Le squadre della morte di Davao non sono state un’invenzione ed hanno portato avanti le esecuzioni con l’ordine diretto o l’approvazione di Rodrigo Duterte quando era sindaco a Davao.
A dirlo ancora una volta è un ufficiale di polizia in pensione, Arturo Lascanas, in un’intervista al senato filippino in una “confessione pubblica” causata da una coscienza sporca, macchiata da troppi omicidi. A difenderlo è un gruppo di avvocati del FLAG sotto gli auspici del senatore Trillanes.
Arturo Lascanas ad ottobre 2016, durante le audizioni al senato di un altro reo confesso di omicidi extragiudiziali, Edgar Motabato, presentato dalla senatrice De Lima, aveva negato di fare parte del circolo stretto di collaboratori di Duterte.
Arturo Lascanas ha ammesso di avere avuto un ruolo attivo nell’omicidio di un ufficiale di polizia Jun Bersabal, del massacro di un’intera famiglia dei presunti capi del rapimento di una donna di Davao, della morte di Jun Porras Pala, giornalista radiofonico di destra, che aveva attaccato personalmente Rodrigo Duterte.
Arturo Lascanas ha anche detto che Duterte ordinò personalmente la vendetta con bombe alla moschea musulmana dopo che presunti islamisti avevano posto una bomba alla cattedrale di San Pietro di Davao.
L’ex poliziotto ha anche ammesso di avere delle responsabilità nella morte di due suoi fratelli, Cecilio e Fernando, che aveva spiato per la sua lealtà estrema a Duterte. Fu lo stesso Duterte ad ordinare la morte dell’intera famiglia tra i quali anche un bambino di quattro anni.
Duterte, da sindaco di Davao, avrebbe anche ordinato lo sterminio della famiglia di un finanziatore di rapimenti per estorsioni, Sapataha, che era stato ritenuto il responsabile e di aver organizzato il rapimento di una signora Abaca. Furono uccisi la moglie incinta di sette mesi il figlio di quattro anni, il suocero anziano e due camerieri.
Furono tutti uccisi con una pistola col silenziatore calibro 22: il ragazzino di quattro anni sarebbe potuto essere il futuro portatore di una possibile vendetta, ha detto Arturo Lascanas. In questo caso Duterte viene consultato per telefono da un suo superiore e dà il segnale di sterminarli tutti senza lasciare tracce.
Alcuni giorni dopo ricevono il premio in denaro per questa strage da un loro superiore, maggiore Macasaet.
Poi l’omicidio di Jun Pala. Lascanas dice di essere stato assoldato da Duterte attraverso il suo autista e aiutante fidato, Sonny Bonaventura, affinché uccidesse Jun Pala, al prezzo di 3 milioni di peso. Lascanas accettò l’incarico e si recò alla stazione di polizia di Santa Anna a Davao dove conosceva ed ingaggiò dei sicari.
Dopo un primo tentativo in cui Jun Pala riuscì a salvarsi, Lascanas ingaggiò altri sicari in attesa di un periodo più opportuno che venne quando riuscirono a comprare la guardia del corpo di Jun Pala. L’uomo, Gerry Trucio, rivelò informazioni preziose sul giornalista radiofonico che doveva giocare con i propri vicini. Lo stesso Trucio confermò con due telefonate la presenza di Pala chiamando uno degli assassini: “E’ l’ora dello spettacolo”
Secondo Arturo Lascanas 3 milioni di peso fu il premio che lui e Sonny Buonaventura ebbero per la morte di Jun Pala. Lui distribuì il premio ai sicari effettivi, ma ricevette un altro bonus di un milione dallo stesso Duterte alcuni mesi dopo. Accadde in una casa dove si incontrarono lui e Duterte da soli.
“Questa è l’intera verità nell’omicidio di Pala. Questo è già considerato risolto. Fui io tra chi diede l’ordine di uccidere Jun Pala” ha detto Artur Lascanas.
Sulla morte dei due suoi fratelli Artur Lascanas aggiunge:
“A causa della mia cieca lealtà ed obbedienza al sindaco Rody e alla sua campagna contro la droga e la criminalità, feci una telefonata letale che alla fine portò alla morte dei miei due fratelli” dice il poliziotto che aggiunge che nessuno sapeva in realtà della sua colpa.
Con questa sua testimonianza Artur Lascanas capovolge la deposizione che fece ad ottobre 2016 in cui smentì Egar Motabato, davanti ad una audizione al Senato. Il tutto poi costò la presidenza della commissione sugli omicidi extragiudiziali alla senatrice De Lima.
Tra le cose ammesse dal poliziotto è la sua partecipazione alle bombe che colpirono la moschea di Davao nel 1993, fatta per vendicare le bombe alla Cattedrale di San Pedro a Davao.
Le due bombe accaddero ad otto ore di distanza, la prima a San Pietro e l seconda alla moschea. Nella bomba a San Pietro a Davao morirono 6 persone e ne rimasero ferite 130, mentre nella seconda bomba adotto ore di distanza non ci furono feriti o morti.
Nelle audizioni al senato Motabato disse che l’ordine di distruggere la moschea venne direttamente da Duterte.
Dopo decenni di mancanza di testimoni e prove, dopo che vari responsabili delle agenzie governative avevano dichiarato che le indagini sulle squadre della morte di Davao erano chiuse e terminate, che non c’erano prove a sostegno degli omicidi attribuibili a queste squadre e che si trattava solo di dicerie, finalmente compaiono due testimoni, Edgar Motabato e Arturo Lascanas, che si autoaccusano di vari crimini delle 206 morti accadute tra il 2005 e il 2009 e le cui testimonianze concordano.
Scrive Manilatimes.net:
“Il testimone sfortunato (Motabato) fu strigliato, deriso e denunciato come un falso da vari senatori a causa delle sue accuse. E la camera lo denunciò persino per spergiuro. Alcuni senatori se li dovranno mangiare quel trattamento agghiacciante e quell’accusa mal considerata se le nuove rivelazioni di Lascanas dovessero provarsi fondate.
Lascanas non solo corrobora alcune degli aspetti importanti della testimonianza di Motabato, afferma chiaramente che l’allora sindaco di Davao Duterte dirigeva le operazioni delle Squadre della Morte e pagò persino un omicidio fino a 100 mila peso. Queste accuse devono essere esaminate attentamente. … Le implicazioni di una tale indagine sono così grandi che ci sarà la tentazione da un lato ad occultare la prova. E dall’altro il desiderio di sfruttarlo per fini pubblicitari e politici. Non si deve permettere che accada nulla del genere. Ma ci deve essere un’indagine esaustiva e senza pari.”
Mentre i senatori De Lima, Hontiveros, Aquino e Trillanes hanno richiesto la riapertura delle indagini del senato sugli omicidi extragiudiziali, il governo ha da una parte denunciato la testimonianza un diversivo rispetto all’incriminazione della De Lima, dall’altro ha accusato, per bocca del portavoce residenziale Andanar, i giornalisti che erano presente alla conferenza stampa di aver ricevuto 1000 dollari per essere lì presenti.