E’ Natale nelle Filippine. Come per quasi tutte le altre colonie spagnole, il paese è completamente cattolico e celebra la festività con una tenera serietà. Lungo le grandi arterie di Manila, sin da settembre, sono appese le luminarie rosse e verdi. Sulle entrate dei quartier generali della polizia della città, una fila di luci bianco sporco sono state arrangiate per scrivere la frase “Pace in Terra”.
Il traffico è persino peggio del solito, particolarmente sull’arteria che connette l’aeroporto internazionale Ninoy Aquino alla città: in molti dei dieci milioni di filippini che lavorano all’estero come cameriere, camerieri, lavoratori comuni, sono tornati a casa per le feste.
Al Senato delle Filippine, i legislatori hanno fatto di tutto per decorare le porte dei loro uffici. La costruzione stessa è tozza e atroce, e il tetto basso e le luci fluorescenti danno la sensazione di un sentimento burocratico sfortunato, ma le decorazioni portano un po’ di colore. Sono per lo più ortodosse, classiche se non per una porta che è invece è stata decorata invece con decorazioni biancastre ed eleganti palline dorate.
E’ l’ufficio della senatrice De Lima, ed il pomeriggio del 7 dicembre è alla sua scrivania, stanca ma imperterrita per lo più. Ha 57 anni, un curato taglio corto dei capelli e un buon gusto in fatto a scialli di seta. Vuole che si sappia che questo è un paese in guerra. E’ difficile da vedere, perché è una guerra che accade solo di notte. Dall’elezioni di Duterte a Maggio, 6000 persone sono morte in quella che è stata definita la sua “guerra alla droga”, una campagna extragiudiziale e per lo più arbitraria per cancellare totalmente le Filippine dei tossicomani e trafficanti.
Il costo è ora simile a quello inflitto lo scorso anno da Boko Haram in Nigeria.
“Queste sono squadre della morte” dice semplicemente De Lima che si riferisce ai vigilanti che abbattono sospetti tossicomani nelle strade e talvolta nelle loro case.
Al di fuori del suo ufficio privato, c’è un posto come un recinto dove è indaffarato il suo gruppo di lavoro fatto di tipi giovani ed entusiasti, ma qui è calmo e vuoto. Ha il proprio piccolo presepe in un tavolo lontano; sulla sua scrivania, dietro il sigillo del Senato Filippino, sono stati meticolosamente accatastati i documenti dell’inchiesta del Senato sulla sua presunta corruzione. Non presta loro attenzione.
De Lima, che in precedenza è stata ministro della giustizia e ha presieduto la Commissione nazionale dei diritti umani, è stata letta a maggio, nello stesso giorno che Duterte ha vinto a man bassa. Da quando è in carica, si è impegnata a stargli testa a testa e combattere la guerra alla droga nei più alti corridoi del potere del paese. E’ in pratica l’unico politico a farlo.
La sua è stata una battaglia repellente, per lo più inutile. Duterte, che è diventato una celebrità politica come sboccato sindaco di Davao, un tempo capitale dell’omicidio del paese, è largamente popolare nelle Filippine. Le ultime indagini statistiche il tasso di consenso è rimasto al 76%.
Gli storici del globalismo ricorderanno questo decennio come un’epoca che ha dato legittimità politica agli Oppositori. Duterte, come Trump, si è appellato agli elettori poiché era la personificazione di chi rifiuta il potere costituito di cui si erano illusi, promettendo di restaurare ordine nelle strade e lustro all’immagine nazionale.
La sua popolarità si estende alla legislatura del paese, dove una rabbiosa coalizione di legislatori ha deciso di impedire alla De Lima di perseguire la giustizia e, nel frattempo, rovinarle l’immagine. A Settembre fu cacciata dalla presidenza della Commissione del senato sulla giustizia e sui diritti umani che con lei aveva indagato con tenacia gli omicidi extragiudiziali della guerra alla droga. Settimane dopo Duterte in persona accusò pubblicamente la De Lima di avere benefici nascosti dal traffico della droga in un carcere di Manila, e di avere una relazione sordida con il suo autista che Duterte aveva accusato di essere il suo complice. Duterte si vantò persino di avere un video porno dei due che gli aveva fatto “perdere l’appetito”. A fine agosto davanti ai suoi sostenitori invitò De Lima ad “impiccarsi”
“Tutto questo non ha precedenti. Nessuno è mai stato messo alla berlina in questo modo da un presidente in carica” dice De Lima. “Ed è tutto inventato. Lo fanno per screditarmi, imbarazzarmi, umiliarmi, vilificarmi. Mi disegnano come una donna cattiva e immorale a cui la gente non darà più ascolto.”
