Nel riflettere su quanto avvenuto nel 2016, l’attenzione si accentra su quanto accaduto in occidente o nel medio oriente, la vittoria elettorale di Trump o le brutalità di Aleppo.
Eppure il Sudestasiatico ha vissuto tendenze preoccupanti che minano i diritti umani ed alimentano divisioni.
Nel complesso, il 2016 non è stato un buon anno per la regione perché la tendenza è verso maggiori difficoltà per le libertà civili.
Sono aumentati gli attacchi politici nefasti verso i militanti della società civile con maggiore violenza. L’attivista Kem Lay è stato ucciso in pieno giorno a luglio, mese in cui è stata uccisa anche l’ambientalista filippina Gloria Capitan a Bataan. Nella stessa settimana di settembre sono stati uccisi due sindacalisti filippini Orlando Abangan e Edilberto Miralles. In Malesia a giugno è stato il turno di Bill Kayong, militante dei diritti delle popolazioni indigene del Sarawak, ucciso sul suo mezzo ad un incrocio. In tutti questi casi ci sono forti domande sulle responsabilità.
Altri attacchi sono stati più definiti mentre i governi usano tutti i mezzi che hanno a disposizione, senza alcun ritegno, per controllare il dissenso. La presidente di Bersih malese, Maria Chin Abdullah, è stata arrestata secondo le misure speciali del SOSMA per dieci giorni insieme ad altri militanti tra i quali Anis Syafiqah Yusof. A Singapore il giovanissimo Amos Yee fu costretto a chiedere asilo politico in risposta ad una chiara tendenza persecutoria. Era stato condannato a sei anni “per aver ferito i sentimenti religiosi dei seguaci cristiani e musulmani” in modo simile ad un precedente caso del 2015.
I militanti del movimento cambogiano del Lunedì Nero ha anche vissuto ripetuti arresti nell’anno per aver difeso i diritti umani. Questa tendenza è chiara anche in Thailandia. L’avvocato dei diritti Sirikan Charoensiri ha vissuto ripetute intimidazioni dopo essere stata interrogata per la sua dichiarazione sui diritti umani a Ginevra a Settembre. Poi Sirikan è stata accusata di sedizione. L’approccio duro spesso si è ritorto sul governo ma non senza che i militanti siano stati costretti a sacrificarsi per i propri principi.
Attaccare i propri oppositori diventa la norma regionale. La Thailandia della giunta militare è la prima negli arresti specie chi ha messo in dubbio il referendum di agosto sulla costituzione militare.
Altri non si sono tirati indietro. Mentre il primo ministro cambogiano Hun Sen ha scelto di chiudere l’anno con un armistizio, il 2016 ha visto arresti senza precedenti, attacchi verbali e fisici sui membri dell’opposizione.
Il capo dell’opposizione San Rainsy fu mandato in esilio senza poter ritornare in Cambogia, e l’altro capo dell’opposizione Kem Sokha è rimasto rinchiuso per mesi nel suo ufficio.
Yingluck Shinawatra, capo del governo thailandese deposto nel maggio 2014 da un golpe militare, ora è accusata penalmente per il suo progetto di sostegno al prezzo del riso. Nel contempo giace nelle patrie galere malesi il capo dell’opposizione Anwar Ibrahim per una condanna pretestuosa e gli sono negate crudelmente le cure mediche appropriate.
A rafforzare gli sforzi per spegnere le critiche i governi hanno rafforzato il controllo sulla libertà di espressione che avviene sotto due forme: accuse penali per la critica e instillare la paura ed introdurre leggi più forcaiole.
I giornalisti si sono ritrovati sul fonte di queste accuse. A gennaio il primo ministro di Timor Est Rui Maria de Araujo ha denunciato per diffamazione due giornalisti per un rapporto del 2015 che denunciava le sue malefatte nel periodo del ministero delle finanze. L’articolo originario conteneva un errore di fatti che fu poi corretto in accordo alla legge sulla stampa.
Il governo eletto del NLD birmano non è stato neanche lui amico della stampa. Agli inizi di ottobre dei giornalisti furono accusati e condannati a multe in due casi diversi. A novembre dopo un articolo sugli stupri nello stato Rakhine, la giornalista Fiona MacGregor del giornale Myanmar Times fu convocata dal portavoce del presidente birmano e poi licenziata.
