Dopo sei anni, le famiglie Akkahad e Srithep, che persero i loro figli nella triste repressione sulle magliette rosse del 2010, sono irriducibili e determinate nella ricerca della giustizia per i loro cari.
Il figlio di 17 anni di Pansak Srithep, Samapan, fu ucciso alle prime luci dell’alba del 15 maggio 2010 sulla Ratchaprapop mentre la figlia di 25 anni di Payao Akkahad, Kamolkade, infermiera volontaria, fu uccisa alla fine della repressione il 19 maggio 2010 dentro il tempio di Wat Pathum Wanaram.
Sono due tra le 99 vittime della repressione che seguì a tre mesi di grandi manifestazioni contro il governo di Abhisit Vejjajiva. Ci furono anche altri 2000 feriti.
Come altre vittime della violenza politica nel paese e in altre parti del mondo, la ricerca della giustizia di queste due famiglie, di portare i colpevoli davanti al tribunale è stata sempre contrastata, non solo durante il governo militare.
Ci vollero due anni prima che La Commissione della Verità per la riconciliazione, TRC, sponsorizzata dal governo Abhisit, potesse rilasciare alcuni dettagli abbozzati dei risultati dell’inchiesta, mentre l’inchiesta della corte dava peso alla responsabilità militare per le morti. 17 morti complessivamente, tra le quali quella di Kamolkade, erano il risultato delle operazioni militari mentre 13 sono avvolte dal mistero, affermò una corte penale.
A settembre 2012 il TRC raccomandava che le autorità affrontassero le violazioni legali perpetrate da tutte le parti per via giudiziaria in modo equo ed imparziale.
Il governo di Yingluck Shinawatra, mentre allocava le somme per il risarcimento a centinaia di vittime e sopravvissuti, fu riluttante ad accettare le richieste delle vittime e di vari studiosi di portare davanti alla Corte Penale Internazionale i politici e i grandi generali coinvolti nella repressione, optando invece per una legge di amnistia totale controversa che portò al terremoto politico e al golpe del 2014.
La scorsa settimana Pansak e Payao fecero una camminata simbolica per la giustizia per i loro due figli trucidati. Dopo sei anni, si sentono ancora traditi e negati della giustizia per leloro perdite non volute. Questo mostra quanto un padre ed una madre siano determinati a vedere i colpevoli davanti ad un tribunale, piuttosto che mirare ad una “giustizia della storia”, per un processo che faccia rispondere agli agenti dello stato per i loro errori del passato.
La famiglie ebbero qualche speranza quando il Dipartimento di Indagini Speciali del Ministero della giustizia, nel 2012, incriminarono Abhisit e Suthep Thaugsuban che allora gestiva il Centro della risoluzione delle emergenze, CRES, di omicidio e tentato omicidio per aver ordinato la repressione militare sulle magliette rosse nel 2010. Nessun militare fu accusato. Il caso fu portato di fronte ad un tribunale penale.
La corte penale alla fine decise nel 2014 che non aveva giurisdizione per processare Abhisit e Suthep perché allora erano ministri in carica, inviando invece il caso invece alla Commissione Nazionale contro la corruzione, NACC, che è responsabile per le inchieste che riguardano l’abuso delle funzioni per determinare se c’erano prove sufficienti per procedere con il reato di abuso alla divisione penale della corte suprema.
All’unanimità il NACC votò il 29 dicembre di assolvere Abhisit, Suthep e l’ex capo delle forze armate Anupong Paojinda di abuso e negligenza del dovere in relazione alla repressione mortale.
La risoluzione del NACC non ha dato soddisfazione ai familiari delle vittime. Sembra contraddire un rapporto di HRW che indicava che i soldati iniziarono ad usare pallottole vere nel pomeriggio del 10 aprile del 2010, uccidendo e ferendo manifestanti, giornalisti e passanti, molte ore prima che le famose “magliette nere” che operavano in tandem con i manifestanti facessero la loro comparsa scontrandosi con i manifestanti.
Il rapporto di HRW “La discesa nel caos” documentò che l’uso eccessivo e non necessario della forza da parte dei militari causò molte morti e feriti durante le manifestazioni politiche del 2010.
L’alto numero di morti risultò in parte dall’applicazione di “zone fuoco con munizioni vere” attorno agli accampamenti del UDD. Cecchini e tiratori furono impiegati dal CRES in queste zone.
L’organizzazione notava anche che alcuni elementi del UDD tra i quali militanti con maglietta nera, lanciavano attacchi mortali contro i soldati, polizia e civili. Alcuni capi del UDD incitavano alla violenza con discorsi infiammati invitando i loro sostenitori a portare avanti disordini, incendi e saccheggi.
Il resoconto ufficiale rivelava che le autorità usarono 11303 pallottole vere da 11 marzo al 19 maggio 2010 tra le quali 2120 proiettili dei cecchini.
Certamente il periodo di sei anni è relativamente breve se lo si paragona ai 32 anni della richiesta dell’Argentina di portare militari e politici davanti alla giustizia per le scomparse forzate, o i 14 anni necessari perché i due presidenti sudcoreani Chun Doo-hwan e Roh Tae-woo furono condannati per il massacro di Kwangju e per corruzione.
Non dobbiamo lasciare da sole le famiglie di Srithep e Akkahad nella loro ricerca della giustizia. E’ responsabilità della società stabilire la giustizia storica per le giovani vittime.
Achara Ashayagachat, Bangkok Post.