Era il 1999 quando un ricercatore giapponese dell’Università di Malaya a Kuala Lumpur, Hara Sintaro, giunge a Pattani per studiare il dialetto locale Malay in relazione alla lingua malay tipica.
Non c’era alcuna insorgenza allora e il giovane giapponese era solito andare a pranzo in un ristorante nel campus di Pattani ora scomparso.
Non c’era nulla in quei giorni che faceva presagire quello che poi sarebbe successo negli anni successivi.
Il giorno 11 settembre del 2001 Hara Shintaro è lì a gustarsi il suo riso al pollo delizioso quando il gestore del ristorante gli fa notare le scene di New York sulla televisione, gli attacchi alle torri gemelle.
“La storia era così surreale ed incompatibile con la calma dell’ambiente dove mi trovavo” dice Hara Shintaro. C’erano a quel tempo piccoli atti criminali ma la città era calma e tranquilla, nessun presagio di ciò che poi sarebbe diventata.
La comparsa sulla scena di Obama Bin Laden ed Al Qaeda in Pattani e qualcosa di molto differente dalla percezione occidentale che considera Bin Laden come il terrorista malefico. Compaiono le magliette con la faccia di Bin Laden e gli aadesivi del suo volto riempiono le macchine e i ristorantini lungo la strada.
“Chiesi ad alcuni amici perché sostenessero Osama Bin Laden. Chiaramente avevano una grande concezione di lui per la sua azione eroica contro la superpotenza americana, per l’essere riuscito a sfuggire alla CIA. Era allarmante. Prima di allora avevo pensato che fossero persone docili e pacifiche con uno stile di vita rilassato. Dopo l’attacco improvvisamente rivelarono la loro natura aggressiva sostenendo il noto terrorista. Questo ultimo sviluppo influenzò la mia percezione della gente locale”.
Per un giovane ricercatore di sociolinguistica vedersi spuntare dal nulla le foto di Osaa Bin Laden significò che la gente del posto era caduta sotto l’influenza del terrorismo globale di Al Qaeda o della variante locale di Jemmah Islamiah. Il 4 gennaio 2004 segnò, con l’attacco alla base militare thai, l’inizio dell’insorgenza che il giovane ricercatore giapponese vedeva come parte della ret globale del terrorismo islamico.
Per il colmo dell’ironia Pattani era stata una scelta di ripiego rispetto all’Indonesia che però nel 1998 era nel pieno di un cambio di regime dall’era Suharto alla nuova democrazia. Pattani allora era calma e tranquilla.
“Quindi venne la mia seconda scelta, Patani. Non mi sarei mai aspettato che il posto che avevo scelto come luogo della mia ricerca essenzialmente per la sua calma relativa, sarebbe infine diventato un campo di battaglia in uno dei conflitti più sanguinosi della regione.” scrive Hara.
Quando esplose il conflitto nel 2004, l’impressione del giovane ricercatore era che tutti fossero sbalorditi e che nessuno capiva cosa fosse successo, chi erano gli autori, perché facevano quelle violenze orribili, le ragioni. C’erano legami con Al Qaeda?
Ma alle domande numerose c’erano le risposte ancor più numerose. Gli autori per esempio diventavano i separatisti, poi la mafia locale, bande criminali. Quindi erano le ragioni non si capivano bene. Si era bombardati ogni giorno da notizie di esecuzioni e decapitazioni dei cadaveri.
Venne a crollare quel falso senso di sicurezza cosa e cresceva il senso di tensione fino ai due fatti più atroci commessi dalla sicurezza thailandese a Krue Se e a Tak Bai, quando morirono complessivamente un centinaio di persone.
Il giovane ricercatore, preda della tensione e della paura giustificata, non ha altro di meglio che chiudersi in casa e sorbirsi le notizie giornaliere dei morti legandole alla rete terroristica globale.
Dall’inizio del conflitto i poster iniziali di Bin Laden scompaiono. Quando poi Osama Bin Laden muore nel 2011, il conflitto non si ferma affatto.
“Iniziai a dubitare della mia prima assunzione” scrive il giovane ricercatore. Ci sono anche ragioni oggettive di questa incertezza iniziale. Essenzialmente è la mancanza di rivendicazione a seminare confusione, anche se ben presto si comincia a capire cosa è che si muove.
