L’annuncio segue settimane di cattiva retorica da parte del presidente sulle relazioni delle Filippine con i suoi partner occidentali, USA e Unione Europea.
Sin dalla sua elezione il capo dello stato filippino ha fatto discorsi al vetriolo contro gli alleati occidentali e i loro capi di stato, come il presidente Obama, intimandogli di non interferire con gli affari domestici filippini.
Al cuore di questa disputa forte non è qualche scontro geopolitico fondamentale quanto la questione dei diritti umani.
Duterte è furibondo per la critica sempre più attenta alla sua guerra contro la droga che ha portato ad un salto in omicidi ed ha provocato un grido di allarme tra i difensori dei diritti umani.
Non solo il presidente ha rigettato le richieste di un’indagine indipendente da parte dell’ONU e di altre organizzazioni, ma ha anche minacciato di declassare i legami militari con gli USA.
Dovere Costituzionale?
Duterte accende le tensioni ma sulla politica estera sembra avere la legge dalla sua parte. La costituzione filippina del 1987 custodisce il principio dell’indipendenza in questo paragrafo:
“Lo stato filippino perseguirà una politica estera indipendente. Nelle sue relazioni con gli altri stati la considerazione fondamentale sarà la sovranità nazionale, l’integrità territoriale, l’interesse nazionale e il diritto all’autodeterminazione.”
Questa politica estera indipendente comanda che il paese non debba allineare né con l’occidente né con l’Oriente, ma perseguire relazioni amichevoli con tutti gli attori internazionali a seconda degli interessi nazionali.
In apparenza Duterte semplicemente soddisfa al suo dovere costituzionale come nuovo comandante in capo. Ma uno sguardo più da vicino mostra che il presidente filippino ha qualcosa di più specifico in testa.
Una separazione consapevole
E’ l’enfasi sulla non dipendenza dall’America che è appannaggio unico della preferenza di politica estera di Duterte. Da quasi un secolo le Filippine stanno spalla a spalla con gli USA, prima come colonia e poi come fedele alleato regionale.
Le Forze Armate Filippine e il potere filippino in generale sono nei decenni dipesi pesantemente dall’assistenza finanziaria americana, sul sostegno logistico e la cooperazione dell’intelligence. In molti modi Washington è indispensabile agli interessi della sicurezza nazionale filippina.
E alla luce delle tensioni crescenti nel Mare Cinese Meridionale, con Pechino che allarga la sua impronta militare, paramilitare e di costruzioni nelle acque reclamate dalle Filippine, Manila è diventata sempre più dipendente dall’assistenza militare americana.
Per Duterte comunque il suo paese è diventato troppo sottomesso e troppo dipendente dal potere straniero che non è sufficientemente affidabile. In varie occasioni ha apertamente messo in dubbio l’impegno americano verso le Filippine nel mezzo degli scontri regionali marittimi.
Washington non ha mai chiarificato se il trattato di difesa bilaterale strategico copre l’area specifica della disputa nel Mare della Cina Meridionale. E l’assistenza militare americana alle Filippine impallidisce a confronto degli alleati europei e del medio oriente.
Da autoproclamato socialista e sindaco di tanti anni di una città di frontiera come Davao, Duterte nutre anche qualche risentimento sul ruolo americano nel conflitto di Mindanao.
Tutti hanno bisogno di buoni vicini
Duterte ha sempre sottolineato la necessità di creare legami streti e amichevoli con gli altri paesi asiatici specie con i giganti economici come Cina e Giappone, che sono fondamentali nello sviluppo economico filippino.
Nonostante le dispute marittime amare ha sempre invitato al dialogo e alla gestione pacifica degli scontri territoriali, mentre dà il benvenuto agli investimenti cinesi infrastrutturali nel paese.
In questo senso, lo sboccato presidente dal parlare schietto delle Filippine è un pragmatico sulla politica estera specie se lo si paragona al più urbano predecessore Aquino che si spinse a paragonare la Cina alla Germania Nazista.
In sé una politica estera, che si spinga verso una minore dipendenza dagli USA e un maggiore impegno con la Cina, sembra ponderata per un paese come le Filippine. E realisticamente le Filippine non forgeranno immediatamente alleanze militare con Mosca o Pechino.
Alcuni critici paragonano Duterte a Hugo Chavez, il presidente venezuelano antiamericano che fu presidente dal 2009 al 2013 quando morì, a suggerire che porterà un alleato americano nell’abbraccio delle potenze orientali.
Ma considerata la profondità delle relazioni economiche e strategiche tra Manila e l’occidente e le dispute territoriali dure da risolvere con la Cina, è probabile che le Filippine seguiranno al massimo il percorso della Turchia sotto il presidente Erdogan.
Erdogan ha avuto dispute diplomatiche occasionali sulla democrazie ed i diritti umani con l’Occidente, ma le relazioni fondamentali tra le forze armate e gli investimenti sono restate intatte.
Proprio come il turco Erdogan, il filippino Duterte con la politica estera indipendente non si separerà dall’occidente sebbene le relazioni bilaterali non siano più sacrosante.
Richard J. Heidaryan, TheInterpreter