In Malesia le condizioni politiche hanno portato alla chiusura del Malaysian Insider, mentre il direttore di Malaysiakini Steven Gan fu denunciato per aver solo scritto una storia.
Il Vietnam comunque è alla cima delle difficoltà per i giornalisti, persino oltre le condizioni mortali per i giornalisti nelle Filippine. Vari giornalisti vietnamiti sono stati picchiato per le indagini su scarichi chimici a luglio. Ad aprile sette bloggers furono condannati in una settimana rafforzando così la repressione di lunga data sull’espressione di idee alternative.
Obiettivi di attacchi alla libera civili e d’espressione sono stati sempre di più comuni cittadini per i commenti su Facebook, usati come motivo di arresto. A marzo il militante thai Sarawut Bamrungkittikhun fu arrestato per dei suoi post sulla sua pagina. Lo stesso mese fu il turno di Theerawan Charoensuk per aver postato una ciotola di plastica rossa con gli auguri a Thaksin e Yingluck Shinawatra.
Il poeta indonesiano Saut Situmorang fu condannato a Settembre a cinque mesi per commenti su Facebook che criticavano figure letterarie indonesiane.
Il fine della legge si allarga. A maggio tre laotiani furono arrestati tornando dalla Thailandia dopo aver criticato il governo laotiano mentre erano all’estero.
Particolarmente punito è la critica dei militari. Nel 2016 almeno cinque birmani sono stati arrestati per dei commenti su Facebook ritenuti diffamatori per i militari e membri del governo. Tra questi vi è Myo Yan Naung Thein del NLD che aveva criticato i militari “per non aver difeso il paese”nello stato Rakhine a novembre. I militari thailandesi sono stati duri allo stesso modo nel rispondere alle critiche online.
La repressione della libertà di parola si è estesa alle arene tradizionali. A febbraio sei studenti universitari malesi sono stati puniti per aver tenuto una conferenza stampa. Allo stesso modo in altre università la libertà e l’attivismo studentesco è sotto pressione. Lo stesso parlamento non è un santuario. Il parlamentare di opposizione malese Rafizi Ramli fu condannato per aver diffuso documenti relativi allo scandalo 1MDB senza alcuna protezione per le talpe nello scandalo malese del 1MDB che coinvolge il primo ministro malese Najib Razak.
Una simile larga portata nell’interpretazione delle critica è evidente in Thailandia dove Patnaree Chankij, madre del militante Sirawith Seritiwat del Movimento della Nuova Democrazia, è stata arrestata per non aver risposto in modo opportuno ad una email ritenuta lesa maestà.
Le autorità hanno colpito duro anche la satira politica. A maggio otto persone sono state accusate di aver canzonato in un post il primo ministro thailandese Prayuth con foto manipolate e frasi colorite.
Il vignettista politico malese Zulkiflee Anwar Ulhaque, conosciuto come Zunar, è stato arrestato nel 2016 varie volte per il proprio lavoro, accusato di sedizione contro il primo ministro malese. Un artista di strada malese Fahmi Reza è stato accusato per aver dipinto il primo ministro da clown.
Per rafforzare il proprio poteri i governi regionali hanno rafforzato le leggi della libertà di espressione.
L’assemblea nazionale Vietnamita ha approvato una legge repressiva a marzo che rende penale il giornalismo ordinario. In Thailandia prima del Referendum fu approvata una nuova legge che vietava fare campagna elettorale contro la costituzione militare o esprimere opinioni che non erano “consistenti con la verità” e militanti erano arrestati per questa legge per aver distribuito dei manifestini a luglio.
A Singapore fu approvata ad agosto una legge di protezione dell’amministrazione della giustizia che allarga la condotta su ciò che può costituire reato per disprezzo della corte, una misura che ha gelato la discussione politica.
A dicembre la nuova legge thailandese del Crimine informatico dava poteri ampi al governo per restringere la libertà di espressione, applicare la sorveglianza e la censura e la ritorsione contro gli attivisti online.
Questo segue il rafforzamento dei regolamenti dei media online in Malesia. Le leggi per restringere la libertà di parola online sono state usate normalmente e sono contestate. La legge indonesiana, per esempio, sull’informazione e le transazioni elettroniche, ITE, sono state ritoccate dalla Corte costituzionale a settembre. Dalle altre parti i governi optano per rafforzare le leggi prima che vadano in tribunale.
Insieme alle restrizioni sulla libertà, un’altra tendenza regionale è la crescente intolleranza contro le minoranze.
