Quando Obama espresse la preoccupazione sugli omicidi Duterte, lo apostrofò figlio di puttana. Il presidente Obama provò a far spallucce all’insulto. Ma Duterte ha portato la questione ad un livello più alto quando ha chiesto alle forze speciali filippine di lasciare l’isola di Mindanao, dove addestrano le truppe filippine a combattere le insorgenze di lungo corso. “Perché finché staremo con l’America non avremo mai la pace” disse brandendo una fotografia di un’atrocità commesse dai soldati americani oltre un secolo fa.
Il 13 settembre disse al suo ministro della difesa di comprare armi dalla Russia e dalla Cina piuttosto che dagli USA, finora il più stretto alleato e fonte di centinaia di milioni di dollari annui in aiuti militari. Ha anche detto che la Marina Filippina non avrebbe più pattugliato il Mare Cinese Meridionale insieme alle navi americane. Questo cambiamento è tanto sorprendente se si considera la grande popolarità americana nelle Filippine.
Duterte, in altre parole, non è solo crasso e brutale, ma anche volatile in modo allarmante. Ha poca esperienza di politica nazionale, figuriamoci gli affari internazionali, essendo stato sindaco di una città di 1.5 milioni di persone, Davao dal 1988. Diventato presidente ha minacciato il ritiro delle Filippine dall’ONU e di dichiarare la legge marziale. Fa di Ferdinando Marcos, il dittatore che impose la legge marziale, un idolo. Dice di volergli dare una sepoltura da eroe a Manila. Tutto questo naturalmente mette paura ad investitori nazionali ed esteri e minaccia lo status appena acquisito dalle Filippine di stella economica del Sudestasiatico.
L’economia filippina è cresciuta del 7% nel secondo trimestre su base annua, più veloce della Cina e delle altre economie della regione. La disoccupazione al 5.4% scende stabilmente. La popolazione è giovane e parla inglese, ed un settore dei servizi che scoppia trattiene tanti giovani filippini dal cercare un lavoro all’estero. Questa classe media in crescita, insieme alle rimesse degli emigrati, mantiene forte la domanda interna. Durante la presidenza di Aquino, predecessore di Duterte, la borsa filippina è esplosa. L’investimento diretto si è triplicato tra il 2009 e il 205.
Duterte quindi ha preso in carico un paese che economicamente stava facendo bene. La sua campagna elettorale non si focalizzava su questioni astratte come l’investimento estero e le giuste strategie di bilancio tra Cina e America, ma su questione quotidiane, come il traffico, il crimine, la corruzione. Dopo aver ammesso che l’economia non era il suo forte, promise di impiegare le menti economiche del paese e lasciare a loro il problema. I suoi consiglieri rilasciarono un piano sensato di dieci punti per l’economia: sottolineava la stabilità macroeconomica, le infrastrutture da migliorare, la riduzione delle tangenti ed un sistema più diretto e prevedibile di proprietà del suolo.
Duterte promise anche di concentrarsi sullo sviluppo della provincia ed il turismo. I difensori dei lavoratori si crogiolano nella promessa di porre termine alla contrattualizzazione, secondo cui i datori di lavoro impiegano manodopera da fornitori terzi su contratti a breve per non dover pagare i sussidi.
Internet nelle Filippine è lenta e costosa e Duterte ha minacciato le imprese di telecomunicazioni di migliorare il servizio o rischiare la competizione straniera.
Sfortunatamente, l’amore di Duterte del linciaggio e la sua propensione a calunniare le madri dei dignitari stranieri rendono nervosi gli investitori. Questo mese la Camera di Commercio Americana ha messo in guardia sulla guerra alla droga perché mette in dubbio l’impegno del governo al governo della legge. Un consigliere finanziario dice che, da quando Duterte è salito alla presidenza, gli investitori domandano un maggiore premio di rischio per tenere gli assets filippini. Come dice Guenter Taus che guida la camera di commercio Europea nelle Filippine: “Tanta gente a questo punto esita a mettere i propri soldi nelle Filippine”.