Ma la gente comunque ascolta. In un paese dove i media sono enormi ed hanno grande fame di scandali, ora De Lima è uno degli attori più notevoli e polarizzanti nella guerra alla droga. Una ricerca su Facebook dice che almeno 100 mila differenti utenti parlano di lei.
Era appena giunta a Washington, dove Foreign Policy la celebrava come uno dei maggiori Global Thinker per “non aver paura di un capo di stato estremista”. Lo stesso giorno, nelle Filippine, gli alleati di Duterte al Congresso la denunciavano per “aver mancato di rispetto” al parlamento.
“Delima e altri oligarchi che volete cacciare Duterte, vi teniamo d’occhio” scriveva un utente di Facebook. “Qualunque siano i vostri piani maligni non avrete successo”.
Ancora da perdere
Vi dice che non ha mai voluto che ciò accadesse. Parla di politica, e del suo teatrino allegato. Ma questo è un paese dove le figure iù improbabili finiscono nelle posizioni di autorità. Manny Pacquiao, il pugile filippino che perse l’incontro molto visto del 2015 contro Floyd Mayweather, fu il senatore che ha lavorato a rimuovere De Lima dalle indagini sulla guerra alla droga. Lei così si trova in buona compagnia.
“Il consiglio di mio padre fu di evitare la politica, se ci riuscivo” dice “Diceva che ho una personalità che non si addice alla politica, che potrei finire a soffrire, perché non so fare giochetti”.
Si è fatto un idolo del padre Vincente, un famoso avvocato che finì per guidare la commissione di regolamento elettorale filippino. Ei è nata ad Iriga, dieci ore di macchina da Manila in un giorno di agosto 1957. Come gran parte dei paesi del sudestasiatico in quei giorni, le Filippine erano un paese giovane, appena uscito dal giogo coloniale e ondeggiante. De Lima aveva appena 8 anni quando Ferdinando Marcos, senatore populista e falso eroe di guerra, fu eletto nel 1965 presidente ed iniziò così ventanni di una dittatura cleptocratica in cui videro la prigione decine di migliaia di dissidenti, il furto di 10 miliardi di dollari dal tesoro nazionale, da cui il paese si deve ancora riprendere, e la nascita dell’emergenza nazionale di omicidi extragiudiziali. Duterte ha ripetutamente esaltato Marcos e lo scorso mese la ha fatto seppellire nel cimitero degli eroi.
De Lima non era molto attiva da giovane, ma era una studentessa esemplare, perché suo padre che, lei definisce un uomo dalla forte disciplina, comprava enciclopedie e la costringeva a leggerle. Quando non era a scuola seguiva il padre in tribunale lavorando nel suo ufficio come “un impiegato non assunto”. Da adolescente passava il tempo a leggere le sentenze della corte costituzionale.
“Era il mio destino diventare avvocato” dice “Non avevo altre ambizioni persino da piccola”.
Si diplomò presso un liceo locale, poi alla prestigiosa università De La Salle, alla scuola di legge di San Beda College, dove un decennio prima Duterte era stato uno studente anche lui, il quale tra l’altro dichiara felice di aver sparato ad uno studente mentre era lì. A San Beda si innamorò e sposò un compagno di corso, Plaridel Bohol.
Si era agli inizi degli anni 80. Il paese si trovava sul precipizio di un cambiamento epocale. Nel 1983, due anni prima della sua laurea a San Beda, era stato assassinato il famoso capo dell’opposizione Ninoy Aquino mentre scendeva da un volo intercontinentale nell’aeroporto di Manila, scatenando ondate di disordini politici e instabilità economica. Forse in modo adeguato la canzone più in voga nellaManila di quei giorni era “More to Lose” di uno sconosciuto duo inglese chiamato Seona Dancing.
De Lima attendeva di fare l’esame da avvocato quando il regime di Marcos cadde a febbraio del 1986. La rivoluzione del potere popolare, come fu chiamata, fu pacifica ed instillò in tanti giovani filippini come De Lima l’ottimismo di un futuro liberale. Con l’esilio di Marcos su pressioni americane dopo un’elezione democratica, Corazon Cory Aquino, vedova del compianto Ninoy, divenne presidente e rinominò l’aeroporto di Manila con il nome del marito. De Lima ebbe il risultato degli esami ricevendo l’ottavo punteggio più alto delle Filippine.
Andò a lavorare per un importante giudice della corte suprema, Isagani Cruz, ma lasciò agli inizi degli anni 90 per seguire la legge elettorale sotto l’egida di vari mentori. Era una situazione abbastanza giovane dato che le dittature danno poche opportunità di scontri elettorali, e De Lima era la sola donna.
