Quaranta anni dopo l’eccidio del 6 ottobre 1976, per lo stato thailandese è ancora impossibile parlarne, tanto che ha impedito a Joshua Wong, militante del Movimento degli Ombrelli di Hong Kong, di poter portare la sua esperienza ad un evento celebrativo di quel capitolo raccapricciante della storia thailandese.
Joshua Wong è stato detenuto per 12 ore e poi espulso su richiesta delle autorità cinesi, come ha detto il militante democratico Netiwit Chotipatpaisal. Lo scorso anno Joshua Wong non è stato fatto entrare in Malesia sempre su richiesta del governo cinese.
Di seguito pubblichiamo un intervento di tre parti di Achara Ashayagachat sull’eccidio del 6 ottobre 1976, apparso su Bangkok Post.
Le poche lezioni apprese dall’eccidio del 6 ottobre 1976
Quaranta anni dopo l’eccidio del 6 ottobre 1976, uno dei più raccapriccianti capitoli della storia thai moderna non è stato ancora chiarito dallo stato thailandese, mentre alcuni dei personaggi che lo hanno ideato sono ancora al potere oggi. Lo dicono gli studiosi.
I fattori che contribuirono alle lotte tra il potere e gli altri attori politici sono cambiati pochissimo e la violenza resta un modo per eliminare i rivali.
Un politologo in pensione della Chulalongkorn University, Kullada Kesboonchoo-Mead, sostiene che per comprendere i fatti del 1976 si devono depurare la sollevazione del 14 ottobre 1973 del mito e del romanticismo.
Il movimento guidato dagli studenti in favore di uno spazio politico più aperto e di una costituzione fu terminato con 77 morti e 857 feriti, spingendo il primo intervento diretto del re per nominare un primo ministro a sostituire i tre tiranni, che sono Field Marshal Thanom Kittikachorn primo ministro e comandante supremo, vice primo ministro Praphas Charusathien e Narong Kittikachorn.
“Il potere aveva giocato la carta democratica per corteggiare i liberali e adulare la classe media. Ma la spinta reale per cacciare i dittatori impopolari furono i giochi del potere militare guidati da Krit Sivara, vice comandante dell’esercito” dice la signora Kullada.
Ma il movimento studentesco vicino alla sinistra fu preso da un senso di vittoria, i paesi confinanti cadevano sotto la spinta delle forze comuniste.
Di conseguenza la classe al potere, antidemocratica fino alla paranoia, permise a bande di malfattori e figure propagandiste dei media di lanciare una guerra psicologica contro gli studenti, aggiunge la professoressa.
All’alba del 6 ottobre 1976, la polizia armata con armi di assalto fu autorizzata dal primo ministro Seni Pramoj a lanciare un attacco contro i dimostranti alla Thammasat secondo il rettore del tempo Puey Ungpkaorn.
L’attacco indiscriminato vide il coinvolgimento di milizie finanziate dallo stato, come scrisse Puey in una nota 22 giorni dopo aver lasciato il rettorato all’università per andare in esilio a Londra.
“La gente fu sparata, uccisa e ferita. Chi riuscì a scappare dall’attacco sottostette agli abusi più brutali ed inumani; alcuni furono linciati, bagnati di gasolio e bruciati vivi. Tantissimi furono picchiati. I giornali dicevano che 40 persone erano state uccise, ma secondo i resoconti non ufficiali a morire furono centinaia e altre centinaia feriti.” scriveva Puey.
Thongchai Winichakul, uno studente del tempo ed uno dei 18 condannati per lesa maestà, comunismo e sedizione, ricorda con amarezza: “Fu il culmine di anni di propaganda radicale sponsorizzata dallo stato, da vandalismo e progetti di assassinio”.
Thongchai, ora professore di Storia alla Wisconsin in USA, nota che forse si è esagerato sul ruolo delle milizie Red Gaurs nelle brutalità.
“Era un gruppo piuttosto piccolo di ultra-monarchici e ultra-nazionalisti, organizzati dall’ISOC che furono responsabili degli scontri precedenti e delle scene di linciaggio di quel giorno” dice Thongchai che cita il Comando Operativo della sicurezza interna.
Il compianto storico Benedict Anderson postulò in un articolo del 1977, dal titolo “Sintomi di un ritiro: aspetti sociali e culturali del golpe del 6 ottobre”, che nuovi strati borghesi nella società thai erano responsabili insieme ai gruppi di estrema destra e giornali e persone monarchici per combattere il movimento isolazionista di sinistra guidato dagli studenti.
Eppure la sensibilità e la complessità di “chi giostrava dietro le scene”, le menti, hanno impedito ai contemporanei di quella generazione di parlare.
La mentalità prevalente thai, che tende a mettere da parte i capitoli bui della storia per paura dell’unità e della riconciliazione, è stata incoraggiata da una mancanza di dibattito aperto sugli scontri brutali e tra questi i media. La legge di lesa maestà ha anche impedito una discussione onesta di questo capitolo oscuro della storia contemporanea.
