Sulla Nimmanhaemin Road a Chiang Mai, un centro turistico alla moda che attrae turisti cinesi, un gruppo di quattro giovani professoresse cinesi accetta, con qualche ritrosia, la richiesta di essere intervistate. L’esitazione nasce dal fatto di essere coscienti dei rischi connessi con la discussione sui turisti cinesi nella Thailandia, e della cattiva immagine con cui spesso li descrivono i media internazionali.
E’ la loro prima visita in Thailandia, meta abbordabile per le loro tasche e per la vicinanza alla provincia di origine di Guangdong.
Capita che si trovino anche sui passi dei loro antenati Teochew, che all’inizio del XX secolo, si spostarono in Thailandia, in un momento in cui ondate di immigrati fuggivano dalla Cina povera per cercare fortuna e felicità nella Terra del Sorriso.
“Abbiamo sentito molto dei nostri antenati che migrarono in Thailandia, la tradizione dell’emigrazione cinese è parte dei ricordi di gioventù” racconta Lin Ju.
Lin Ju si dichiara fiera degli “infaticabili cinesi in Thailandia” che hanno dato così tanto all’economia del loro paese, quando la Cina doveva ancora diventare un gigante economico.
La sua amica Miaofang dice che i thailandesi sono affabili, ospitali e riconoscenti per la ricchezza turistica che portano. “I media ingigantiscono il comportamento dei cinesi, pochi casi non riflettono il comportamento di un’intera nazione”
Sulla stessa strada una coppia che viene da Jiangxi è d’accordo. “Lo stesso soggetto mi fa arrabbiare. I media qui e in Cina prendono ad esempio i casi più oltraggiosi” dice Shan Xiaolian.
I thai non hanno antipatie in genere per i cinesi, aggiunge la ragazza Teng Rui che insegna inglese e comportamento alle elementari. “Sono solo i giornali”.
Ultimamente i media thai erano pieni di storie di comportamenti errati di turisti cinesi. Alcuni video virali presentavano dei ghiotti turisti cinesi con masse di piatti pieni di gamberi, oppure uno sproloquio anticinese di una celebrità thailandese sull’etichetta delle file agli aeroporti coreani, di scanzonati giovinastri vestiti con le uniformi universitarie thai e di un turista cinese che asciugava le sue mutande nell’aeroporto di Chiang Mai.
Rissosi, senza regole, rumorosi e privi di rispetto sono gli aggettivi usati quando si parla di turisti cinesi nella Thailandia.
Le notizie costanti e cattive hanno spinto il governo cinese ad emanare un manifesto delle buone maniere per chi pensa di andare all’estero. Sebbene il loro comportamento sia inferiore di molto rispetto ai comportamenti villani e persino violenti di qualche occidentale in ogni notte negli infami punti di ritrovo thailandesi, è sempre il Cinese a beccarsi la colpa.
Questa repulsione popolare di fatto è più profonda delle buffonate di qualche turista e si radica sia nell’economia del turismo cinese che nella storia dell’emigrazione cinese in Thailandia.
Usando le parole del capo della Autorità del Turismo Thailandese, TAT, Thawatchai Arunyik, la Cina è agli inizi come fonte di turismo. A giugno si prevedevano quasi 34 milioni di nuovi arrivi nel 2016 con un aumento del 12% sul 2015. La ragione del boom è l’arrivo di turisti cinesi che nel 2015 rappresentarono un quarto del traffico totale con quasi otto milioni di persone. All’inizio si pensava che il numero sarebbe salito a 10 milioni per l’a fine dell’anno.
Ma queste continue notizie sui turisti cinesi costrinse le autorità thai a fare il punto particolarmente quando la faccenda cominciò a colpire l’industria turistica. La controversia sui tour da zero dollari illustra il il problema associato tipicamente con i turisti cinesi: gli operatori turistici attraggono turisti con pacchetti molto economici che promettono la pensione completa, ma una volta in Thailandia i poveri turisti sono costretti a comprare beni e servizi a prezzi esorbitanti da operatori gestiti dai cinesi. Mentre il denaro ritorna per lo più in Cina, l’economia locale ha pochi guadagni dalla crescita dei turisti cinesi anche se assorbono risorse locali.