“Era molto molto brava” dice Sixto Brillantes che fu docente della e Lima a San Beda e che la seguì come praticante. “Eravamo i primi nel campo, poi venne lei e ci rese difficile il lavoro perché passava tutto il suo tempo a studiare e a ricercare, e parlare a tutti i clienti”.
Nel corso di 15 anni, assunse tanti casi di alto profilo tra i quali vari che ora hanno trovato l’espediente politico di attaccarla nella campagna di denigrazione. Fece questo lavoro fino a maggio 2008, quando fu contattata dalla presidente Arroyo che le chiese di presiedere la Commissione Nazionale dei Diritti Umani.
“Fu un cambio inatteso degli eventi e mai parte della mia carriera” dice De Lima “Pensavo di essere un avvocato delle elezioni a vita. Non ero sicura delle ragioni per cui lo fece Arroyo, ma la presi come una sfida”.
Il mese prima della sua nomina, Philip Alston, alto rappresentante dell’ONU per i diritti umani, pubblicò un rapporto di appena 65 pagine sulla chiara epidemia nazionale di omicidi extragiudiziali.Erano per lo più militanti ad essere uccisi, ma una pagina era dedicata alla città meridionale di Davao, descrivendo “la scioccante prevedibilità con cui criminali, membri di bande e bambini di strada sono passati per le armi per via extragiudiziale”.
“Il sindaco è un populista autoritario che tiene il comando, a parte un breve periodo da parlamentare, dal 1988” dice il rapporto. “Quando parlammo, ha insistito nel dire che controlla l’esercito e la polizia affermando La corsa finisce qui”.
Il nome del sindaco era Rodrigo Duterte. De Lima non lo aveva mai sentito nominare prima, ma fece in fretta le proprie ricerche. “Era una figura colorita, abbastanza differente” dice De Lima, una comprensione conscia. Durante il suo sindacato di Davao, Duterte aveva rafforzato la sua agenda contro il crimine in modi che hanno qualcosa di patologico: ammette di aver ucciso personalmente presunti criminali, di averli picchiati, persino di aver minacciato motociclisti in eccesso di velocità di denudarli e portarli in giro per la città. L’ente turistico di Davao la definì “la città più pacifica del sudestasiatico”.
I rapporti degli omicidi extragiudiziali preoccuparono la De Lima che mise insieme una commissione di cinque persone e passò vari mesi a viaggiare da e verso Davao, distatnte 80 minuti di volo da Manila. Tennero sessioni di inchiesta pubblici in un hotel di Davao dove interrogavano i testimoni. In uno invitò a comparire lo stesso Duterte.
“Lo strigliai pubblicamente e lui fu alquanto docile.” disse De Lima. “Non reagì violentemente. Rimaneva a guardarmi. Ero io che alzavo la voce contro di lui davanti a quella gente”.
“Non lo ha dimenticato” dice “Non mi ha perdonato”.
Nel 2010 si guadagnò l’attenzione del presidente eletto Benigno Aquino, figlio di Ninoy e Cory, che la invità a casa sua offrendole il ministero della giustizia. Fu un lavoro che la impegnò: durante i primi due mesi di incarico, un gruppo di turisti cinesi a Manila fu preso in ostaggio sul loro bus da un poliziotto deluso e otto di loro furono uccisi.
Molti dei casi erano delicati, e Aquino chiese a De Lima se avesse suggerimenti per la sicurezza. Aveva assunto Ronnie Dayan come autista e guardia del corpo nel 2007, quando lavorava privatamente. A quel punto il suo matrimonio con Bohol era finito da sei anni. Si trovò molto spesso in compagnia di Dayan e nel giro di mesi “accadde il fatto”.
“Mi innamorai di lui” sorride De Lima. “Mi fidavo di lui. Lo amavo. Amore è amore”.
Finì che lui rimase a casa sua a Manila durante la settimana di lavoro che permetteva discrezione. La relazione che sarebbe tornata ad assalirla, durò sette anni fino al 2014 quando lei la interruppe, perché lui “cominciava a pensare alla grande. Ed io esaurii il mio amore”.
Nel frattempo Aquino la incoraggiava a partecipare alle elezioni al Senato del 2016. “Immaginavo di poter essere l’avvocato migliore per ciò che mi stava a cuore, diritti umani e giustizia, attraverso la legislazione.”
Fu eletta a maggio con un margine piccolo, ma l’attenzione nazionale era rivolta ad uno scontro più grande, l’elezione del presidente che in termini di discorsi era monopolizzata da Duterte.