Il trattamento dei Rohingya è giunta sui titoloni dei giornali insieme alle condizioni tristi nello stato Rakhine, una nascente insorgenza, un potere militare persistente e posizioni difficilmente trattabili. La Birmania non è l’unica a trattare male i musulmani.
In Indonesia i musulmani non sunniti sono sotto minaccia. Quest’anno gli Ahmadi sono stati messi fuori legge dalla provincia di Bangka Belitung, le loro moschee distrutte a Giava Centrale e molti seguaci arrestati a Lombok.
Ad essere presi di mira sono stati anche gli Sciiti, mentre membri dell’organizzazione Gafatar furono bruciati nel Calimantano Occidentale ed oltre 7000 inviati per rieducazione. Anche non musulmani sono stati presi di mira ed il caso di blasfemia contro il governatore di Giacarta Ahok è il caso più importante.
Le condizioni in Malesia e nello Brunei sono anche difficili con la libertà religiosa che viene limitata dalle autorità religiose troppo zelanti. In Malesia è rimasto senza soluzione il brutale trattamento dei profughi Rohingya in un campo scoperto nel 2015, mentre nessuno è stato mai condannato per gli stupri, la vendita degli organi e omicidi di oltre 100 persone.
Sono cresciuti gli scontri armati nelle aree di minoranza in Birmania, negli stati Shan e Kachin. La pace si è incrinata a Mindanao nelle Filippine con la fine della legge istitutiva della Bangsamoro. La regione Moro ha visto un numero record di rapimenti nel meridione fino a 53 casi di rapimenti e tagli di teste multipli. E’ deteriorata la situazione nel meridione thailandese con accuse di torture e l’espansione della violenza al d fuori delle province meridionali.
Questi sviluppi parlano di un fallimento delle misure non violente dei conflitti mentre i governi optano per lo scontro e la forza esacerbando il conflitto.
Piuttosto che applicare il governo della legge, le autorità si fanno la legge da loro. Il caso più ovvio sono i 6000 omicidi extra giudiziali delle Filippine per droga.
E’ scomparsa la discussione su Papua dove gli arresti tornano ad essere la norma. Secondo Jakarta Legal Aid Institute sono stati arrestate 2200 persone per manifestazioni non violente tra aprile e settembre.
A sottolineare il declino nei diritti umani sono i movimenti politici sotterranei più profondi.
Col loro controllo maggioritario del Consiglio di Sicurezza, il loro ruolo prominente nei conflitti etnici e il loro profondo coinvolgimento nell’economia, i militari mantengono il loro potere in Birmania. In Indonesia i militari guadagnano terreno attraverso nomine, mentre in Thailandia dopo il referendum di agosto sulla costituzione i militari non vogliono lasciare la presa. Gli autocrati fanno di tutto per restare al potere in Cambogia e Malesia. Nelle Filippine l’uomo forte Rodrigo Duterte, eletto a maggio, ha portato il discorso politico del paese ad un nuovo minimo. Mentre l’economia si contrae nella maggioranza dei paesi, cresceranno le pressioni sui capi con ricadute sui diritti.
Ad esacerbare il deterioramento dei diritti nella regione ci sono anche le dinamiche cambianti con le superpotenze. La Cina ha messo i partner dell’ASEAN uno contro l’altro nell’uso effettivo della divisione e delle risorse e ha mostrato pochissimo interesse nel proteggere i diritti. Sostiene il potere degli autocrati e degli uomini forti con accordi infrastrutturali molto ricchi. Con la nuova amministrazione Trump i diritti umani non faranno buona figura negli USA, dopo uno sforzo abbozzato dell’amministrazione Obama di affrontare i diritti umani. Questa traiettoria pone pesi maggiori su chi lotta per i diritti nella regione del Sud Est Asiatico.
Nonostante tutte le tendenze negative, comunque, il 2016 ha mostrato che gli abitanti di questa regione vogliono fare dei passi avanti. Attivisti, giornalisti e cittadini ordinari non retrocedono su ciò che giusto. Guidano le proprie battaglie e sempre più giovani si uniscono alla lotta per le libertà ed i principi fondamentali. Non è assolutamente facile.
Comunque l’impegno e la comunità dei difensori dei diritti umani resta forte e sempre più attiva, non solo contro le grandi violazioni ma anche a causa dell’infamia crescente degli abusi dei diritti stessi.
Bridget Welsh, New Mandala