Guardando i post di Facebook al telefonino, Amina Aban ha visto la faccia di chi aveva ucciso suo padre. La foto era una di quelle che era già molto diffusa sui soldati uccisi in una battaglia a fuoco nelle Filippine meridionali.
Il soldato era musulmano, l’uomo che uccise il padre di Amina, che era esso stesso un comandante ribelle del MILF durante la fase più dura di una “campagna militare totale” che avvenne quasi 20 anni fa. E’ ora un sergente integrato nell’esercito filippino, parte di una precedente risoluzione di pace con fronte del gruppo ribelle principale a metà degli anni 90.
La sua è una storia semplice seppellita nella complessità del meridione di Mindanao dove entrambi le parti, governo e gruppi ribelli, hanno perso tempo a costruire le condizioni per una nazione in pace, che un tempo era terra promessa fertile.
Il problema di Mindanao non è terminato lì a causa della corruzione, incompetenza, rivalità tribali, scontri tra clan, mancanza di governo, un’intera serie di incomprensioni storiche.
Per Amina il dolore si è chiuso come un cerchio, con calma, senza le notizie virali dei media sociali. Per il paese, Mindanao percorre un ciclo di violenze che si perpetua da sé da quasi mezzo secolo di lotte e ribellioni.
Lo scontro a fuoco sanguinoso, che ha chiamato la vita di 18 uomini del 44° battaglione di fanteria a Basilan due settimane fa, è solo un altro esempio di una catena di disfatte nella strategia militare che attraversa ripetizioni e revisioni, strategie che non riescono a porre fine alla saga di Mindanao.
Perdite di questa grandezza sono accadute due volte nel decennio scorso, sulla sola isola di Basilan. E’ sempre stata la scena di una carneficina e di alcune decapitazioni da parte dei ribelli, che creavano ondate di disgusto a Manila quando la raggiungono le notizie, come se quello che la gente legge portasse ancora le ombre delle guerre precoloniali durante le ere dei sultanati.
Il terrorismo nel meridione ha subito varie svolte dagli anni 70 quando il grido di battaglia per i musulmani filippini era indipendenza. Anni di battaglie e sconfitte hanno ristretto le loro richieste di autonomia nelle cinque province, divise esse stesse tra vari gruppi etnici dal cuore di Mindnano alle isole dell’arcipelago di Sulu dove i radicali hanno libertà di muoversi.
Oggi i ribelli degli estremisti del Gruppo di Abu Sayaff, ASG, di cui molti dicono si tratti di criminali comuni sotto la bandiera dell’Islamismo, cercano un’alleanza con l’ISIS, mentre la generazione più giovane cerca di liberarsi dai capi rivali più anziani legati ad Al Qaeda. Alcuni hanno solo 20 anni e formano fazioni dentro l’arcipelago secondo fonti dell’esercito sul posto.
L’intelligence militare li classifica come Ispirati dall’ISIS che cercano un sostegno esterno e attenzione alla cosiddetta Jihad a Mindanao. Dopo la quasi morte dei loro anziani e capo causata dalla “guerra al terrore” americana nel meridione durante gli anni 2000, Abu Sayaff si dedicava a rapimenti per estorsione per sostenere la loro militanza.
Agendo come pirati di un tempo andato, ASG rapisce le sue vittime persino nei confini marittimi malesi e indonesiani. Ultimamente sono stati rapiti 18 persone per i quali si chiedono milioni di peso per la loro libertà. Un prigioniero malese fu decapitato alla fine dell’anno scorso per non essere riuscito a pagare il riscatto, cosa senza precedenti nella storia orrifica di ASG.
“C’è la probabilità che non avendo nessun altro posto dove andare, i più radicali tra gli islamisti abbiano potuto comunicare con ISIS cosa che si può fare con i media sociali” ha detto un militare in pensione. ASG lo ha fatto ponendo video che dimostrano l’affiliazione all’ISIS, sebbene debbano essere ancora provati i legami per cui l’ISIS sarebbe sbarcata a Mindanao.
Questo ha lasciato i militari impossibilitati nel pattugliare i mari per il loro cattivo equipaggiamento. Hanno minimizzato la minaccia per un po’ preferendo lanciarsi a testa bassa contro nascondigli nel mezzo della povera popolazione civile ritornando alle vecchie tattiche di combattimento. Ma allo stesso tempo il valore dell’intelligence è in qualche modo diminuito con sconfitte e falle come quelle accadute a Basilan a metà aprile.
Si è anche allontanata dalla campagna complessiva Bayanihan che si basava sul concetto di “costruzione della nazione” con l’aiuto di unità di governo locali ed altre organizzazioni civili. E’ ritornata alle dure operazioni del passato piuttosto che perseguire i risultati già sicuri dei comandanti che trovano modi creativi per allentare il conflitto sul campo. Scelse i comandanti sbagliati per quel compito.
L’incidente a Basilan di due settimane fa si originò da un ordine dell’esercito che il capo di Abu Sayaff doveva essere arrestato o ucciso prima del congedo del capo dello Staff questo mese per farne una eredità del suo comando. Tali sistemi ovviamente non funzionano come hanno sempre fallito nel passato.
Non c’è stata alcuna cerimonia formale per i 18 soldati morti, e le circostanze di un’altra operazione andata a male ha avuto una parziale censura. Quindi tutte le condoglianze andate su Facebook, dove anche Amina era tra chi scrisse che il tempo ha un modo di guarire senza l’amarezza o l’odio che alimenta i massacri.
La regione autonoma di Mindanao Musulmana ha un sistema caratterizzato dai datu, il governo dei capi locali, “dove i clan politici sono stati usati dal governo nazionale per promuovere interessi politici in cambio del permesso di governare e controllare le loro municipalità” secondo un rapporto confidenziale che valuta tutti i “mali” del meridione.
Questa descrizione si adatta bene all’arcipelago di Sulu dove una famiglia dinastica politica governa da anni e che ha dato ai militari un dilemma nella caccia ad Abu Sayaff, le cui famiglie sono troppo legate con quelle dei politici locali. Questo dà una ulteriore mano di grigio ad uno spazio maggiore in cui gli interessi complicano la guerra contro l’estremismo islamico.
Amina dice di voler che si realizzi qualcosa di molto diverso. Lei ha rivoltato la jihad di suo padre in qualcosa di buono, trasformando il suo campo in un villaggio al servizio della comunità. Per lei significa cercare di porre fine al ciclo di violenze e cercare la pace. A in molte parti di Mindanao i resoconti di violenza sono cresciuti dagli incidenti dei tre anni passati secondo lnterational Alert che monitora la situazione nella regione.
Molti scontri sono legati alla competizione politica tra clan in guerra per le prossime elezioni politiche di maggio. La radice del problema non è quindi solo dei ribelli islamici ma anche di chi deve servire la nazione.
Criselda Yabes, Asia Sentinel