Quello che è in ballo non è solo la possibilità do porre una fine alla guerra antica che, sin dal XIX secolo, si combatte da 120 anni nel paese. Al centro è anche l’opportunità di dare spazio a riforme che potrebbero affrontare le cause fondamentali di quella guerra per l’indipendenza e la rivoluzione sociale. Accusarsi a vicenda per la rottura ai colloqui di pace quindi appare un gioco per bambini.
Ma ancora, i cittadini devono comprendere che le parti in contesa hanno i propri interessi nei colloqui. Sebbene entrambi vogliano che i colloqui abbiano successo, tutti definiscono il successo a proprio modo. Le Forze Armate Filippine, avendo definito successo in un negoziato di pace la fine delle ostilità, ha sempre insistito che NDF debba deporre le armi per prima cosa. Appartiene ciò agli antecedenti storici dell’AFP.
Fondate dal regime coloniale americano al fine di distruggere quello che rimaneva del Katipunan, e sostenute dal sostegno americano sulla base di assunzioni politiche e ideologiche condivise, le AFP non comprendono né le riforme né tanto meno le rivoluzioni, ma sanno solo proteggere l’ordine sociale, politico ed economico che è loro insegnato a credere da oltre un centinaio di anni come essere il migliore di tutti i mondi possibili per se e per i padroni nazionali ed esteri.
Le AFP hanno sempre fatto della resa del NDF una condizione per i colloqui in modo che sia incapace di sostenere la sua domanda di riforme fondamentali con le armi e in modo che sia costretta ad accordarsi su un accordo di pace dettato dal governo. Una resa del NDF renderebbe superflua un accordo sulle riforme sociali, economiche e politiche, non trovandosi più così in condizioni di fare richieste.
Il risultato finale sarebbe una pace temporanea ed instabile a totale svantaggio e povertà continua dei poveri contadini, lavoratori, popolazioni indigene, commercianti medio-piccoli e professionisti che costituiscono la base di massa del NDF, perché in primo luogo non ha affrontato le cause del conflitto. Sembra abbastanza chiaro a chiunque abbia un po’ di senso: se non si affrontano le cause radicali del conflitto, qualunque pace si raggiunga, anche se si basasse su una sconfitta militare totale e resa del NDF sarebbe solo temporanea e la guerra sarebbe ancora una possibilità.
Questo spiega perché NDF pone l’accento sul bisogno di fare le riforme sociali, economiche e politiche che mitighino se non eliminino la povertà e l’ingiustizia che da secoli sono state tutto quello che la maggioranza dei filippini hanno. Fa comprendere che non possono deporre le armi senza rendere irraggiungibili le riforme che vuole.
E’ una posizione logica che chiunque ragioni dovrebbe poter apprezzare. Durante la campagna presidenziale e dopo, parve che il presidente Duterte rientrasse in quella categoria, piuttosto rara in queste isole dell’irrazionalità. Sebbene la sua amministrazione sia stata virtualmente sinonima di guerra contro le droghe illegali ed il suo costo in termini di diritti umani e vite, sembrava che comprendesse troppo bene l’imperativo di mantenere i colloqui di pace con NDF senza quelle condizioni fatali nelle tre precedenti amministrazioni.
Duterte annunciò un cessate il fuoco unilaterale con NDF durante il suo primo messaggio alla nazione, e riconoscendo le capacità della sinistra filippina, nominò personaggi del NDF nel governo ed in altre posizioni. Egli riprese immediatamente i colloqui di pace con NDF persino mentre denunciava l’intervento americano negli affari nazionali e annunciava l’adozione di una politica estera indipendente, suggerendo così un sussulto di imperialismo americano insolito tra i politici di questo paese.
Il raggiungimento di un’autentica indipendenza attraverso l’abrogazione di questi accordi che legano il paese agli interessi imperialisti americani e il bisogno di sviluppare relazioni amichevoli e mutualmente favorevoli con tutti i paesi è infatti parte del programma di 12 punti del NDF. Porre fine alla povertà e corruzione, impegni promessi di Duterte, sono in modo simili parte dello stesso programma, quindi i chiari incontri di menti sullo stesso obiettivo.
Ad agosto dello scorso anno, Duterte prometteva non solo il rilascio dei consulenti di pace del NDF ma anche di tutti i detenuti politici. NDF Confidò in quella promessa che è rimasta tale chiaramente a causa della resistenza delle AFP, e di conseguenza è diventata un punto di forza cruciale nei colloqui.
La dichiarazione non richiesta di cessate il fuoco unilaterale fu immediatamente accolta allo stesso modo dal NDF, e i successivi colloqui di pace portarono a risultati positivi tra i quali l’affermazione del trattao CARHTIHL e del JASIG, firmati durante l’amministrazione Ramos che le successive amministrazioni avevano ignorato.
Quello che deve essere ovvio da tutto questo è che non furono i cessate il fuoco unilaterali a rendere possibile i colloqui, ma l’impegno di entrambe le parti alla possibilità di raggiungere un accordo accettabile che avrebbe portato ad una pace giusta e sostenibile. La fine delle ostilità è infatti parte dell’agenda dei colloqui di pace. Sebbene ci si aspettasse che i colloqui fossero litigiosi, e davvero lo sono stati, la realtà è che entrambe le parti condividono certi interessi tra i quali vi è quello che le Filippine ottengano una reale indipendenza ed autentico sviluppo.
Questo implica l’adozione e l’applicazione di riforme che in questo paese troverebbero l’opposizione di quelle forze nazionali e straniere che sarebbero colpite. Quasi in modo prevedibile i galoppini di queste forze hanno usato il cessate il fuoco come una copertura per sabotare questi colloqui di pace.
Duterte inizialmente aveva apertamente identificato nel AFP l’ostacolo alla sua apertura verso la sinistra dichiarando in alcune occasioni che un golpe militare avrebbe potuto rimuoverlo dalla presidenza se non peggio. Ovviamente per piacere ai militari, dopo che furono eliminati i cessate il fuoco, Duterte ha dchiarato guerra totale definendo come “mocciosi viziati” e “terroristi” le stesse persone che solo qualche mese prima descriveva come militanti di principio e militarmente invincibili poiché hanno il sostegno dei poveri.
E’ davvero un modo ipocrita, per un governo che si attende di avere tutto mentre rinnega la promessa di rilascio dei prigionieri politici e rifiuta di tenere a bada i militari, nonostante tutta la retorica della pace, dire che non vuole la pace. In alternativa è una grave incomprensione della complessità dei colloqui di pace a causa degli interessi in conflitto coinvolti e a causa delle potenze nazionali e straniere residenti nello stato, opposte a cambiamenti autentici che possano garantire una pace duratura.
L’affermazione di Duterte, secondo cui ci vorrà un’altra generazione perché si raggiunga la pace, sembra troppo una profezia di origine militare che si autoavvera, come dire accadrà perché la faremo accadere, per non risvegliare tra gli scettici l’impulso a lasciar andare la retorica della pace di Duterte per quello che è, una retorica, calcolata per portare alla fine predeterminata del fallimento.
Solo la riesumazione dei colloqui e l’aderenza alle proprie promesse del governo possono provare che che la sensazione che emerge sia errata.
Luis V. Teodoro, BWORLDONLINE.com