Cade una pietra tombale sulla scomparsa forzata di Somchai Neelapaijit con la decisione della corte suprema thailandese di prosciogliere i cinque poliziotti imputati del sequestro e della scomparsa forzata di Somchai convalidando così la decisione di una corte di appello del paese.
Scrive Achara Ashanaghachat sul Bangkokpost
“La corte ha anche deciso che la famiglia non può ricorrere nel caso perché non non esisteva alcuna prova concreta che Somchai, sequestrato nel marzo 2004, era morto o seriamente ferito.
La moglie Angkhana e la seconda figlia hanno rifiutato di firmare e riconoscere la sentenza.
“Sono profondamente delusa” ha detto Angkhana, vedendo che le parti coinvolte avrebbero ascoltato le prove secondo cui il marito sarebbe stato ferito gravemente e poi morto.
Somchai fu fatto scomparire mentre, come avvocato dei diritti umani, rappresentava cinque insorgenti musulmani del meridione che affermavano di essere stati torturati dalla polizia. Testimoni vari denunciarono di aver visto cinque ufficiali di polizia spingere l’avvocato Somchai in una macchina a Bangkok sulla Ramkhameng.
I cinque accusati sono il maggiore di polizia Ngern Thongsuk, colonnello Sinchai Nimpunyakampong, sergente maggiore Chaiyaweng Phanduang, sergente Randorn Sittikhet e Chadchai Liamsa-nguan. Il nome di quest’ultimo è Napanwuth. Erano per lo più ufficiali della divisione di soppressione del crimine, CSD.
Gli ufficiali del CSD erano stati colpiti dal fatto che Somchai, avvocato musulmano, aveva detto ai media che i suoi clienti, accusati di furto di armi da fuoco e violenza nel profondo meridione thai, erano stati picchiati dalla polizia e costretti a confessare cose non fatte.
L’accusa pubblica insieme alla famiglia di Somchai 16 giugno denunciò i cinque di aver rubato l’auto, l’orologio, la penna e il telefonino di Somchai di un valore complessivo di 900 mila bath.
Accusarono i cinque di aver assaltato Somchai e di averlo costretto a salire sul loro veicolo e poi di sequestro della sua macchina. Un mese dopo i cinque accusati si consegnarono negando le accuse.
Il 12 gennaio del 2006 la corte penale condannò Ngern a 3 anni di prigione per coercizione, assolvendo però gli altri quattro.
Lacorte prosciolse l’accusato dall’accusa di furto perché poi l’auto fu ritrovata alla stazione dei bus di Mo Chit e non c’erano prove sul furto delle sue cose personali.
Tutti gli accusati e ricorrenti fecero l’appello alla sentenza.
La corte di appello 11 marzo del 2011 assolse i cinque accusati affermando che le testimonianze dell’accusa sull’identificazione degli accusati erano confuse.
Lasciava cadere anche la richiesta della famiglia di Somchai di essere querelanti perché non esistevano prove che Somchai fosse morto.
Ma la corte emise un mandato di arresto per Ngern che si rifiutò di presentarsi al processo confiscando la sua cauzione.
Questa prova fu comunque non presa in carico perché nessuno delle compagnie telefoniche ha testimoniato nella corte e perché la polizia li prese in modo non ufficiale. La prova fu definita non affidabile.
La famiglia, come querelante, avrebbe voluto che la corte suprema acquisisse queste testimonianze per confermare l’autenticità delle accuse, ma il rigetto della Corte Suprema ha posto definitivamente una pietra tombale sulla scomparsa forzata di Somchai