Il luogo, in un pomeriggio nuvoloso nel quartier generale di Camp Aguinaldo a Quezon City, dava il quadro della posizione della politica filippina. C’era il presidente Rodrigo Duterte che, per la seconda volta nella giornata, emetteva il suo ripetuto e familiare monologo sconnesso sulla campagna contro la droga.
usa la droga ed io ti uccidoDietro di lui sedeva Fidel Ramos, un ex presidente che lo aveva sostenuto, col capo poggiato nella sua mano, assonnato o scocciato ancora una volta dallo stesso discorso, nascosto dietro i suoi occhiali verdastri.
Appena sei mesi fa, nell’euforia della vittoria di Duterte, il presidente nel suo discorso inaugurale aveva profusamente ringraziato Ramos, affermando che era stato colui che lo aveva spinto alla corsa elettorale. La visione di Ramos come uomo di stato ha dato a Duterte alla sua immagine populista un qualcosa in più
Ora dovevano essere cordiali, perché da allora lo stesso Ramos ha mostrato sdegno verso la direzione di marcia impressa da Duterte al paese, in cui gli omicidi extragiudiziali hanno un costo agghiacciante nella guerra alla droga che Duterte ha lanciato in modo ostinato, obiettivo unico accecante della sua presidenza.
Duterte si infiamma in pubblico e lancia invettive che il mondo ora conosce e associa al suo carattere demagogico. Non avendo avuto abbastanza nel suo discorso a Camp Aguinaldo per il giuramento del capo delle forze armate, ha continuato nel successivo evento delle forze armate con tanti documenti in cui si prova il coinvolgimento di rappresentanti nel diffuso mercato della droga.
“Non mi prendete in giro” ha gridato ai nemici invisibili che secondo lui assaltano le future generazioni di Filippini. Nelle sue filippiche estemporanee, potrebbe incitare una folla che griderebbe e ruggirebbe al ritmo di ogni sua parola, o un pubblico che potrebbe aver capito che le cose non vanno bene e potrebbe affrontarlo in un silenzio guardingo.
Perché in questa guerra alla droga il presidente ha di fatto dato carta bianca alla polizia di agire selvaggiamente, giustificando però nei loro rapporti di aver ucciso le vittime per autodifesa, criminali, che loro affermavano, armati e pronti a rispondere al fuoco. Proprio come ha detto loro di fare il presidente. Lo stesso Duterte ha mostrato il più profondo disprezzo per i diritti umani affermando che comunque l’effetto delle droghe li aveva resi degli esseri subumani.
Gli omicidi di oltre 5000 persone secondo l’ultimo conteggio ha piano piano fatto crescere una rabbia generale che potrebbe costringere a porre fine alla guerra alla droga. Meno della metà delle morti sono state causate dalla polizia in scontri a fuoco, dicono i rapporti, ed il resto è morto in un’ondata di omicidi di vigilanti che hanno luogo nelle baraccopoli della capitale e colpiscono per lo più i poveri dei poveri.
Il presidente ha dato una spinta fino allo stremo proteggendo la polizia di fronte a qualunque errore, il più recente dei quali è un’incursione in una cella carceraria contro un sindaco di provincia che era stato definito come un signore della droga.
Nel dire ai militari col suo discorso che la polizia era “divisa”, ha chiesto alle forze armate di dargli una mano, e questo è l’altra via. I militari sono stati, nei due decenni scorsi, delegati a combattere le insorgenze, guerre interne contro i ribelli musulmani e comunisti, comunque il lavoro della polizia quando erano insieme con la precedente forza nazionale di polizia.
Gettare i militari in un altro lavoro di polizia potrebbe causare resistenza o li potrebbe riportare ai vecchi tempi degli abusi della legge marziale negli anni 70. Le Filippine si sono allontanate da una dittatura verso la democrazia e potrebbe di nuovo trovarsi davanti ad un nuovo test con il presidente Duterte.
L’ex presidente Ramos dovrebbe saperlo, come anche gli altri due presidenti che sedevano a poca distanza da lui, Gloria Arroyo e Joseph Estrada, durante la cerimonia nel quartier generale dei militari.
