Ricordo ancora quando il mio vecchio professore di etnologia ci spiegava che i Chao Le sono una tribù di nomadi del mare che popolavano alcune isole dell’arcipelago meridionale. Fisicamente, sono di corporatura alquanto piccola, di pelle ed occhi scuri. La maggior parte di loro ha capelli crespi e folte sopracciglia, piuttosto simili ai Melanesiani. I Chao Le hanno una loro lingua parlata, il cui vocabolario, però, è alquanto limitato; quando hanno contatti con gente esterna, tendono ad usare la lingua di quel gruppo. I Chao Le in Thailandia conoscono sia il Thai che il Malese, e chiamano se stessi “Orang La Ot”, che vuol dire “gente d’acqua”. Ma i Thai li chiamano “Chao Le” che la gente di città intende come “selvaggi del mare”. Sebbene i loro antenati fossero nomadi, oggi hanno smesso di spingersi molto lontano. La civilizzazione ha spinto i Chao Le sull’isola di Si Re gremendo l’area attorno all’intersezione Gecko. (Acqua e Terra, di Prateep Chumpol, In The Mirror, R Mendionez e B.O Anderson, 1985)
Lo chiede Human Rights Watch che aggiunge che il governo thai è obbligato a farlo secondo la convenzione dei diritti umani a proteggere i diritti di tutti coloro che vivono sul suo suolo.
Vari testimoni hanno detto che la mattina del 27 gennaio 2016, almeno 100 persone hanno attaccato un gruppo di Chao Le, zingari di mare, in una disputa di 33 rai di terra, 5 ettari, a Rawai beach a Phuket. La terra è di proprietà di Baron World Trade e si sovrappone con la terra ancestrale dei Chao Le. Le riprese video mostrano gli assalitori colpire i Chao Le con mazze di legno, a pugni e a calci. Gli assalitori poi hanno scaricato grosse pietre da camion vicino al luogo della manifestazione dei Chao Le che sedevano insieme come barriera umana per proteggere la loro terra. Almeno 30 Chao Le sono rimasti feriti ed è stato distrutto il loro equipaggiamento di pesca.
“I Chao Le si trovano di fronte allo sfratto dalle loro terre ancestrali di Rawai senza alcuna protezione dal governo” dice Brad Adams. “Le autorità thai devono intervenire immediatamente per fermare gli abusi, perseguire i delinquenti e risolvere la disputa nel rispetto dei diritti umani”.
Secondo una lettera della Baron World Trade del 30 dicembre 2015, Chatri Madsatun, rappresentante della compagnia, ha detto alle autorità militari e civili che la compagnia ha ottenuto legalmente i titoli della proprietà per creare un progetto di villa lussuoso sulla spiaggia di Rawai ma i lavori di costruzione sono stati ostacolati dai Chao Le che rifiutavano di abbandonare la terra della disputa.
Secondo gli standard internazionali, le imprese hanno una responsabilità di assicurare che le loro operazioni non contribuiscono agli abusi di diritti umani e di porre rimedio ai danni che possono aver arrecato. I rappresentanti della compagnia non hanno risposto alle richieste varie di HRW di loro commenti sugli scontri e di descrivere quali passi prendono per prevenire o affrontare la violenza.
Secondo le notizie apparse, il 28 gennaio il vice primo ministro Prawit Wongsuwan ha ordinato alle agenzie dello stato di risolver questa disputa affermando che non ci deve eessere nessun’altra violenza. “Chi ha sbagliato deve essere arrestato” ha detto. Lo stesso giorno il governatore provinciale di Phuket Chamroen Tipayapongtada ha ordinato al Baron World Trade di fermare i suoi lavori di costruzione e rimuovere le pietre che bloccano il passaggio per la comunità dei Chao Le. Ma al momento la polizia locale non ha fatto chiari passi in avanti nelle indagini sulle violenze. I Chao Le hanno lanciato una denuncia al ministero della giustizia il giorno 11 febbraio dove chiedono che il caso sia gestito dal DSI per assicurare imparzialità ed efficienza.
Nel rapporto “Apolidi di Mare” HRW identificò gli sfratti forzati come una minaccia grave a cui si trovano di fronte i Chao Le, in modo particolare i Moken e Urak Lawoi, nella comunità di Rawai Beach. I Chao Le che soffrono da decenni di povertà, marginalizzazione e discriminazione, in genere non cercano ad affermare i diritti di proprietà perché credono che la terra e l’acqua non devono essere di proprietà o controllati da una persona quanto condivisi da più persone. E sotto la legge thai senza cittadinanza e registrazione di residenza, i Chao Le non possono possedere la terrra anche se le loro famiglie vivono in Thailandia da generazioni.
L’articolo 10 della dichiarazione delle popolazioni indigene dell’ONU afferma che “le popolazioni indigene non devono essere rimosse con la forza dalle loro terre o territori”, mentre l’articolo 26 dice che il governo deve dare riconoscimento e protezione legale alle terre e risorse che tradizionalmente sono state di proprietà, occupate o usate da loro.
Un inchiesta del DSI del ministero della giustizia del 2014 trovò che il DNA delle ossa nell’area dimostrava che i Chao Le sono stati sulla terra contesa da oltre 60 anni. Vari gioverni hanno promesso di rivedere la questione della proprietà della terra ma non ci sono stati progressi finora. I Chao Le per anni hanno chiesto alle autorità thai di proteggerli dagli sfratti. Secondo i giornali nel giugno 2015 un gruppo di uomini minacciò di ucciderli se avessero provato a spostare i blocchi che erano stati messi sulla strada pubblica al loro villaggio che si sovrappone alla terra del Baron World Trade.
Bulai, una donna dei Chao Le della comunità di Rawai, ha raccontato a HRW le minacce di sfratto:
Eravamo in 14 in questa casa, di età che va da 1 a 60 anni. Siamo natitutti qui nel villaggio. Ma il documento di proprietà diceva che la terra dove viviamo da generazioni appartiene a qualche altro. Diceva che un uomo d’affari thai è il proprietario della terra. Ora ci vuole cacciare e venderla. Dove vivremo? Non so. Ad una ad una, le famiglie sono state portate in tribunale e hanno detto loro di andarsene dal villaggio, perché non hanno la proprietà della terra. Cerchiamo di dimostrare che noi venimmo qui per primi e dobbiamo avere il diritto di restare. Abbiamo mostrato ai rappresentanti del governo che i nostri antenati sono sepolti in questa casa. Le loro ossa sono antiche e deve essere una buona prova a nostro sostegno.
Nim, un uomo Chao Le dello stesso villaggio dice:
Il proprietario vuole questa terra. Ma noi ci mettiamo di mezzo. Ci ha denunciato per cacciarci. La corte guarda solo ai documenti. La corte dice: “Se non avete documenti dovrete andarvene indipendentemente da quanto tempo vivete qui”
“Il governo thai deve riconoscere rispettare i diritti dei Chao Le a vivere come sempre hanno fatto. Proteggerli dagli abusi, assicurare un percorso per la cittadinanza e la proprietà della terra, e dare accesso ai servizi fondamentali è il miglior modo per andare incontro a queste popolazioni indigene vulnerabili.” ha sostenuto Brad Adams