Il dieci ottobre, dopo aver ricevuto varie informazioni su un possibile autobomba a Bangkok, polizia e militari perquisirono varie località ed arrestarono dieci persone. Tra gli arrestati c’era un commerciante malay di telefonini di 39 anni che da tempo inviava telefonini nel meridione thailandese. Gli altri nove sembrano essere stati arresti occasionali.
Gli arresti però mostrano quanto si siano agitati a Bangkok per l’espansione dell’insorgenza dalle tre province meridionali, dove oltre 6700 persone sono state uccise e 12 mila ferite dal 2004.
Ci sono stati oltre 1300 bombe con una media di 14 al mese dal 2009. L’insorgenza ammazza regolarmente individui e prende di mira infrastrutture critiche. Sono state distrutte 200 scuole ed uccisi 180 insegnanti. Si stima che il 20% della popolazione buddista del meridione sia fuggita, lasciando alle spalle pochi villaggi ad etnia mista.
Nonostante la presenza di oltre 50 mila persone legate alla sicurezza, il governo non è riuscito a domare l’insorgenza. La violenza è scesa dai picchi del 2007 quando si uccidevano 4 persone al giorno. Eppure il recente salto delle attività dell’insorgenza verso aree popolari al turismo straniero rappresenta un cambio preoccupante di tattica.
Ad agosto, una ondata di bombe verso locali turistici nel meridione superiore a prevalenza buddista uccise cinque persone e ne ferì altre 30. La giunta al potere ha finora rifiutato di riconoscere una connessione verso l’insorgenza di queste bombe, tentando invece di accusare delle bombe membri radicali dell’opposizione politica, nonostante tutte le indicazioni puntino all’opposto. Cionondimeno ogni arresto ha coinvolto un membro presunto dell’insorgenza e tutte le prove legali puntano al profondo meridione thailandese. Infatti il principale gruppo ribelle, BRN, ha fatto il passo insolito per esso di reclamare la responsabilità di quelle bombe.
C’è una logica dietro l’uscire dall’area dell’insorgenza dove invece hanno preferito contenersi.
Essi non si fidano affatto che la attuale amministrazione abbia interesse a negoziare una soluzione politica duratura. I colloqui di pace, iniziati nel febbraio 2013, si sono bloccati quando la giunta ha preso il potere nel 2014. In parte è dovuto anche ai militanti oltranzisti che hanno continuato a cambiare le loro precondizioni che di per sé non invitano al dialogo. Ma il comando dei militari, allora guidato dal generale Prayuth Chanochoa, ora primo ministro, impedì al governo di fare una concessione significativa sulle amnistie, autonomia e riconoscimento.
Dopo oltre due anni al potere, la giunta permise il nuovo inizio dei colloqui il 2 settembre 2016 a Kuala Lumpur. Fu uno scambio breve, ed immediatamente il BRN indicò la propria reazione verso l’intransigenza del governo Thailandese accrescendo gli attacchi, tra i quali si annovera una bomba che spezzò in due una carrozza ferroviaria chiudendo il servizio ferroviario nel meridione thailandese.
Il BRN ha tutte le ragioni per essere scettico. La costituzione, approvata nel referendum dell’agosto 2016 centralizza i poteri e preclude le opportunità per una devoluzione politica ed economica. Strappa i poteri da politici eletti democraticamente e rafforza i militari e le elite monarchiche. Assicura che nessun militare mai risponderà per i proprio comportamento né ci sarà mai una sorveglianza dei militari che, nel meridione, operano con la cultura dell’impunità: non solo operano omicidi extragiudiziali e tortura, ma perseguono legalmente chi li denuncia.
La gente di etnia malay non ha alcuna fiducia che il regime attuale voglia trovare uno spazio per loro.
Il governo non riconosce i Malay di Pattani come gruppo etnico e si riferisce loro come “musulmani thailandesi”. Non hanno diritto alla propria lingua né a forme di riconoscimento culturale. La bozza costituzionale che fu approvata ad agosto obbliga il governo a promuovere e difendere il buddismo, mentre il governo ha fatto poco per contrastare il clero radicale buddista e i nazionalisti.
L’obbiettivo della giunta è di degradare l’insorgenza fino al punto che i bassi livelli di violenza possono essere ascritti a semplice criminalità senza fare concessioni a richieste politiche.
Le autorità thai hanno rigettato ripetutamente le loro richieste di amnistie per i militanti, hanno rifiutato di implementare la lingua malay nelle aree del meridione, ignorato le richieste di ogni forma di autonomia e rigettato direttamente di indagare le proprie forze di sicurezza per crimini contro il separatismo. Detto in poche parole, non c’è nulla per cui negoziare.
Questo così lascia il BRN e gli altri militanti con due possibilità.
La prima è di mantenere il livello attuale di violenza, sufficiente ad irritare il governo thailandese, degradare i servizi sociali, seminare terrore nella comunità buddista e comandare fedeltà nella comunità malay.
L’alternativa è di far fare un balzo alla violenza facendola uscire dalle loro aree solite in modo più regolare per aumentare la posta del negoziato. Finora sono stati riluttanti a compiere questo passo sia, in parte, per ragioni logistiche, ma anche perché riflette un calcolo politico strategico. Prendere di mira sistematicamente Bangkok e i luoghi turistici rilascerebbe un’offensiva senza limiti delle forze di sicurezza thailandese.
Ma sembra esserci la possibilità che una generazione più giovane di insorti, sempre più frustrata dal passo e dagli obiettivi dell’insorgenza, voglia prendere rischi maggiori per confrontarsi con l’intransigente regime militare.
Zachary Abuza, National War College a Washington DC, SoutheastasiaGlobe