La repressione dei militari birmani contro i musulmani nella parte settentrionale dello stato Rakhine ha probabilmente causato la morte centinaia di persone, il massacro di decine di bambini e lo stupro di gruppo delle donne in una campagna che può essere pulizia etnica. A sostenerlo è l’ONU con l’Ufficio dei Diritti Umani a Ginevra
Soldati hanno sparato su civili dagli elicotteri mentre bande di militari sono andati di porta in porta nello stato Rakhine a terrorizzare i Rohingya ed a incendiare le loro case, dice l’ufficio dei diritti umani dell’ONU. E’ molto probabile che siano stati commessi, secondo l’ONU, in Birmania crimini contro l’umanità.
Per stilare il rapporto sono stati individuati 204 rifugiati Rohingya in Bangladesh, dove quasi 70 mila persone sono fuggite durante la crisi durata quattro mesi. La violenza è scoppiata dopo gli attacchi del 9 ottobre contro i posti di guardia di frontiera che sarebbero stati condotti, secondo la Birmania ed esperti stranieri, da militanti sostenuti dall’estero.
I militari birmani lanciavano il giorno dopo le “operazioni di pulizia dell’area” che secondo l’ONU hanno “probabilmente causato varie centinaia di morti”.
Il portavoce del governo birmano Zaw Htay ha definito le accuse “estremamente gravi” ed ha detto che l’attuale commissione dedicata alla questione Rohingya, sotto la guida del vice presidente U Myint Swe, indagherà sulle accuse dell’ONU.
Un ricercatore dell’ONU che è andata in Bangladesh per le indagini ha definito “senza precedenti” il livello di violenze da parte delle forze birmane, ben superiori alle già brutte violenze contro i Rohingya del passato come quelle del 2012.
“E’ stata denunciata la morte di un neonato di otto mesi mentre la madre veniva stuprata in gruppo da cinque militari della sicurezza” ha detto un membro dell’ufficio dell’ONU che ha anche citato i testimoni delle violenze. Bambini di sei anni sono stati macellati con i coltelli ed una bambina di cinque anni sgozzata mentre provava a difendere la madre dallo stupro.
Le atrocità sono state commesse dalle forze di sicurezza e da civili armati che collaboravano con le forze armate e con la polizia. Le accuse di violenza più raccapriccianti, sempre con stupri e violenze sessuali, sono quelle fatte contro i militari, ha detto un ricercatore dell’ONU.
Alle violenze si aggiungeva spesso, come testimoniato, anche il dileggio della religione perché Allah non giungeva in loro soccorso.
Dal rapporto si legge:
Dichiarazioni di testimoni, vittime incluse. Delle 204 persone intervistate:134 (65%) denunciavano omicidi;115 (56%) denunciavano scomparse, incluso chi era stato portato via dalle forze di sicurezza;
131 (64%) denuciavano di essere stato picchiato; 88 (43%) denunciavano stupri;63 (31%) violenza sessuale
131 (64%) denunciava la distruzione di proprietà mentre81 (40%) denunciavano furti e saccheggio.
Testimonianze di vittime: Molti dei 204 hanno denunciato di essere stati vittime di violazioni
26 (13%) denunciavano di essere stati accoltellati o sparati e OHCHR ha le prove fotografiche
91, 45%, denuncia che una persona della famiglia era scomparsa
96, il 47%, denucia un familiare ucciso;
89 il 44% dice di essere stato picchiato
26 cioè il 13% di essere state stuprate e due erano ragazze.
Su 101 donne 24 il 24% sono state stuprate
33 di cui cinque ragazze dicono di aver subito violenze sessuali.
Tra le 101 donne intervistate il 28% ha sofferto altre forme di violenza sessuale.
“Che odio è da spingere un uomo ad accoltellare un piccolo che piange per il latte materno” ha detto l’inviato speciale dell’ONU per i diritti umani Zeid bin Ra’ad Zeid al-Hussein. “Che genere di operazione di pulizia è questa? Qual’è l’obiettivo della sicurezza nazionale da raggiungere con queste violenze?”
Quasi la metà degli intervistati dai ricercatori dell’ONU ha detto di aver avuto un membro della propria famiglia ucciso durante le operazioni, ed il 43% di loro ha detto di essere stato stuprata.
“Ora è stato peggio di quanto lo sia stato mai” ha detto un testimone del rapporto.