C’è sempre stata un’intenzione di demolire la forza del movimento studentesco che promosse la libertà, scriveva Puey, che fu costretto a vivere in esilio fino alla morte nel 1999.
“Dopo l’ottobre del 1973 che riportò il regime democratico, si disse che il paese sarebbe stato in pace ed in ordine se si potessero eliminare da 10mila a 20 mila studenti.” diceva Puey. “Chiunque non piaceva loro era un comunista. Neanche i primi ministri come Kukrit, Seni ed altre figure cardine furono esentate da tali accuse false.”
Un altro strumento usato fu lo slogan “Nazione, Religione e Monarchia” come strumenti di accuse false contro i dissidenti.
“Dobbiamo imparare le lezioni del passato, si devono prima ricostruire le narrazioni scandalose, se il potere attuale non vuole rivedere capi populisti come Thaksin Shinawatra, che ha questioni problematiche, restare al potere.” nota Kullada.
I tiranni, dice la politologa, furono creati per giustificare una crisi politica che avrebbe portato nuovi capi e di conseguenza un consolidamento di una presa del potere.
Poiché i generali al potere hanno proiettato il loro fulcro del potere negli anni a venire, sembra che i pianificatori resteranno non toccati, dice Kullada.
Deve continare sotto questo regime militare la richiesta di giustizia
La ricerca di una “società uguale e giusta”, accesa da un movimento degli studenti che culminò nell’eccidio del 6 ottobre 2016, deve essere portata avanti da una generazione più giovane tra le differenze ideologiche tra chi visse il tormento e la riluttanza del governo ad una discussione aperta, dicono gli studenti democratici.
La ricerca della giustizia sociale e la sfida all’autoritarismo che definirono il movimento degli anni dal 1973 al 1976 deve andare avanti sotto l’attuale regime dittatoriale, dicono gli studenti democratici.
Le commemorazioni per ricordare le vittime sono spesso state chiamate “riunioni per i morti”, ma gli sforzi per creare uno spirito di sfida contro l’autoritarismo e la violenza di stato hanno trovato poco successo negli ultimi anni, dice Surachart Bamrungsuk della Chulalongkorn University.
“Questa celebrazione non deve essere quella di una generazione più vecchia piena di amarezza e derive ideologiche, quanto piuttosto il tempo per le generazioni più giovani di impegnarsi di più e coinvolgersi nel continuare quello spirito di lotta” dice Surachart che 40 anni fa fu uno degli studenti posti in carcere per due anni dopo la repressione sanguinosa alla Thammasat.
“E probabilmente la prima volta che il 6 ottobre 1976 sarà narrata da una generazione diversa” dice di una commemorazione che si fa in questa università.
Tra i giovani oratori è prevista la presenza di Joshua Wong, capo del Movimento egli Ombrelli di Hong Kong.
Mentre gli anni passano la società è diventata più aperta e la brutalità di quel massacro è stata discussa in pubblico mentre la scala delle commemorazioni si è fatta più grande. Il ventesimo anniversario del 1996 vide la prima commemorazione in vasta scala dopo le proteste del movimento democratico contro i militari nel maggio 1992, dice Vipar Daomanee, ex studente della Thammasat.
La morte dell’ex rettore Puey Ungphakorn, tre anni dopo il ventesimo anniversario, fu anche la maggiore motivazione dietro le grandi commemorazioni del 1999.
Il progetto di scultura Muro della Storia dentro il campus universitario che descrive l’orrore di quella brutalità, fu montato l’anno successivo, dice la signora Vipar.
La venticinquesima commemorazione fu anche significativa perché coincise con le grandi commemorazioni della rivolta del 14 ottobre 1973. Thaksin Shinawatra era allora un primo ministro popolare e molti del suo governo erano membri della generazione di ottobre.
Dalla trentaquattresima commemorazione del 6 ottobre 1976 iniziò una fase di celebrazione di massa. “Le magliette rosse riempivano l’auditorium dell’università in massa. A segnare l’evento ci furono più temi culturali e spettacoli teatrali.”…
Ma gli anniversari dopo il trentasettesimo furono segnati dagli scandali di corruzione e i processi di lesa maestà. . Due attori della piece teatrale Bridal Wolf, portata in scena la notte del 6 ottobre 2013, furono accusati di lesa maestà, mentre Jaran Ditaichai che organizzò l’evento fuggì all’estero dopo il golpe del 2014.
Le sobrie commemorazioni di questi ultimi anni forse saranno messe da parte quest’anno con i giovani studenti che vogliono esprimersi e apporre la loro firma sulla lotta per la democrazia e la giustizia. Netiwit Chotiphatphaisal dice che gli studenti dovrebbero iniziare a farlo senza paura.
“E’ una lotta che la noi come nuova generazione dobbiamo ancora assumere e farla in un modo nuovo significativo. Potrebbe non essere sufficiente un monumento o una statua a mostrare alla società il massacro come parte importante della storia e legata al futuro della nazione” dice Netiwit.