A settembre il governo thai ha represso questi operatori cinesi con una conseguente caduta di arrivi dalla Cina. Ha posto una tassa all’arrivo di 1000 baht, 30 euro, ed un costo di 1000 baht al giorno per gruppi turistici di cinesi portando ad una caduta del 16% dell’arrivo di turisti su base annua ad ottobre e 30% a novembre.
Ora è cambiato l’obiettivo degli arrivi di turisti cinesi nella Thailandia, da 10 milioni a 9.1 milioni, un declino che continuerà nel 2017 quando gli arrivi scenderanno di un quinto rispetto al primo trimestre dello scorso anno. In parte il governo ha fatto una marcia indietro a causa del calo vistoso degli arrivi eliminando le tasse fino a febbraio 2018 e tagliando il costo del visto all’arrivo per 19 altre nazionalità.
Ma qual’è la ragione radicale della descrizione negativa dei turisti cinesi che ha spinto il governo ad agire? Secondo lo studioso della Cina Peter Hessler, la serie di racconti negativi sono parte di ciò che definisce periodo di adeguamento in relazione al modo in cui la cultura cinese interagisce con il resto del mondo.
La Thailandia non è proprio l’unico paese che ha criticato i turisti cinesi. I media giapponesi questo anno hanno chiesto delle “Zone per soli cinesi” per limitare i casi di quello che è considerato comportamento basso. La rabbia è cresciuta di nuovo poco tempo fa dopo la notizia di zuffe tra turisti cinesi nei guai e la polizia giapponese. Il Vietnam ha affermato da parte sua che potrebbe espellere turisti dopo un video virale di un turista che si comportava male contro venditori ambulanti.
Hessler crede che geografia e storia giochino una grande parte in questa ostilità verso i turisti cinesi. “I paesi asiatici sono più consci della nascita della Cina e sono in qualche modo stanchi”. Cita l’Egitto dove il turismo cinese è cresciuto del 200% dando all’industria una tanto agognata spinta in un momento che i turisti occidentali si tengono lontano.
Anche in Egitto i turisti cinesi hanno attirato l’attenzione per non dare le mance e la loro tendenza a conformarsi al modo di vestirsi. “E’ interessante che non si è notato alcun contraccolpo in Egitto, la gente è contenta della Cina” dice Hessler. La Cina non ha mai avuto alcuna parte nella questione palestinese che colora il modo in cui l’Egitto vede i turisti occidentali. “La Cina non è una minaccia per l’Egitto”
Hessler crede anche che il naturale amore dei cinesi per la storia contribuisce alle attitudini positive verso di loro. I turisti cinesi scelgono musei e templi contro spiagge e bere, e sono più radicati in tali cose di quanto lo facciano gli americani di pari livello.
La reazione positiva dell’Egitto mostra che la negatività verso i turisti cinesi non è fenomeno universale. I cinesi in Egitto si comportano allo stesso modo che in altri paesi ma gli egiziani ridono del loro cattivo comportamento.
D’altro canto se comportamenti simili fossero fatti da gruppi di turisti di Israele ci sarebbe stato un pandemonio, dice Hessler. “Il bagaglio culturale, politico e storico della gente è sempre con loro ovunque vadano, e la gente del posto li interpreta in molti casi attraverso quelle lenti”. Probabilmente la memoria collettiva delle interazioni culturali tra cinesi e thailandesi ha a che fare con le reazioni thai contro i presunti comportamenti cinesi rispetto a tutto il resto.
In un suo lavoro, Benedict Anderson sottolinea come i cinesi siano giunti a controllare molta parte della Thailandia, e che la attuale lotta di potere in Thailandia coinvolge vari gruppi di cinesi giunti nel paese. Sulla nascita della diaspora cinese, Anderson dice che non ci volle molto per giungere al punto che “l’economia della Thailandia finisse in gruppi cinesi differenti” e qualche tempo dopo anche alla politica.
