Il presidente Duterte si prende un rischio immenso quando scommette sulla buona volontà e la beneficenza cinese senza l’assicurazione fornita da un sostegno diversificato, multilaterale di amici e alleati storici e tradizionali.
La prossima visita di Duterte in Cina potrebbe formalmente segnare una oscillazione del pendolo chiamata politica estera filippina. Nei pochi mesi passati le Filippine hanno stabilmente e senza ambiguità dato alla Cina tutte le concessioni volute nel periodo seguente all’arbitrato: nessuna esagerazione per la vittoria dell’arbitrato, ritiro dai pattugliamenti dalla Zona Economica Esclusiva e passi di allontanamento potenzialmente di rottura dall’alleanza con gli USA e dagli altri alleati. Allo stesso tempo, dopo uno sforzo significativo a far sì che gli stati dell’ASEAN iniziassero a farsi sentire contro la Cina nel mare cinese meridionale e dopo essersi conquistati una vittoria legale forte che sarebbe potuta essere una base solida di un fronte unito tra i paesi reclamanti, le Filippine hanno lasciato cadere la palla e si sono ritirati all’ultimo minuto per trattare bilateralmente con la Cina.
La prossima visita di Duterte in Cina potrebbe formalmente segnare una oscillazione del pendolo chiamata politica estera filippina.
Secondo la Cina, non si può negoziare nulla sulla base del verdetto arbitrale ma si può negoziare tutto se lo si lascia perdere. Duterte ha pubblicamente insistito che “non uscirà fuori dai quattro angoli di quella carta”, ma con la velocità che ha preso la situazione, quello sarà tutto quello che rimane, un pezzo di carta.
Alienandosi gli alleati occidentali come Australia ed USA, rifiutandosi di fare la sorveglianza minima del Mare Filippino Occidentale; tralasciando il ruolo dell’ASEAN, dichiarando che le Filippine non possono difendere le aree territoriali e giurisdizionali, esortando la gente a lasciar andare la Scarborough Shoal, Duterte elimina metodicamente tutte le leve con cui le Filippine potrebbero garantire i propri interessi contro il suo più grande e forte vicino.
Prende un rischio immenso quando scommette sulla buona volontà e beneficenza senza assicurazione fornita dal sostegno diversificato, multilaterale degli amici e alleati storici. Nel lungo termine la Cina senza ombra di dubbio guadagnerà molto, mentre il destino delle Filippine resta incerto.
Questo fare da perno a favore della Cina echeggia una dura realtà della politica filippina: i politici locali cambiano casacca come chiede la convenienza, qualunque partito permetterà al precedente di raggiungere il proprio fine di ottenere i benefici per il proprio elettorato e mantenere la guida politica. L’improvvisa svolta non calibrata porta i segni di un camaleontismo politico giocato sulla scena internazionale nonostante sia stata definita come uno spostamento verso una politica estera indipendente. Il guaio è che l’indipendenza non può essere equiparata con la politica basata sulla personalità; voltare le spalle agli allineamenti precedenti senza qualcosa che sia una transizione strategica e liscia, attenta coordinazione e accomodamento di interessi; ripudio improvviso di accordi precedenti, piani e strategie; e disperdendo la leva politica strategica a disposizione.
Una posizione di politica estera indipendente, equidistante tra i poli geopolitici e capace di navigare tra le influenze geopolitiche è davvero ideale per le Filippine per la sua posizione unica geo-strategica, ma non la si può raggiungere semplicemente svendendosi a quale parte offre i maggiori benefici. Le buone relazioni con la Cina sono altrettanto importanti come quelle con gli USA, ma devono basarsi su principi chiari e consistenti. I principi contano ancora anche nel mondo della real politik: forniscono il compasso attraverso cui uno stato pesa e decide sulle sue opzioni in modo da preservare i suoi interessi nazionali nel lungo termine.
