Da cane sciolto esterno al potere politico che porta avanti l’agenda “l’America prima”, una Presidenza Trump, nei prossimi quattro anni, evoca lo spettro di una superpotenza più attenta a ciò che accade al suo interno che non si sobbarcherà i pesi tradizionali del comando globale.
I paesi del sudestasiatico, per riuscire ad andare avanti e mettere al sicuro le proprie frontiere, avranno bisogno di affidarsi più alle potenze intermedie amiche degli USA, come Giappone e Australia, nel trattare con una Cina crescente. Il sostegno americano alla stabilità regionale e un ambiente più bilanciato della sicurezza potrebbe diventare più alternativo e decisivo.
Eppure il ruolo minore degli USA nella regione è stato il treno che ha tirato Trump verso la vittoria. La strategia di “Perno Per l’Asia” e di riequilibrio della amministrazione Obama uscente, creato in modo strumentale con l’allora segretario di stato, nonché candidata presidenziale,Hillary Clinton, si è rivelata in fin dei conti inaffidabile e superficiale, basata su un lavoro retorico e poca spinta sostanziale.
Il perno di Obama era simile alle “linee rosse” mai segnate, disegnate nel medio Oriente dove il comando USA era confinato al “guidare stando dietro”, che evitavano le truppe di terra in favore degli attacchi con droni controllati da remoto. Guidare standosene dietro spesso significava non guidare affatto. Obama è ragionevolmente popolare per il suo fascino personale ma non per le sue politiche. La sua amministrazione troppo spesso faceva proclami grossi seguiti da docili atteggiamenti.
Tale mancanza di guida dimostrabile era enorme nel sudestasiatico e nessuno stato regionale lo sa meglio delle Filippine. In parte il Perno di Obama ha aggravato la belligeranza cinese. La Cina l’ha fatta franca con la presa delle Scarborough Shoal nel mare cinese meridionale nel 2012 oltre a tante barriere e rocce affioranti nelle acque della disputa, a spese per lo più degli interessi cinesi.
Quando Manila alla fine ha vinto la decisione storica contro le violazioni cinesi nella Corte dell’Arbitrato Permanente de L’Aia, Pechino naturalmente ignorò la decisione con fare arrogante. Washington parlò del bisogno di rispetto delle decisioni della legge internazionale. Eppure gli USA non sono ancora un paese firmatario della legge dell’UNCLOS. L’atto più vicino ad una posizione di forza con la Cina che Washington ha fatto è di controllare le manovre aggressive della Cina nell’area con i pattugliamenti operativi per la libertà di navigazione.
Il nuovo presidente filippino Duterte ha letto lo stato di sciatta superpotenza dell’America e ed ha accettato la sfida trattando direttamente con la Cina senza precondizioni, mettendo da parte persino la decisione arbitrale favorevole. Se Duterte avesse corteggiato la Cina da solo, sarebbe stato suscettibile alla manipolazione di Pechino e informato male. Ma quando Duterte ha cercato aiuto al Giappone dopo aver visitato la Cina, fu chiaro che sapeva come danzare nell’area geopolitica regionale. E’ tornato a casa con promesse di finanziamenti cinesi e giapponesi da 43 miliardi di dollari in sviluppo in una suddivisione ben bilanciata. Il suo governo ora trova più spazio da Pechino mentre ha il Giappone come contrappeso.
Duterte seguiva solo i passi dei capi militari thailandesi dopo la presa del potere del golpe 2014 prima della importante transizione reale. Ostracizzato e criticato dalle democrazie occidentali il governo di Prayuth Chanochoa ha ricevuto il primo sostegno e riconoscimento da Pechino. Una moltitudine di visite bilaterali di alto livello portarono ai piani concreti per l’investimento infrastrutturale cinese in Thailandia.
Ma quando i cinesi presentarono i termini tecnici e il prestito oneroso con tassi di interessi alti e periodi di pagamento più brevi, mentre chiedevano i diritti di uso dei suoli per due grandi megaprogetti ferroviari, il governo fece della aperture al Giappone. Nel febbraio 2015, nella visita di Prayuth a Tokio, il primo ministro giapponese Abe riuscì a far sì che la controparte thai reiterasse un percorso di ritorno del paese alla democrazia. Nel processo ottenne un pezzo grosso del suo miglioramento infrastrutturale delle ferrovie.
Se avesse un bastone più grande, importerebbe poco come si comportano gli USA nel Sudestasiatico. Uno sguardo veloce alla regione indica che Washington rischia di consegnare il sudestasiatico alla Cina. Gli stati minori, come Laos, Cambogia e Brunei, sono tutti in debito con la Cina. Così lo sono Filippina e Thailandia, che sono anche due alleati formali degli USA. Il premier malese Najib e il presidente indonesiano Jokowi hanno anche cercato la generosità cinese e il sostegno alle infrastrutture. Indipendentemente dalle recenti tensioni con la Cina, Singapore va inevitabilmente nella stessa direzione. Nel frattempo la Birmania raggiunge una pace interna duratura tra il governo centrale e le minoranze etniche senza l’accordo cinese. E il Vietnam non può permettersi di contrastare la Cina a causa degli imperativi economici.
Mentre Trump è un illustre sconosciuto perché è un completo esterno senza storia politica, il suo retroterra personale, le promesse elettorali e la postura isolazionista verso questioni, come la lotta all’immigrazione e il riportare in America la manifattura globale, puntano di nuovo a rendere prioritari gli interessi americani contro i suoi valori. Una Presidenza Trump potrebbe persino rafforzare e ricostruire la potenza forte americana ma il suo ingaggio geopolitico nel sudestasiatico sarà secondo i termini dettati da Washington, guidati dagli interessi commerciali con enfasi minore sui diritti umani e la democrazia.
La presidenza Trump potrebbe andare meglio con la miscela di regimi autoritari e democratici della regione. Ma gli USA potrebbero rientrare in una fase autocontemplativa che non si vedeva dal periodo tra le due guerre di quasi un secolo fa che precluderebbe un ruolo regionale maggiore dopo la politica insoddisfacente di Obama.
La strategia migliore di Trump sarebbe di far subentrare Giappone e Australia a cui consegnare la presenza perduta americana e assicurare una regione riallineata e più equilibrata. Il Giappone potrebbe dover diventare una nuova America nel panorama della sicurezza asiatica. I governi della regione accetterebbero un Giappone più presente come contrappeso alla Cina mentre molto del futuro del Giappone è legato inestricabilmente al destino e fortuna del Sudestasiatico.
Thinitan Pongsudhirak, AsiaNikkei