Il portavoce dell’ufficio dell’ONU Ravina Shamdasani ha detto che “Il genere di violenze sistematiche e diffuse commesse e documentate potrebbe essere descritto come pulizia etnica” ma è un’accusa che non è definita legalmente che può essere provata in un tribunale.
La Birmania non riconosce i Rohingya come una delle minoranze etniche del paese e li descrive in modo spregiativo come Bengalesi, immigrati clandestini dal vicino Bangladesh, nonostante che tutti lì vivano da generazioni ormai.
Nelle settimane passate altre denunce sono state lanciate ma il governo birmano non ha mai riconosciuto tali accuse, definite invenzioni.
Zeid bin Ra’ad Zeid al-Hussein è tornato a chiedere alla Suu Kyi nuove indagini: “Il governo di Myanmar debe fermare immediatamente queste gravi violazioni di diritti umani contro la propria gente invece di continuare a negare che siano mai accadute”.
Sembra che la Aung San Suu Kyi abbia assicurato Zeid bin Ra’ad Zeid al-Hussein che ci saranno nuove indagini e che saranno necessarie altre informazioni.
Pulizia etnica dei Rohingya in Birmania secondo l’agenzia dei rifugiati dell’ONU
La Birmania cerca la pulizia etnica della minoranza Rohingya musulmana dal suo territorio, lo ha dichiarato un rappresentante dell’ONU alla BBC inglese.
Il rappresentante dell’ONU John McKissick della agenzia ONU sui rifugiati ha dichiarato che le forze armate uccidono i Rohingya dello Stato Rakhine birmano costringendoli a fuggire nel vicino Bangladesh.
Il governo Birmano, che sta conducendo operazioni di presunta controinsorgenza dopo degli attacchi a ottobre sui alcuni posti di frontiera, nega le atrocità denunciate dai massmedia e dalle agenzie dei diritti umani dichiarandosi molto molto deluso dai commenti del rappresentante dell’ONU.
Il governo birmano in modo angelico sostiene che i Rohingya stanno bruciando le proprie case nello stato Rakhine per attrarre l’attenzione su di sé. Allo stesso tempo impedisce l’accesso alla BBC, come agli altri media internazionali e alle agenzie di aiuto, per verificare la situazione in loco.
Il governo birmano al contempo nega che i Rohingya siano una sua minoranza etnica quanto piuttosto immigrati illegali dal Bangladesh.
In questa situazione umanitaria grave, il governo del Bangladesh in qualche modo permette, o comunque può fare poco, ai profughi Rohingya di rifugiarsi sul proprio territorio per sfuggire alle violenze, mentre in migliaia si accalcano sulla frontiera.
“Nonostante lo sforzo sincero delle nostre guardie di frontiera di prevenire l’afflusso di migliaia di cittadini birmani impauriti tra i quali donne, bambini e vecchi, la gente continua ad attraversare la frontiera verso il Bangladesh.” ha detto il governo del Bangladesh. “Altre migliaia si stanno radunando ai passi di frontiera”.
McKissick capo dell’UNHCR ha detto da Cox Bazar in Bangladesh, al confine con la Birmania, ha detto che bisogna analizzare bene le cause radicali dentro la Birmania. I militari birmani e la polizia di frontiera “hanno intrapreso una punizione collettiva della minoranza Rohingya” dopo l’assassinio di nove della polizia di frontiera ad ottobre, azione addossata ad un gruppo militante Rohingya.
Come denunciato da molti nei giorni scorsi, McKinnick ha ribadito che le forze di sicurezza hanno “ucciso uomini, bambini, hanno stuprato donne, bruciato e saccheggiato case, hanno costretto la gente a passare il fiume verso il Bangladesh.
“Ora è molto difficile per il governo del Bangladesh dire che la frontiera è aperta perché questo incoraggia il governo birmano a continuare le atrocità e a spingerli fuori finché non hanno raggiunto il loro fine ultimo di pulitura etnica della minoranza musulmana in Birmania”.
Secondo McKinnick sarebbero almeno 30 mila le persone fuggite dai loro territori dopo l’arrivo di truppe birmane.
Di fronte allo scempio che le forze armate birmane fanno si hanno reazioni nette nei paesi musulmani della regione come Indonesia e Malesia.
