“Il mio ruolo era logistico e dovevo trovare alimenti, munizioni e materiale per le bombe” dice in una intervista esclusiva ad ABC dalla provincia di Narathiwat. L’uomo di 28 anni si è unito al gruppo di insorti quando era un ragazzo ed ha scalato i ranghi prima di abbandonare questo anno. “Ero contento di far parte del BRN” dice a condizione di restare anonimo per paura di vendette per aver parlato senza avere il permesso.
BRN è l’acronimo malay di Fronte rivoluzionario Nazionale, il più attivo dei gruppi separatisti malay musulmani nel meridione thailandese.
Si crede che sia composto da 3000 militanti addestrati e conduce quotidianamente attacchi con bombe e con scontri a fuoco, sebbene raramente ne abbia reclamato la responsabilità. Due scontri mostrano la tattica principale usata dal BRN.
I presunti insorti uccidono una lavoratrice di una stazione di benzina nella provincia di Pattani. Quando le forze di sicurezza accorrono sono fatte detonare due bombe che creano molti feriti.
In un altro attacco a Narathiwat, dieci militanti aprono il fuoco su un gruppo di una milizia di volontari uccidendo uno di loro e rubando tre fucili d’assalto.
Questa violenza, insieme a quella delle forze di sicurezza, ha reclamato più di 6500 vite umane da quando il conflitto si è intensificato nel 2004.
L’inquietudine è di solito contenuta in quello che è definito come profondo meridione thailandese, ma un attacco recente di bombe ed attacchi incendiari coordinati hanno preso di mira il meridione superiore tra i quali alcuni posti popolari come Phuket e Hua Hin.
Sono morti quattro thailandesi e tra i feriti ci sono molti occidentali nell’ultimo attacco, che è considerato come un’espansione delle operazioni dell’insorgenza da alcuni analisti.
L’ex militante dice che lui non è stato coinvolto nell’attacco di agosto ma ha detto che quell’attacco porta tutti i segni di un attentato del BRN.
“Se della gente innocente è ferita, non lo voglio ma non avevo scelta.” dice. “Era il nostro compito mettere le bombe in alcune aree per resistere al governo”.
Mentre la maggioranza della Thailandia è buddista, le province più meridionali che confinano con la Malesia sono in gran parte Malay Musulmani, il risultato di un secolo fa di ridisegno delle mappe da parte dell’impero britannico.
Maestri, rappresentanti del governo e monaci sono degli obiettivi dell’insorgenza perché simboli dello stato Thai ma la maggioranza sono civili.
L’esercito è accusato di aver torturato i sospettati tra i quali ci sono recenti accuse di aver usato una tecnica di waterboarding, in cui si getta sulla faccia del detenuto acqua mentre la testa si trova più in basso dei piedi.
“Mi mettevano un asciugamano in faccia e lo legavano dietro il capo, poi versavano acqua sull’asciugamano finché non mi andava nel naso e iniziavo a tossire” dice un uomo che dice di chiamarsi Rutkee secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International.
L’uomo racconta a AI che dopo essere stato detenuto dai soldati lo scorso anno fu picchiato, fatto soffocare con buste di plastica, minacciato con pistole, privato di sonno ed esposto al freddo estremo.
Il governo thai nega le accuse di tortura ed ha bloccato il lancio ufficiale del rapporto di AI.
Ci sono dei colloqui di pace in corso che però restano bloccati ad una fase preliminare e non ufficiali.
“Prevale uno stallo nocivo in cui stato e insorgenza preferiscono le ostilità al compromesso” dice il rapporto di International Crisis Group della scorsa settimana.
Parte del problema secondo ICG è che il gruppo principale di combattimento ha boicottato i colloqui di pace ed il gruppo ombrello dei capi malay musulmani creato per i colloqui, MARA Patani, non è rappresentativo per chi porta avanti gli attacchi.
La divisione dell’insorgenza è stata confermata da un ex militante. “Eravamo come vicini che camminavano nella stessa direzione, ma ora siamo separati”.
Il governo militare thailandese che ha preso il potere nel maggio 2014 è accusato di non essere serio sulla trattativa con i separatisti.
“La giunta professa il dialogo per porre fine all’insorgenza ma evita di prendere impegni, ed il primo ministro ha messo in dubbio i colloqui” dice ICG.
“Le bombe nel meridione superiore dovrebbero incoraggiare il governo a cercare i colloqui per raggiungere un accordo competo”.
Dopo il più recenti icontri di pace del 2 settembre, un’autobomba fu trovata e disarmata sulla frontiera con la Malesia, considerato un segno di opposizione ai colloqui a Kuala Lumpur. Giorni dopo una bomba si una moto posta fuori di un asilo uccise una bambina di quattro anni, il padre ed un passante.
I segni del conflitto sono dovunque nel profondo meridione thailandese, dai posti di blocco militari alle barriere di cemento per minimizzare il danno delle autobombe.
Un programma governativo porta i monaci nella regione per periodi brevi per rafforzare la presenza buddista, ma nel giro di ogni giorno per le elemosina sono pedinati da uomini in nero armati con fucili.
L’area resta sottosviluppata e la gente del posto fa del proprio meglio per vivere vite normali tra i versamenti di sangue e la paura.
In una scuola islamica un gruppo di ragazzine con i loro fazzoletti in capo colorati siede sotto un albero facendo i compiti a casa. Surufah ce ha 12 anni dice che suo cugino fu ucciso sebbene non sappia perché.
“Supplico che finiscano le sparatorie, i ferimenti di persone, gli omicidi. Abbiamo perso così tanta gente”
Liam Cochrane, ABC.NET.AU