Sull’influsso di immigrati cinesi all’inizio del XX secolo Anderson dice: “A Bangkok per esempio, i Teochew controllavano il 97% di tutti i banchi di pegno e in modo simile i mulini del riso. Rappresentavano anche il 92% delle persone mediche. Le imprese della lavorazione del legno erano per lo più nelle mani degli Hailamese. La gente che lavorava il cuoio, d’altro canto, erano per lo più Hakka al 98%, e 9 su dieci sarti erano Hakka. Il 59% dei negozi di macchine erano di proprietà di cantonesi. 87% degli esportatori di caucciù erano Hokkien.”
Il controllo sull’economia thai da parte dei Thai di origine cinese resta la stessa sino ad oggi. Il più ricco uomo in Thailandia Dhanin Cheravanont del conglomerato CP è di origini cinesi. Lo è anche Charoen Sirivadhanabhakti il secondo più ricco e la famiglia Chirathivat al terzo posto.
Tra chi è passato alla politica si annovera il più famoso Thaksin Shinawatra, nipote di un immigrato di Guangdong, tutt’ora con una significativa influenza politica sebbene in esilio volontario.
“Dopo la II guerra mondiale, ci furono molti uomini forti di origine cinese a governare il paese, ma i cinesi hanno sempre avuto successo negli affari che causava la maggiore gelosia.Volevamo che venissero i cinesi, le loro capacità ma eravamo gelosi dei loro soldi. Usavamo il termine negativo Thai Jek per loro” dice Nusara Thaitawat, ex giornalista e proprietario di ristorante a Chiang Mai.
Nusara, anch’essa di origini cinesi, sostiene che l’ansia rispetto ai cinesi è in relazione al loro numero soltanto. “Non abbiamo mai avuto così tanti cinesi. E’ enorme, non siamo preparati a questi numeri. Negli anni 60 si ebbe l’influsso dei “brutti americani” e negli anni 80 dei giapponesi. I Thai temevano che i giapponesi avrebbero comprato il paese. La marea di turisti cinesi riporta quella stessa paura”
Martin Vensky-Stalling dell’Università di Chiang Mai echeggia la tensione tra l’attrattiva del dollaro del turismo cinese e la minaccia che il denaro cinese compri tutto ciò che è thai. La reazione dei media è stat esagerata a suo avviso ed i turisti cinesi sono stati una benedizione per l’economia.
“Una preoccupazione è che sempre più centri commerciali che attraggono turisti cinesi sembrano essere stati comprati dai cinesi”
Hessler vede anche ul legame tra percezione negativa dei turisti cinesi e la trasformazione economica della Cina “nel senso che ha creato una società altamente competitiva, in rapidissima trasformazione, che spinge la gente a prendere e fare decisioni veloci che non necessariamente sono accorte o attente al proprio vicino”
Questo migliorerà col tempo, dice, ed aggiunge che è una cosa buonissima che più cinesi viaggino all’estero, per l’economia degli altri paesi e per i cinesi dopo decenni di isolamento. “Ci saranno scosse lungo il percorso ma complessivamente è un buon processo”.
Le scosse sono molto evidenti quando si tratta di gruppi di turisti, che spendono pochissimo e che attirano la grande critica in Thailandia.
Un gruppo a Chiang Mai era per lo più dell’opinione che i media avevano esagerato la questione, sebbene gli uomini più giovani nel gruppo dicessero che parte del problema era causata dalla diversità regionale nei codici di comportamento tra i viaggiatori cinesi.
“Alcuni non riescono ad adattarsi alle culture locali mentre viaggiano” dice Wang di Shangai. “ma la gente sta imparando dagli altri e dai media locali sull’esistenza di comportamenti non accettai. La Cina si è sviluppata in un breve periodo, forse per alcuni il comportamento sociale non è cresciuto al ritmo dello sviluppo economico”
Una persona anziana vicino a Wang anche lui di Shangai è d’accordo. Da una generazione che non viaggia all’estero o che parla ai media, preferisce non dare il proprio nome. Ma mentre sta per finire questa strana intervista fa un largo sorriso, tira fuori un pacchetto di sigarette e ne offre una a chi lo intervista.
James Austin Farrell, SCMP