Chi critica Duterte teme che, mentre il commercio della droga scemerà solo momentaneamente, il danno fatto alle istituzioni democratiche resterà. La polizia ammette liberamente che la rete della droga ha preso al volo la luce verde data da Duterte all’omicidio di rivali o potenziali informatori. L’impunità della polizia rende molti nervosi: un residente di vecchio tempo di Manila dice di aver sentito un amico straniero valutare se andarsene. Teme che qualche poliziotto fuori servizio potrebbe prendersela con lui per qualcosa che ha fatto, ucciderlo e uscirsene impunito. “Questo non accadeva sotto Aquino. Non sentivi che c’era un gruppo di persone che poteva uccidere qualcuno e non andare in carcere”.
Gli uomini di affari locali temono che il presidente possa denunciare la loro impresa per qualcosa senza produrre alcuna prova. Dopo tutto Duterte ha fatto qualcosa di simile quando pubblicò una lista di rappresentanti che accusò di essere nel commercio della droga. Con lo stesso metro Duterte scelse Roberto Ongpin, presidente di un’impresa di gioco online, come esempio di uomo di affari con influenze politiche esagerate.
Le azioni dell’impresa di Ongpin crollarono del 50% e Ongpin si dimise il giorno successivo promettendo di vendere le sue azioni. “Tutti hanno paura” dice un pezzo grosso delle imprese. “Nessuno dei grandi gruppi si ergerà contro di lui. Hanno tutti paura di essere espropriati.”
Una simile incertezza aleggia sulla politica estera stessa di Duterte. Sembra essere incline a rafforzare i legami delle Filippine con la Cina a spese dell’alleanza americana. Nella sua campagna elettorale criticò le relazioni di ghiaccio con la Cina che creò il suo predecessore, Aquino. Si dice che i due governi si preparino ai colloqui bilaterali, cosa che non accade dal 2013 quando il governo Aquino iniziò una disputa territoriale con la Cina in un tribunale internazionale. Poco dopo che Duterte salì alla presidenza il tribunale emise una sentenza favorevole alle Filippine, ma lui sembra riluttante a premere su questo punto.
Nella sua campagna elettorale ragionò sulla disputa con la Cina sulle Scarborough Shoal, una zona di pesca ricca nel mare cinese meridionale nella zona economica esclusiva filippina: “Costruiscimi un treno attorno a Mindanao, oppure un treno da Manila a Bicol … mi starò zitto”. Ammise anche che un anonimo donatore cinese aveva pagato alcune delle sue pubblicità elettorali. La sua reticenza con la Cina è molto impressionante se si considera la sua retorica belligerante e la sua personalità boriosa.
Naturalmente non è chiaro se Duterte riuscirà a fare un accordo con la Cina, o persino che continuerà a perseguire il voltafaccia diplomatico che sembra contemplare. Una visione ottimista lo vedere più come uno smargiasso che di sostanza. Il suo capo della polizia affermava questa settimana che la campagna contro la droga aveva ridotto il rifornimento di droga del 90%. Questa affermazione che potrebbe permettergli di gridare alla vittoria ed agitare qualche nuovo furore persino mentre i suoi consiglieri continuano con il business mondano del governo. Gli ottimisti speculano che se riesce a perseguire la sua promessa di migliorare le infrastrutture ed accelerare lo sviluppo rurale, potrebbe persino lasciare le Filippine in una condizione migliore di come l’ha trovata.
La visione pessimista vede Duterte continuare a perdere amici e alienarsi la gente. Inizia gli scontri con l’America, col mondo degli affari, con le altre branche del governo. La Cina sfrutta le sue debolezze, accresce la presenza militare nelle Scarborough Shoal senza costruire alcuna linea ferroviaria a Mindanao. Gli investitori restano fuori la crescita scende.