Il giovane studente dice che la generazione del millennio dovrebbe assicurare che queste lotte restano vive. “Ecco perché abbiamo bisogno di un’ispirazione di oggi come Joshua Wong per parlare alle giovani generazioni”
Sombat Boon-ngamanong, oppositore noto della giunta, è d’accordo sul fatto che i giovani debbano avere la propria interpretazione della protesta e che siano ispirati dalla storia. “Abbiamo bisogno di guardare a ciò che successe allora e non vederla come un giorno di disperazione e perdite. Dobbiamo vederlo come un giorno in cui si piantarono le speranze e le aspirazioni di tanti che ancora crescono”
La Giustizia per tutte le vittime di violenza politica
A meritare il riconoscimento devono essere tutte le vittime di violenza politica compresi quelli che vivono ai margini della società, uccisi in periodi di disordine, al pari degli intellettuali uccisi nell’eccidio brutale del 6 ottobre 1976.
Avevano avuto luogo omicidi sponsorizzati dallo stato e chi li ha fatti è ancora libero, prima delle repressioni dell’ottobre 1976., dicono i militanti democratici.
Tra chi fu ucciso ci sono 33 capi della Confederazione dei contadini del Nord che furono impiccati e le migliaia di persone che furono bruciate nelle note saghe della “Red Tank” nella provincia meridionale di Pattalung, ritenuti associati al Partito Comunista della Thailandia.
Più di recente, 98 dimostranti delle magliette rosse furono uccise nella repressione militare del 2010, ma queste “persone comuni” non ricevono la dovuta attenzione, dice Sarayut Thangprasert. “Le perdite di vite umane del 2010 furono viste come vittime della manipolazione dei politici mentre le vittime del 6 ottobre 1976 sono viste come vittime innocenti perché erano intellettuali” dice il militante che ha aiutato le famiglie delle vittime nei casi giudiziari e delle carcerazioni che seguirono alla repressione.
Sarayut che viene dal nordest ricorda due altri incidenti nella provincia di Kalasin in cui negli anni 60 ed 80 tanti furono arbitrariamente uccisi dallo stato. Gli abitanti del distretto di Na Ku furono decapitate per intimidire i potenziali sostenitori del partito comunista. Un altro gruppo di giovani a Khaowong fu u assassinato perché sospettati di aver rifornito i ribelli comunisti.
Pimsiri Petchnamrob, un altro militante colpito dalla repressione militare delle magliette rosse sei anni fa, dice che la ricerca della riconciliazione è sbattuta contro un muro perché la Thailandia manca degli elementi fondamentali di una giustizia della transizione.
“Perseguire la giustizia, prevenire l’impunità, dare assistenza finanziaria, scoprire la verità, ricordare le vittime e riformare la legislazione nazionale dei diritti umani e le agenzie di sicurezza sono tutte cose che tardano a venire” dice Pimsiri.
Porntip Munkong, giovane ex prigioniera di lesa maestà per il suo ruolo nell’opera teatrale di tre anni fa che commemorava il 6 ottobre 1976, dice di provare un profondo rispetto e tristezza per le perdite di così tanti giovani. Comunque solo se la gente di tutti gli angoli del paese riuscirà a raccontare la perdita di vita umana accaduta, quel giorno non si dimenticherà.
“Riusciamo a vedere le similarità del 6 ottobre del 1976 e quelli morti a Krue Se e Tak Bai? Abbiamo forse bisogno di riscrivere la storia per ricordare tutti i morti come eroi” dice Porntip.
Tyrell Haberkorn dice che è necessario documentare meglio le storie delle vittime marginalizzate. Le esperienze di altri paesi mostrano che la richiesta di una risposta viene di solito dalla società civile e non dai governi.
“In Indonesia, c’è stato un vasto movimento per scoprire le verità sui fatti del 1965, gli omicidi e le carcerazioni che ne seguirono. In parte è il passaggio del tempo ed in parte un cambio nel governo. Sono passati oltre 50 anni dalle violenze e 20 anni da quando Suharto fu cacciato dal potere” dice la Haberkorn. “In Argentina e Brasile, l’annullamento delle leggi di amnistia, che hanno protetto le dittature, da parte della corte Interamericana per i diritti umani ha causato una trasformazione, sia in termini di poter accusare penalmente gli ex dittatori che in termini di catalisi di un processo di porre domande sul passato e i significati per le future generazioni.”
Ma un tentativo di scoprire la verità dell’eccidio del 6 ottobre 1976 non è mai stato riconosciuto dallo stato.
Un comitato concluse un rapporto nel 2000 dopo aver intervistato testimoni ed aver esaminato prove di corte estese.
“La società thai deve ora decidere come trattare le tante forme di danno e di ferite seguite con bagno di sangue del 6 ottobre. Devono studiare il quadro più vasto degli eventi storici che portarono a quella mattina” si legge nel rapporto.
Achara Ashayagachat, BangkoPost