“Divenne sempre più chiaro che chi commetteva queste violenze condivideva ben poco delle basi ideologiche con le organizzazioni terroristiche globali. Erano entrambi musulmani ed usavano la violenza, considerando la propria lotta come jihad. Ma a parte queste similarità ufficiali non c’era una singola prova a mostrare che l’insorgenza nella regione mirava a creare uno stato pan islamico..”
Per l’insorgenza la loro si basa su tre componenti, che iniziano con le prime tre lettere dell’alfabeto arabo, alif ba e ta. La ragione dell’uso dell’alfabeto arabo è che i malay della regione usano ancora largamente e attivamente un sistema di scrittura chiamato Jawi, basato sull’alfabeto arabo con altre cinque lettere per i suoni che in arabo non esistono.”
Alif sta per la parola Malay “agama”, religione, l’islam. Ba sta per Bangsa che assume varie sfumature che vanno da nazione, a popolo, razza, etnia. Hara Shintaro dice che si riferisce ad un gruppo di persone che condividono storia, cultura e d identità comuni.
“Uno degli indicatori culturali forti dei musulmani malay di Patani è la loro lingua, un dialetto malay talvolta chiamato erroneamente Yawi che originariamente deriva da Jawi. In altre parti del mondo di lingua Malay come Singapore, Indonesia e Malesia anche se parli Malay la gente comprende che la tua religione è per forza l’Islam. Comunque a Patani non appena la gente scopre che parli malay ti chiede se sei musulmano. Questo non succede in altre aree di lingua malay.
Questa forte connessione tra lingua ed Islam è estremamente importante per capire l’esatta posizione della religione nella loro lotta. Gli insorgenti a Patani non lottano per la religione di per sé. Sono in essenza nazionalisti e per loro i concetti di Malay e musulmani sono inseparabili. Lottare per una cosa solo non ha senso nel contesto del movimento per la libertà di Patani. La loro religione ed etnia sono due lati della stessa medaglia.
La terza lettera ta indica tanah air, patria, che connota anche il forte carattere nazionalistico dell’insorgenza. Non hanno mai reclamato un singolo pezzo di terra che secondo loro appartiene alla Thailandia. Considerano che Patani non appartiene al regno, ma è la terra della gente Malay che fu colonizzata dal Siam. Il BRN chiama lo stato thai “penjajah Siam”, colonialisti siamesi.”
L’autore spiega che per Patani bisogna considerare quello che il BRN stesso ha identificato come tale, cioè le tre province di Pattani, Narathiwat e Yala e quattro distretti di Songkla.
Secondo l’autore lo stile del linguaggio usato dai gruppi armati di Patani e alcuni contenuti riflettono molto quello della lotta dell’indipendenza indonesiana, perché nel mondo malay solo gli indonesiani hanno dovuto usare la lotta armata per liberarsi dal colonialismo olandese
Con l’avvento dell’ISIS sulla scena mondiale è ben salda la nozione che i gruppi armati di Patani sono nazionalisti. Quindi la comparsa della simbologia dell’ISIS nel profondo meridione thailandese non è più visto come un’influenza dello stato islamico nella lotta nazionale, quanto “qualcosa di nuovo, non per la loro posizione ideologica o per le atrocità ma perché sono apertamente antiamericani e antioccidentali. Come c’era da aspettarselo questa simbologia poi è totalmente scomparsa”.
Ovviament con ciò non si può lasciar perdere tutto questo perché in qualche modo c’è una considerazione positiva. Poi la lotta contro l’USA può attrarre qualche sostegno emotivo dalla gente di Patani nonostante le atrocità.
“Come fa la gente di Patani a sostenere queste persone?” si domanda Hara Shintaro. “Non si deve dimenticare il fatto che la lotta del movimento di linertà di Patani non è basato su un puro nazionalismo ma sulla sua versione giustificata dallo Jihadismo.
Come detto prima, la loro lotta è essenzialmente nazionalista. Comunque secondo i gruppi armati la lotta è considerata come un obbligo religioso di tutti i malay poiché è una jihad. Quindi lo jihadismo è uno dei fattori più importanti nel reclutamento di nuovi militanti. Alcuni ricercatori dicono che tr i milianti meno di rango non si sa neanche a quale gruppo si appartenga. Sono chiamati Juwae, dal termine malay locale juang che vuol dire lotta. Solo dopo la firma del dialogo di pace del 28 febbraio 2013 questi juwae hanno appreso per la prima volta che la loro organizzazione è il BRN. Nel loro sforzo di mantenere la segretezza è perfettamente comprensibile.