Duterte usò la sua reputazione di sindaco vigilante promettendo di uccidere 100 mila criminali se avesse vinto. Le folle finirono per mangiare la foglia. I media occidentali si precipitarono sui suoi commenti sul Papa, che Duterte chiamò figlio di puttana, e sulla violenza sessuale. “Avrei dovuto essere il primo a stuprarla” disse di una infermiera australiana, Jacqueline Hamille che fu stuprata in gruppo ed uccisa durante dei disordini nella prigione di Davao. Ma agli elettori non importò. Sentivano che le Filippine si trovavano in un nadir. Il tasso di omicidi del paese fu il maggiore in Asia nel 2013; scoppiavano il commercio ed il consumo di una metamfetamina, lo shabu.
Di conseguenza l’industria turistica che impiega 1 filippino su 10 e costituisce il 7.8% del PIL soffriva. Duterte, credeva la gente, l’avrebbe risolta la questione.
Duterte salì alla presidenza alla fine di giugno; gli omicidi iniziarono immediatamente. Secondo alcune stime 1400 persone sono state uccise nei primi tre mesi. Le prigioni erano stracolme; i detenuti dormivano letteralmente l’un sull’altro. De Lima vide venire questa situazione. Prese servizio lo stesso giorno di Duterte, e 13 giorni dopo introdusse una risoluzione al senato in cui si chiedeva un’inchiesta sulle brutalità.
“Omicidi extragiudiziali o sommari sono omicidio. Se li si lascia andare senza vincoli e controlli, diventeranno un crimine contro l’umanità secondo la legge internazionale”.
Duterte e molti suoi sostenitori immediatamente andarono sulla difensiva per strada e nel congresso. Il 17 agosto il presidente presentò un’accusa dannata: durante il suo ministero de Lima aveva permesso il fiorire del commercio della droga nella prigione nazionale di Bilibud, nella città metropolitana di Manila, in cambio di donazioni per la sua elezione. E sollevò anche il nome di Dayan.
“L’autista” disse Duterte “era il suo amante. Ra quello che raccoglieva il denaro illegale per lei durante la campagna elettorale.”
“Una relazione amorosa ha portato alla corruzione” gridava un titolo nel giornale vicino a Duterte Manila Times. Un lettoe scrisse nella sezione di commenti: “Duterte, sei una ventata di aria fresca in un mondo che altrimenti puzza di autorità e corruzione”
“E’ una menzogna totale” dice De Lima. “Mi prenda un fulmine se è tutto vero. In nessun caso sono stato un protettore, un beneficiario, uno che ha favorito il commercio della droga”.
Meno di un mese dopo, De Lima fu cacciata da presidente del comitato investigativo sulla guerra alla droga. Il senatore Alan Peter Cayetano, che nasce in una famiglia politica forte ed è largamente considerato uno scialbo opportunista, si alzò nel senato ed accusò la De Lima di aver malinformato la stampa internazionale. Cayetano era stato il vicepresidente associato con Duterte e finì terzo nella corsa a vice presidente che nelle Filippine è indipendente dal presidente. Ma prima ancora era stato un cliente legale della De Lima quando lavorava come avvocato di cause elettorali. Non ha voluto essere intervistato per questo articolo.
Nei mesi a seguire il Senato è diventato un tribunale fantoccio sia nelle indagini sulla guerra alla droga che sullo scandalo dei carceri contro la De Lima. Il telefono e indirizzo sono stati dati in pasto al pubblico. Dayan, il suo fidanzato di sette anni, ha iniziato a testimoniare contro di lei, cosa che lei definisce cospirazione. L’uomo disse ai senatori di aver raccolto denaro per la De Lima da un trafficante che si chiama Kerwin Espinosa, e il 6 dicembre de Lima si è confrontata con lui in Senato.
“Ti perdono” disse. “Ti usano per distruggermi e saprò al momento opportuno chi sono.”
Una settimana dopo è denunciata da alcuni legislatori per mancanza di rispetto per il parlamento.
Brillantes, l’ex docente e presidente del comitato elettorale, che insegnò sia a Duterte che De Lima a San Beda, è vicino ad entrambi. Ha tentato senza riuscirci un disgelo. “Ho parlato al Presidente, non si tirerà indietro. E’ molto difficile per Leila perché il presidente è molto incosciente”
Poi aggiunge: “Ma Leila è una lottatrice. Lo è sempre stata”.
De Lima ora sospetta una fine imminente della sua carriera politica se non peggio.
“L’idea di finire in prigione non è poi così insensata specialmente perché lo ha ripetuto lo stesso presidente. E sono sempre stata preoccupata per la mia sicurezza ma si è intensificata. Sentiamo di essere controllati” dice la De Lima.
Un po’ filosofeggia su tutto questo. “Ad essere onesta talvolta credo che non avrei dovuto correre per il senato perché mi sarebbe stato risparmiato tutto questo. Ma se non fossi stata eletta chi starebbe a lottare contro il presidente?”
Nash Jenkins, Thetime.com