L’incontro tra il presidente Duterte e Xi Jinping sarà il più grande test della sua diplomazia cruda e chiaramente transazionale. Ha scommesso tutte le sue carte sul fatto che la Cina reciprocherà per aver abbandonato la strategia della precedente amministrazione per il Mare Filippino Meridionale, in attesa di concessioni per l’industria della pesca filippina e una ricaduta di investimenti economici cinesi. Se ritorna senza alcuna concessione, sarà un colpo umiliante dal momento che ci ha messo tutto il peso politico che aveva come riserva. Se torna con qualche cosa in mano, i critici e gli oppositori lo vedranno come aver ceduo al potere degli allettamenti economici cinesi.
Essere generosi verso Duterte è nei miglior interessi cinesi. La Cina ha un’opportunità d’oro, al di là delle attese, di azzoppare la strategia americana nel mare cinese meridionale neutralizzando il centro della presenza regionale americana e zittendo il più vocale e audace (o forse incauto?) di tutti i paesi reclamanti nell’ASEAN.
Il riconoscimento della importanza marittima della Cina permetterà il controllo senza impedimenti e l’amministrazione del Mare Cinese Meridionale. La Cina fa dei passi per assicurarsi che il ritiro delle Filippine non possa essere sostituito. Già prova a costringere Singapore, l’altro alleato più importante degli USA nella regione, alla sottomissione per impedire un futuro aggiustamento americano in seguito alla crisi dell’alleanza di sicurezza USA Filippine. E’ una dura dimostrazione di quanto la Cina rispetti la sovranità e l’indipendenza degli altri quando sono di mezzo i propri interessi.
Senza dubbio gli USA e gli alleati resteranno sbandati. La strategia di bilancio regionale contro l’espansione marittima della Cina si basava sull’attiva cooperazione del solo alleato di trattato posti sui confini marittimi. La minaccia di Duterte a cambiare alleanze verso la Cina e la Russia, se portata avanti, minerà gravemente i tentativi di contrastare la mossa cinese verso il dominio marittimo regionale. Senza le Filippine gli USA dovranno ripensare la propria strategia regionale e rivolgersi ad alleati più fidati come Giappone e Australia, e forse cercare di rafforzare i legami con partner strategicamente più consistenti come Vietnam ed Indonesia.
A questo punto è difficile determinare dove la politica estera di Duterte andrà a finire, e si può sperare che c’è ancora la possibilità che un cambio così radicale di direzione possa essere ancora moderato. Dopo tutto ci sono ancora tanta brava gente nel ministero degli esteri che hanno sia la memoria istituzionale, pensiero critico e strategico ed estesa esperienza diplomatica da fermare la chiara caduta libera nella politica filippina del Mare Cinese Meridionale. Duterte ha ancora l’opportunità di pesare con attenzione le proprie inclinazioni personali contro gli interessi di lungo termine del paese. Ma questo richiede intervento tempestivo e deciso da parte di chi prende le decisioni a livello istituzionale: è abbastanza possibile che una volta che si ha l’incontro di Duterte Xi Jinping sarà il dado sarà già tratto.
Abbastanza stranamente la disposizione iniziale e le scariche elettriche che precedettero il cambio di politica estera di Duterte di fatto combaciano la postura anticinese di Aquino, dalla descrizione della Cina come una minaccia per la regione al paragonarla al regime nazista. Questa volta la Cina è il nuovo migliore amico nella guerra contro la droga e gli USA lo storico trasgressore dei diritti umani. Dove precedentemente le relazioni di sicurezza USA Filippine erano viste come il solo mezzo tangibile della protezione degli interessi marittimi filippini, ora si disegna come il ferro caldo per un non voluto conflitto armato.
Sfortunatamente più di ogni altra cosa, Il Duterte perno per la Cina tende a provarsi una costante singolare nella politica estera filippina centrata sulle personalità in materia di sicurezza regionale ed esterna: inaffidabilità e instabilità nel lungo termine con una tendenza alla teatralità.
Dr Jay L. Batongbacal- Rappler.com