Dovremmo mostrare a questa gente più compassione, scrive in un editoriale Thenation di Bangkok, un giornale per lo meno filogovernativo, di fronte alla vicenda di oltre 70 profughi Uiguri che languono nelle prigioni reali dopo essere fuggiti alla persecuzione in Cina e che hanno iniziato uno sciopero della fame. E smetterla di compiacere la Cina. Il rischio che hanno di fronte è il destino dei 109 Uighurs rimpatriati con la forza in Cina. Scrive Radio Free Asia:
Dovremmo mostrare a questa gente più compassione
Oltre 70 profughi Uiguri detenuti in una prigione della polizia di frontiera hanno iniziato uno sciopero della fame ed hanno inviato una lettera a Radio Free Asia affermando di preferire la morte piuttosto che il ritorno in Cina.
“Se ci restituiscono alla Cina, incontreremo la tortura fisica ed emotiva, come pure il rischio di essere ucciso o di restare in prigione a vita” lo hanno scritto dei detenuti Uiguri. “Perciò abbiamo annunciato uno sciopero della fame e crediamo che sia meglio morire per uno sciopero della fame qui. Continueremo nel nostro sciopero finché ci libereranno oppure ci trasferiranno in un paese terzo oppure finché non moriremo qui”.
La dura nota critica anche il governo thai e la polizia del dentro di detenzione:
“La Thailandia non ci consegnò alla Turchia, e non trattano noi Uiguri in detenzione come esseri umani infliggendoci una profonda sofferenza.” scrivono i detenuti Uiguri che si definiscono Per La Libertà. “Ci hanno separato dalle nostre donne e e nostri bambini, genitori e figli. Gli altri paesi non ci hanno aiutato affatto”.
Uno dei detenuti, in condizioni di anonimato ha detto: “Non siamo criminali. Siamo scappati dalle tante oppressioni della Cina per liberare le nostre donne e i nostri figli in un paese democratico della Thailandia. Se è democratica la Thailandia deve lasciarci andare in paesi come Turchia. Il governo thai non ci ha ancora rilasciato. E’ passato un anno dal rimpatrio forzato di 140 Uiguri in Cina. Speriamo di non dover subire lo stesso destino come l’ultimo gruppo, poiché in Cina soffriranno tortura e morte”.
Sono tantissimi gli Uiguri fuggiti dalla Cina, dalla regione autonoma Uiguri dello Xinjang cinese, dove tantissimi sono stati uccisi nelle violenze di questi ultimi anni, per raggiungere il sudestasiatico sperando di raggiungere poi la Turchia.
Per molti Uiguri la Cina è il paese colonizzatore di quello che loro definiscono il Turkestan Orientale. I legami con la Turchia sono sia culturali, etnici e religiosi.
Dopo la deportazione dello scorso anno di centinaia di Uiguri, che ora rischiano il carcere e la morte, con lo sciopero della fame si cerca l’aiuto di paesi terzi disposti a riceverli, ma molti paesi hanno preferito glissare.
“Vi chiediamo, comunità internazionale, non siamo proprio umani? Perché non ci potete aiutare? Temete la tirannia della Cina? Il poter della democrazia è più debole della legge comunista cinese?”
“Gli Uiguri nei centri di detenzione thailandesi rischiano di essere deportati in Cina, come gli altri 109 dello scorso anno. Ho davvero paura per la loro situazione proprio ora poiché abbiamo informazioni del loro pestaggio e delle violenze costanti della polizia Thai” dice Rukiye Turdush, esiliato Uiguro in Canada. “Chiediamo alla polizia thai di trattare i detenuti Uiguri con dignità e rilasciarli o di lasciarli andare in altri paesi liberi”.
Mentre il Canada ha deciso per il momento di non prendere altri profughi Uiguri, il rischio che non siano rilasciati affatto e che non riceveranno alcun visto di uscita.
In un editoriale del nationmultimedia.com dal titolo Dovremmo mostrare a questa gente più compassione si legge, dopo una breve introduzione della lettera dei detenuti Uiguri:
“Che piaccia o no, l’attenzione è sulla Thailandia per ragioni buone ed ovvie. Prima di tutto attenzione immediata a questo gruppo di oltre 70 persone che accusano di non essere trattati come esseri umani….Oltre al presunto cattivo trattamento, c’è la preoccupazione che sarebbero mandati indietro in Cina dove di sicuro sarebbero perseguitati.
Lo scorso anno, la Thailandia sorprese il mondo intero con la sua decisione diconsegnare 109 Uiguri alle autorità cinesi. La Cina promise alla Thailandia che sarebbero stati trattati umanamente ma le loro foto mentre erano incappucciati e trascinati sull’aereo suggerirono qualcosa di diverso.
Per controllare il danno la Thailandia provò a dire che avrebbe inviato suoi rappresentanti a visitare i detenuti ma l’idea restò lì. La questione è che la Thailandia dovrebbe sapere che la Cina non permetterà alla sensibilità della Thailandia di superare le proprie questioni di sicurezza….
Quando giornalisti thai chiesero al Primo Ministro Prayuth della deportazione, il capo della giunta ribatté chiedendo: “Volete tenerli per decenni finché non fanno figli per tre generazioni?
Per loro la Thailandia è un punto di transito e Prayuth non dovrebbe preoccuparsi del fatto che vogliono restare perché la Thailandia è un paese di transito, persino un centro, per tanti amanti della libertà.
Negli ultimi decenni la Thailandia ha permesso di entrare il paese, facilitando anche il loro restare, agli anticomunisti laotiani, ai capi dei khmer rossi, a tantissime armate etniche anti birmane per non citare il defunto gruppo delle Tigri Tamil. … Non c’è bisogno di rivolgersi all’indietro per far piacere alla Cina. Si ricordino l’assalto al consolato thai ad Istambul lo scorso luglio e la protesta nell’ambasciata thai in Turchia da una folla di Uiguri arrabbiata.
Abbiamo dimenticato l’attacco al tempio di Erawan che uccise 20 persone per lo più turisti, il 17 agosto dello scorso anno? Il governo ha provato con forza a negare il fatto che la ragione di quell’attacco sia stata la vendetta contro la deportazione di 109 Uiguri.
La polizia convenientemente concluse che l’attacco sia stato opera di trafficanti umani che rispondevano alla repressione del governo delle loro attività.
“Non è stato un granché i repressione, davvero, se si guarda all’arresto iniziale di questi Uiguri. Oltre 200 furono trovati tutti insieme in un piantagione di Songkla. La polizia credette che fossero invece Rohingya che fuggivano dalla Birmania.