciti a portare pace e sono stati semplicemente applicati senza unità. Da qui la violenza armata è continuata.” dichiara la Cross Cultural Foundation.
Nel suo comunicato, CCF denuncia l’incapacità del sistema giudiziario thai a dare giustizia specie se nei processi sono coinvolti i militari e specie se la giustizia da amministrare è in favore delle minoranze musulmane.
Un esempio è il caso della scomparsa di un avvocato dei diritti umani thailandese e musulmano, Somchai Neelapaijit, sin dal lontano 12 marzo 2004, che ha avuto come colpa di aver denunciato un officiale di polizia per violenza e tortura contro un suo difeso, secondo la ONG thailandese, la giustizia non riesce ancora ad emettere il verdetto di appello del processo.
Altro caso eclatante è l’assoluzione dei generali ed ufficiali di polizia accusati di aver torturato alcuni degli arrestati accusati di aver assaltato un campo militare il 4 gennaio 2004 per rubare le armi, un fatto che diede origine alla scalata di violenze e all’insorgenza che attanaglia ancora parte del sud thailandese, un’assoluzione perché non ci sono prove di tortura. Gli arrestati che denunciarono la tortura erano difesi proprio dall’avvocato Somchai Neelapaijit.
“Il furto di armi e la scomparsa forzata del legale dei supposti accusati nel furto del 2004 riflette proprio la violenza fisica e armata e un dejavu di perdite di vita e di proprietà tra la popolazione complessiva, di docenti, di ufficiali dello stato sia musulmani che buddisti, senza alcun riguardo dall’età e dal sesso. Un gran numero di bambini, donne e anziani sono diventati vittime in questi conflitti armati.
Il nuovo furto di armi e la mancanza di progressi nei casi legali legati alle province della frontiera meridionale, come la scomparsa dell’avvocato Somchai, il caso di Tak Bai (dove decine di giovani musulmani furono trucidati nei mezzi di trasporto dei militari, il caso della moschea di Kreuse, la sparatoria di I-Payae mostrano ancora altri dubbi sulla capacità e l’efficacia degli attuali meccanismi dello stato per assicurare la giustizia…”
L’organizzazione sostiene che ci sono possibili passi che il governo può fare: sospendere il decreto di emergenza in alcune province, pensare ad una forma di autonomia e di regione autonoma per le province della frontiera meridionale che vogliono dire il riconoscimento della specificità di queste province e fare amministrare a loro stessi tutti quei milioni di dollari che lo stato ha investito in questi anni in progetti rivolti alle comunità del posto.
Un professore universitario, Ahmadsomboon Bualuang, studioso di non violenza e che ha partecipato a varie commissioni di riconciliazione, nei suoi studi mostra come dell’immenso budget, quasi 5 miliardi di dollari in sette anni, pochissimo ha raggiunto la popolazione locale.
Qualunque progetto governativo ha sofferto e soffre di mancanza di trasparenza e molti sono serviti soltanto agli interessi politici dei vari governi. Perciò è importante che vi sia un corpo indipendente che monitori i progetti per informare sugli sperperi e sulla corruzione, dal momento che molti progetti servono solo alle agenzie di stato e ai funzionari governativi.
Nel frattempo le cifre di questa guerra civile sono impressionanti. 11523 scontri armati tra Narathiwat, Pattani, Yala e alcune città del distretto di Songkla, con 6171 sparatorie, 1964 lanci di bombe e 1470 incendi. I morti sono 4370, di cui 3825 civili, 291 soldati e 254 poliziotti. I feriti 7136. I bambini resi orfani sono 5111 mentre le vedove 2188.
Dei casi di violenza legati alla sicurezza, 7680, 5872 casi sono ancora senza colpevole. Dei rimanenti 1264 sono stati arrestati mentre 544 sono ancora latitanti.
Ci vogliono ancora altri morti e violenze per una svolta reale nel meridione thailandese? Da molte parti è stata avanzata la proposta della creazione di un’amministrazione autonoma delle province meridionali di frontiera, dell’abolizione del decreto di emergenza e di richiedere un mediatore internazionale affrontando la situazione dell’insorgenza come dovuto.
Riconoscere la specificità e la differenza all’interno stesso dello stato thailandese e riconoscere che con la violazione dei diritti umani e l’assenza di giustizia nessun passo concreto verso la pace è possibile.