Kyaw Win di Burma Human Rights Network (BHRN) ha invitato il governo indonesiano a non aderire ciecamente a quanto dichiara falsamente il governo birmano, ma “comunicare direttamente per porre la questione e dire di fermare le violenze. Il troppo è troppo”.
La politica di non interferenza interna in vigore tra i paesi dell’ASEAN non deve impedire all’Indonesia a prendere parte per risolvere la questione che è una pura questione umanitaria.
La Malesia ha convocato l’ambasciatore birmano sulla questione dello stato dell’Arakan che sta mandando migliaia di rifugiati in Bangladesh e che mina la presidenza di Aung San Suu Kyi che andando al governo ha promesso la riconciliazione nazionale.
Il governo malese, oltre ad invitare tutti a rigettare azioni che esaspererebbero la situazione sul terreno, ha invitato il governo birmano ad affrontare la pulizia etnica nello stato dell’Arakan.
A Kuala Lumpur centinaia di Rohingya si sono riversati sulle strade per condannare il sanguinosa repressione condannando l’inazione di Aung San Suu Kyi sulla questione Rohingya.
Scrive in “Dove sta Aung San Suu Kyi?” Jonah Fisher della BBC:
Il premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi si trova in una posizione delicata. E’ il capo di fatto della Birmania, ma la sicurezza è sotto il controllo autonomo delle forze armate.
Se Suu Kyi cede alla pressione internazionale e istituisce un’indagine credibile negli abusi presunti nello stato Rakhine, rischia di rompere la propria relazione con le forze armate, mettendo in pericolo la stabilità del suo giovane governo.
Nelle ultime sei settimane Suu Kyi ha tenuto con fermezza la testa nella sabbia evitando giornalisti e conferenze stampa. Quando è stata costretta ha detto che i militari nello stato Rakhine operano secondo il governo della legge. Pochi ci credono.
Mentre ci sono richieste forti dall’estero per fare qualcosa, la gran parte dei birmani ha pochissima simpatia per i Rohingya. “Le operazioni di pulizia” dell’esercito contro gli aggressori violenti dello stato Rakhine sembrano avere una forte base popolare che non pongono sulla Suu Kyi alcuna pressione interna.
Zaw Htay, portavoce della presidenza” ha detto che McKinnick “deve mantenere la sua professionalità e e la sua etica da ufficiale dell’ONU poiché i suoi commenti sono solo presunzioni”
“Deve parlare solo sulla base di prove concrete e forti sul campo” ha detto Zaw Htay.
Mercoledì il ministro degli esteri del Bangladesh ha convocato l’ambasciatore birmano per esprimere la profonda preoccupazione sull’operazione militare nello stato Rakhine settentrionale.
Ha detto che “persone disperate” attraversavano la frontiera cercando sicurezza e rifugio ed ha chiesto alla Birmania di “assicurare l’integrità della sua frontiera”.
Le autorità del Bangladesh hanno detenuto e rimpatriato centinaia di Rohingya che fuggono, cosa condannata da Amnesty International come violazione della legge internazionale.
Il Bangladesh non riconosce i Rohingya come rifugiati e tanti dei fuggitivi sono stati costretti a “nascondersi e a soffrire la severa mancanza di cibo e cure mediche”.
I rifugiati Rohingya giungono in Bangladesh ad ondate sin dagli anni 70 almeno. Ci sono 33 mila rifugiati Rohingya che vivono nei campi di Kutupalong e Nayapara a Cox Bazar.
All’inizio di questa settimana HRW ha rilasciato le immagini satellitari in cui si mostrano che più di 1200 case sono state rase al suolo nei villaggi Rohingya nelle scorse sei settimane.
Un’operazione di sicurezza di grandi dimensioni è stata lanciata lo scorso mese dopo che nove uffiiali di polizia di frontiera furono uccisi in attacchi coordinati sui posti di frontiera a Maungdaw.
Rappresentanti del governo accusano i Rohingya di questi attacchi. Le forze di sicurezza hanno isolato l’accesso all’area di Maungdaw e lanciato operazioni di controinsorgenza.
I militanti Rohingya affermano che oltre 100 persone sono state uccise e centinaia arrestate nella repressione.
Militari sono stati accusati di serie violazioni di diritti umani come tortura, stupri ed esecuzioni che il governo nega del tutto ed afferma che i militanti hanno attaccato gli elicotteri di sostegno alle truppe.