Estrada fu deposto in un golpe popolare, a lui succedette Gloria Arroyo che a sua volta ha subito dei tentativi di golpe durante la sua presidenza. Arroyo aveva arrestato Estrada per accuse di appropriazione di soldi pubblici per liberarlo in seguito. Ora condividono una convivialità che caratterizza la politica filippina che raramente tira delle linee di principio. Sul palco, sorridendo per l’occasione, mostravano di essere i favoriti nella compagnia di Duterte.
Anche Arroyo era stata incarcerata per accuse di corruzione e liberata appena dopo Duterte è diventato presidente, vedendo i suoi vecchi luogotenenti scelti nel circolo politico del presidente attuale. Lui ha chiaramente consolidato i suoi alleati al Congresso e forse si è guadagnato il sostegno dei giudici della corte suprema, di cui avrà l’opportunità di sostituire 10 dei 15 durante la sua presidenza di sei anni. Questo spiega perché metterlo sotto accusa potrebbe essere difficile.
C’è stato un rapido correre di eventi dalla presa del potere, tessendo la vita politica in una telenovela nazionale sovvertendo politiche, rimpicciolendo le istituzioni e svergognando i suoi nemici. Sul palcoscenico nel campo, l’atmosfera di un rito in movimento ha attirato l’attenzione sull’assenza del vicepresidente Leni Robredo che si era appena dimessa da presidente di un comitato per le abitazioni, dopo aver ricevuto un messaggio di testo che le intimava di non partecipare alle riunioni di governo.
La posizione di Robredo è stata immediatamente riempita dal segretario di governo di Duterte, un ex combattente comunista che si dice stia pianificando un movimento nazionale come partito del presidente. Il suo governo ha una miscela di politici e persone di sinistra, personaggi oscuri e persone rispettate, ma è stata Robredo che è emersa ed è stata ostracizzata quando ha criticato la sepoltura di sorpresa della salma del dittatore Ferdinando Marcos lo scorso mese con l’approvazione di Duterte e la decisione della corte suprema.
Le dimissioni di Robredo, che altri definiscono licenziamento, hanno causato sospetti e teorie, alimentate dallo stesso Duterte, secondo cui egli stesso è al lavoro per farle perdere la vicepresidenza per fare posto al figlio del Dittatore che porta il suo stesso nome, Ferdinando, il quale ha perso la corsa alla vicepresidenza per oltre 200 mila voti. Lui stesso disse che i Marcos avevano finanziato la sua campagna elettorale. Questo potrebbe portare ad eventi nuovi dove il paese, che ha vissuto colpi di stato e crisi, esaurirà i copioni politici da seguire.
La sepoltura ha acceso dimostrazioni spontanee da parte di giovani del millennio al monumento, vicino al confine di Camp Aguinaldo, che simboleggia la caduta di una dittatura trenta anni fa in una rivolta popolare sostenuta dai militari che Ramos, allora capo della polizia e ministro della difesa guidò.
Le proteste che sono durate ad intermittenza per settimane sono state festose ma sprezzanti, e hanno mostrato lo spirito degli slogan di una generazione più giovane agitando le pale per un hashtag #Hukayin, che vuol dire disseppellire il dittatore.
Un piccolo gruppo sedeva in un angolo lontano a guardare un documentario sulla dittatura e il flusso degli eventi che portarono alla sua fine. Questo è quello che Duterte ha seppellito, dicevano: una storia di forze che si è unito al momento giusto, il trionfo della democrazia. E’ storia anche che ha trattato con i compromessi tra le figure al potere. Duterte ha provato a rivvederlo accorciando la memoria di un paese tagliata a sua misura, alimentata da un’armata di propagandisti e di gnomi dei media sociali.
Le dimostrazioni di strada forse non sono una minaccia per lui, forse non ancora o fino a che non raggiungono la grandezza di quelle di Seul o Giacarta. I suoi sei mesi al potere gli hanno fatto guadagnare tempo e portato lo spettro di altri omicidi.
Non abbiamo modo per sapere quando e come si fermeranno.
Criselda Yabes, Asiasentinell