Il nuovo consigliere nazionale birmano alla sicurezza, Thaung Tan, annunciò il 15 febbraio che erano terminate le grandi operazioni militari nello stato Rakhine in risposta all’attacco della insorgenza alla polizia di frontiera, e che le responsabilità della sicurezza tornavano alla polizia.
In seguito alla barbara repressione delle forze di sicurezza sulla comunità Rohingya negli ultimi tre mesi del 2016, qualunque notizia di ritorno alla normalità nella regione inquieta era ben accetta dalla comunità internazionale.
I governi occidentali erano combattuti, da un lato, dalla rabbia generale per le atrocità denunciate sulla popolazione Rohingya, mentre dall’altro non volevano criticare o isolare il governo eletto di Aung San Suu Kyi, che resta per lo più incapace, o non vuole, richiamare alle responsabilità i militari.
Come sanno bene gli osservatori a Yangoon, i militari birmani, Tatmadaw, continueranno a determinare il destino nello stato Rakhine. Secondo la costituzione del 2008, i militari mantengono il controllo autonomo sulla difesa, il controllo delle frontiere ed il ministro degli interni, per non citare il 25% dei seggi in parlamento.
Se si svilupperà nei prossimi mesi, come sembra possibile, un’insorgenza Rohingya di bassa intensità, senza dubbio le unità dei militari saranno pronte ad intervenire in qualunque momento. Non è chiaro quanti siano i soldati che operano nel grande stato occidentale, ma gli analisti indipendenti stimano che ci siano oltre 20 mila soldati.
Di norma, il Comando occidentale di base ad An, nel centro dello stato, controlla tre comandi operativi militari della forza di 10 battaglioni ognuno, di stanza a Taungup nel lontano meridione, Kyauktaw al centro e Buthingdaw nel nord inquieto.
L’esercito e la polizia, che già sono in conflitto con l’insorgenza buddista nella parte centrale dello stato Rakhine, sono state rafforzate in modo significativo lo scorso ottobre anche con forze della riserva strategica delle divisioni di Fanteria leggera, LID. Si sa che battaglioni del LID hanno rafforzato le unità locali nell’area.
Insolitamente la campagna recente di controinsorgenza nelle città a maggioranza Rohingya di Maungdaw e Buthidaung ha spesso coinvolto operazioni congiunte che hanno messo insieme militari, polizia e polizia di frontiera con marines della marina sotto il comando e controllo dell’esercito, anche in seguito ad una mancanza di intelligence locale nella regione dove l’esercito non conduce operazioni di controinsorgenza da decenni.
Il risultato comunque è stata una delle più gravi sconfitte delle pubbliche relazioni dei militari sin dal massacro dei manifestanti democratici del 1988. Mentre sullo sfondo c’erano quasi 70 mila Rohingya che fuggivano in Bangladesh, una forza, che per decenni ha visto le sanzioni occidentali a causa delle violazioni dei diritti umani, si ritrova al centro dell’opinione pubblica internazionale per quello che l’ONU ha denunciato come possibili crimini contro l’umanità.
Le prospettive di poter contenere un’insorgenza al suo stato embrionale da parte di questo tipo di militari non sono buone. A livello fondamentale, sono enormi le sfide dottrinali di una Tatmadaw a stragrande maggioranza etnica birmana che si adatti ad una missione di controinsorgenza politicamente sensibile e necessariamente attenta in una regione a maggioranza musulmana abitata da l’etnia Rohingya fortemente denigrata.
“Da un punto di vista teorico, sono nel medio evo” ha notato un militare stranieri che ha aggiunto: “Non hanno alcuna idea di controinsorgenza”.
Le operazioni di controinsorgenza che hanno plasmato la Tatmadaw nei decenni emersero da una serie di guerre di bassa intensità coloniali nelle terre di confine settentrionali ed orientali. Questi conflitti non volevano conquistare la popolazione locale quanto imporre il controllo dello stato centrale da parte di un esercito e da una maggioranza etnica birmana sulle popolazioni di minoranza.
Le campagne militari in questa regione hanno in genere coinvolto operazioni semiconvenzionali contro ribelli ben armati in uniforme organizzati in plotoni, compagnie e battaglioni. In quei conflitti, come quelli attuali negli stati Kachin e e Shan, la Tatmadaw ha impiegato tutto il sistema militare dalla fanteria all’artiglieria,ai semoventi alla forza aerea.
Dove invece era richiesto il controllo delle popolazioni civili i militari si sono affidati alla “dottrina dei quattro tagli”, sviluppata durante la controinsorgenza negli anni 50 e 60 contro i ribelli comunisti nelle regioni birmane. Questa dottrina mirava a tagliare alimenti, finanziamenti, intelligence e reclute all’insorgenza dai possibili villaggi a loro vicini.
Nelle dure zone orientali e settentrionali dominate dalle minoranze, dove il centro del conflitto è cambiato sin dagli anni 70, le procedure operative standard si affidano alle brutali “campagne di ripulitura dell’area” che coinvolgono incendi di villaggi, continui rapporti di donne violentante e uomini costretti a fare da portatori, e il movimento di decine di migliaia di civili attraverso le frontiere internazionali.
La risposta agli attacchi di ottobre contro la guardia di frontiera nello stato Rakhine ricadono prevedibilmente su questi metodi provati nel tempo, con la differenza fondamentale che nel Rakhine settentrionale il nemico sono i Rohingya, musulmani che molti birmani considerano immigrati clandestini. Questo ha incoraggiato chiaramente un livello di barbarie indiscriminato che che è stato insolito anche per gli standard della Tatmadaw.
Ad aggiungersi alla debolezza dottrinale in un conflitto con note razziali e religiose vi è una srie crisi che circonda l’intelligence operativa. Questo ancora non è tipico dello stato Rakhine: le crisi di sicurezza nel Kokang all’inizio 2015 come pure nello stato Shan a novembre hanno messo in luce fallimenti disastrosi dell’intelligence dei militari.
Queste incompetenze dell’intelligence hanno permesso alle grandi forze della guerriglia di prendere del tutto di sorpresa i militari infliggendo loro grandi sconfitte prima che i rinforzi del Tatmadaw potessero riprendere il terreno perso.
Se queste cose sono state vere rispetto a unità di insorgenza bene organizzate, i cui ordini di battaglia e aree di operazione dovrebbero essere ben monitorate dai comandanti locali dei militari, pongono inevitabilmente un più grande problema per le forze di sicurezza che si trovano di fronte ad una militanza essenzialmente clandestina nel Rakhine settentrionale.
In questo nuovo ambiente di sicurezza, le forze governative del Tatmadaw dovranno combattere piccole cellule di insorti, di stanza nei villaggi ed operanti in abiti civili, con una struttura organizzativa e reti di sostegno logistico che finora sono per lo più oscure.
Anthony Davis, esperto di sicurezza, Asiatimes.com