La cellula militare più piccola del BRN è chiamata RKK, dal malay, piccolo gruppo di pattuglia, composto da sei militanti. Loro conoscono solo i loro comandanti diretti, impedendo così di implicare i comandanti superiori. Secondo la sicurezza tahi, la linea di comando del BRN consiste di ranghi che sono in linea con le divisioni amministrative del paese, dal villaggio al sottodistretto, distretto e provincia. Ogni rango conosce i diretti superiori e chi sta sotto il oro comando diretto. Quindi i militanti più semplici e i comandanti a livello superiore forse non si conoscono. Il reclutamento e l’addestramento vengono fatti sotto queste circostanze.
Come si sa già, quelli che sono in alto nell’organizazione come Hassan Taib sono persone fortemente politiche. MARA Patani si è dichiarata ala politica del movimento di libertà di Patani. La loro tendenza politica non è comunque condivisa su chi è sul terreno. Non vuol dire che non abbiano le proprie mire politiche ma deve essere qualcosa di più romantico di quello pensato dai capi politici.
Al reclutamento sanno che la lotta è quella dei Malay per la religione e la terra. Il loro unico scopo è l’indipndenza di Patani, e se perdono la vita durante la lotta saranno dei martiri… Rispetto ai capi politici, che vivono lontano dai campi di battaglia all’estero, i militanti sono molto di più carichi di jihadismo. Rischiano la vita, la famiglia e salute per il solo scopo dell’indipendenza che è così romanticizzata e glorificata. Una persona della famiglia di un militante ucciso di un RKK il 13 febbraio 2013 “Anche se otteniamo l’indipendenza per un solo secondo prima del giorno del giudizio per noi è un successo”.
E’ una discrepanza ideologica che fa porre sempre la domanda sulla loro capacità di controllare i militanti sul campo. Benché le due ali condividano lo stesso obiettivo dell’indipendenza, c’è una chiara differenza sul come conquistarla. Il dialogo e il negoziato potrebbe essere visto come di compromesso per chi lotta sul campo
“I colonialisti siamesi secondo la loro idea devono essere cacciati a tutti i costi per raggiungere l’indipendenza.”
Si potrà quindi raggiungere un dialogo efficace o un negoziato per raggiungere la pace a Patani?
“Non dobbiamo mancare però il punto secondo cui, anche se i militanti sul terreno desiderano l’indipendenza, essi sono nazionalisti. Per questa ragione, una volta che sono stati convinti con successo (che non è cosa facile) un dialogo efficace e un negoziato sono possibili, e questo deve essere fatto mentre possono ancora accettare tali soluzioni. Il fatto che non ci sono stati sabotaggi violenti contro il processo di pace è di per sé un fatto positivo.
D’altro canto un approccio da pugno di ferro contro l’insorgenza potrebbe avere effetti catastrofici. In base all’esperienza di 12 anni si può dire che non ci sarà un sicuro vincitore in questo conflitto. Con risorse inesauribili i militari non perderanno la guerra, ma resta il fatto che devono lottare ocntro l’insorgenza che proviene dalla gente del posto. Allo stesso modo non c’è davvero un modo di raggiunger il loro obiettivo attraverso la sola via militare. Proprio per questo il conflitto si è prolungato senza fine.
I negoziati di pace sono il solo modo per Patani di uscire dal conflitto che ha già fatto 6000 morti. Qui le foto di Bin Laden e dell’ISIS gettano un grande avvertimento. Quando gli insorti e la gente che li sostiene con forza, saranno disperati sul proprio successo, quando non saranno più soddisfatti dalla strategia attuale, si potrebbe verificare la possibilità di un passaggio ad una ideologia più radicale che le organizzazioni terroristiche globali possono fornire.
Prima le immagini di Bin Laden o dell’ISIS erano icone. Se saranno esposte di nuovo dalla gente del posto, potrebbero essere non più un’icona ma potrebbero considerarli i loro capi reali.
Perciò che si negozi con la Parte B mentre si può fare ancora un negoziato, prima che l’insorgenza si rivolga verso ideologie più radicali”.
HARA SHINTARO, Prachati.org