Ad aprile per centocinquanta chilometri lungo la costa del Vietnam centrale, si abbatté un vero e proprio disastro ambientale con lo spiaggiamento di milioni di tonnellate di pesce e la scomparsa dei calamari che rappresentano la fonte di reddito della zona.
Il danno economico approssimato è stato valutato a circa 10 milioni di euro, cifra che però non considera i 123 mila pescatori che vivono del turismo, settore anch’esso colpito dal disastro ecologico.
In quel momento il governo vietnamita impone un divieto di pesca quando centinaia di persone si sono ammalate dopo aver mangiato comunque il pesce pescato.
La causa immediata sembra essere stato lo scarico in mare di acque di scarico ricche di cianuro e di altre sostanze chimiche, come il governo vietnamita, ad oltre un mese di distanza, finalmente ha riconosciuto.
L’impianto responsabile di questo scarico è la Ha Tinh Steel Corporation di Taiwan che produce acciaio vicino alla cittadina di Nhan Trach, ma per due mesi il governo vietnamita non si è espresso sulla questione alimentando le proteste e la rabbia della popolazione che ha trasformato quello che è un disastro ambientale in un problema nazionale di responsabilità governativa.
Il governo infatti almeno inizialmente sembra sostenere la causa della ditta cinese alimentando le voci di legami di corruzione e di pressioni estere a spese della vita e salute dei cittadini vietnamiti.
Sullo sfondo non bisogna però dimenticare le ondate di disordini anticinesi del 2014
Le proteste comunque hanno toccato le grandi città vietnamite e si sono avuti 500 arresti e pestaggi dei manifestanti. L’Ufficio dell’Alto commissariato dell’ONU per i diritti umani ha invitato il governo ad un contenimento dei metodi violenti di repressione.
Se i pesci hanno bisogno di acqua pulita i cittadini di trasparenza, lo slogan di molte manifestazioni.
Nhan Trach si trova a 40 chilometri a meridione dell’impianto sotto accusa e agli inizi di aprile cominciarono a comparire sulla spiaggia i primi pesci morti o che stavano per morire.
Questi furono venduti e quindi mangiati per più di un mese con conseguenze sulla sicurezza alimentare di tanta gente.
In ritardo il governo annunciava un avvelenamento del mare lungo la costa di quattro province ed ordinò il divieto di pesca e di mangiare quei pesci.
All’inizio di maggio la provincia di Ha Tinh dava la disponibilità di 240 mila euro del proprio budget per acquistare riso al oltre 6250 famiglie del distretto colpito direttamente dal disastro ambientale, mentre altro riso è stato distribuito negli altri villaggi. 4680 pescatori avrebbero ricevuto 200 euro per ogni peschereccio fermo. Sono state anche attivate altre politiche di aiuto.
La pesca sarebbe ricominciata dal 10 di maggio.
Che il responsabile fosse l’impianto di Ha Tinh Steel Corporation era evidente a tutti, essendo stato aperto da pochi mesi ed avendo la gente notato che il disastro ambientale era accaduto dopo lo scarico in mare di acque reflue. Questo scarico è stato persino confermato indirettamente da un portavoce della direzione dell’impianto: “Si deve decidere se pescare pesci e gamberetti o costruire un’industria moderna dell’acciaio. Anche se si è primo ministro non si può sceglier entrambi”.
Questo portavoce, ovviamente dopo le energiche proteste dei cittadini anche online, è stato licenziato.
Come copertura qualcuno cominciò a parlare di una fioritura algale tossica come responsabile, lasciando però la gente nella più completa oscurità che ha ulteriormente esasperato gli animi.
L’intervento di professori universitari e tecnici stranieri spingeva il governo a rivelare quello che già probabilmente sapevano.
Nguyen Hoang Anh, docente universitaria di Hanoi, disse che il governo avrebbe dovuto rivelare le sostanze chimiche tossiche anche per dare la possibilità ai dottori di curare le vittime. “Non è giusto, non è etico. E’ un crimine”
Deve essere stato forse il ricordo di Chernobyl che contribuì anche al crollo dell’Unione sovietica a far cambiare idea al governo, o forse il ricordo dei disordini anticinesi del 2014 che colpirono anche quella zona con il saccheggio di decine e decine di industrie legate a proprietà cinesi. In un assalto ad una compagnia di Taiwan furono 4 le persone uccise tra i lavoratori cinesi inviati a costruire l’impianto.
Finalmente il governo vietnamita riconosce l’inevitabile addossando la responsabilità del disastro ambientale alla ditta di Taiwan per aver scaricato in mare fluidi a base di cianuri.
Il governo, per bocca di Mai Tien Dung, ha detto che cercherà un risarcimento di 500 milioni di dollari dalla Ha Tinh Steel Corporation per l’inquinamento di 150 chilometri di costa.
La stessa compagnia ha poi ammesso le proprie colpe promettendo di assumersi le responsabilità e di chiedere le proprie scuse al Vietnam.
Il disastro ambientale sarebbe dovuto ai subappaltatori dell’impianto che avrebbero violato dei protocolli non meglio specificati.
Questa cifra dovrebbe servire ad aiutare i pescatori che hanno perso il lavoro a trovare altre possibilità di impiego e a recuperare il danno ambientale.
Ora il governo ha fatto sapere che insieme ai cianuri ci sono anche i fenoli ed idrossido di ferro negli scarichi. La pesca non può essere fatta entro le venti miglia dalla costa.
Mentre resta inspiegabile l’inettitudine del governo per non aver comunicato per tempo le sostanze chimiche coinvolte in questo disastro ambientale e favorire così un intervento medico più preciso, la popolazione ha dovuto subire una violenta repressione. Dopo il danno la beffa, si potrebbe dire.
La paura vera è che, con la diffusione di notizie più precise, il governo ha temuto che l’ordine pubblico sarebbe potuto sfuggire dalle mani e giungere così a disordine di vasta scala che avrebbero potuto mettere il Vietnam in una posizione internazionale sfavorevole.
Come ha detto qualcuno, in Vietnam la vita degli esseri umani e dell’ambiente conta poco rispetto alla vita politica delle istituzioni che hanno comunque la precedenza.