Mentre l’aeroplano discende nella città filippina di Zamboanga, un uomo seduto al mio fianco mi rivela che suo cugino è membro del gruppo Abu Sayaff, il gruppo terroristico più temuto nelle Filippine.
“E’ complicato” mi dice. “Tanta gente qui li sostiene”.
La guerra alla droga del presidente filippino Duterte ha ricevuto l’attenzione internazionale, a ben diritto con le condanne, ma qui nella regione più meridionale del paese, Duterte è in guerra contro Abu Sayaff.
Il gruppo che si trova nella lista nera americana e responsabili di attacchi con bombe e rapimenti, ha la base in due isole, Sulu e Basilan, nei mari più meridionali dell’arcipelago.
Sono stati inviati nelle due isole, che si trovano a meridione rispetto all’isola di Mindanao, oltre diecimila soldati da quando Duterte è giunto al potere. A settembre l’uomo forte sfrontato ha promesso di “distruggere” Abu Sayaff promettendo loro di “mangiarseli vivi”. Eppure parole dure a parte, si ha la preoccupazione che le operazioni militari contro Abu Sayaff abbiano un impatto limitato e forse fanno più danno alla popolazione civile che ad Abu Sayaff.
Sheikh Gustaham Loderson, figura carismatica religiosa di Sulu, dice che è la gente di Sulu a patire dalle operazioni militari. Parlando dal suo ufficio a Zamboanga, ad un tiro di schioppo dal fronte del mare che guarda sulle calme acque fino a Basilan, dice: “La gente soffre perché, nel periodo di raccolta quando c’è frutta e cocco, vuole raccogliere ma i militari fanno le operazioni. Non possono ritornare indietro alle loro terre”.
Gustaham, che lavora come consulente per una ONG, dice che le tattiche delle forze armate filippine, con cui si ordina ai civili di stare fuori dall’area dove si pensa che operi Abu Sayaff per poi bombardarle con l’artiglieria, non è efficace.
“Abu Sayaff non ha un campo permanente” dice “Vanno di posto in posto. Non è facile che i militari li prendano”.
Mark Bidder, capo dell’Ufficio dell’ONU per il coordinamento degli affari umanitari nelle Filippine, è d’accordo nel dire che a soffrire sono per lo più i civili. “Improvvisamente si ritrovano nel mezzo di un’operazione di sicurezza, col pericolo di ritrovarsi nel fuoco incrociato, il trauma di dover lasciare le case, la preoccupazione per i loro amati che non riescono a contattare.”
Fino a settembre 2016 circa 32 mila persone sono state sfollate a Sulu e Basilan dagli scontri tra militari e gruppo di Abu Sayaff. Il governo Filippino e la croce rossa Internazionale si coordinano per dare assistenza umanitaria alle IDP, persone dislocate internamente.
“L’idea principale che ha portato a mettere diecimila soldati, era di isolare Abu Sayaff perché non possano rapire più nessuno.” dice Gustaham. “Ci sono diecimila soldati ma si hanno ancora rapimenti”.
I rapimenti rappresentano di certo un grande affare per Abu Sayaff che significa “Colui che porta la spada”. Un rapporto confidenziale del governo diceva che il gruppo ha ricevuto oltre 7 milioni di dollari in riscatti nei primi sette mesi dello scorso anno.
Il rapporto dice che Abu Sayaff ha cambiato recentemente le sue tattiche di rapimenti. Con l’influsso di soldati a Sulu e Basilan che restringono i movimenti del gruppo, gli estremisti tendono a favorire la tattica di prendere di mira le navi cargo che si muovono lentamente.
A novembre il gruppo lanciò un attacco all’alba contro una nave cargo vietnamita. Dieci uomini armati salirono sulla nave con barche veloci e sequestrarono sei ostaggi. A dicembre chiesero 2 milioni di dollari per rilasciare cinque marinai malesi che manteneva a Sulu da cinque mesi.
Da quando Duterte è salito al governo a luglio, ci sono stati almeno 9 rapporti di rapimenti fatti dal gruppo di Abu Sayaff con 25 persone rapite. Sabina Wetch, tedesca, fu uccisa dai militanti in una incursione a novembre ed il suo partner Jurgen Kantner fu preso ostaggio.
Secondo Gustaham, sebbene la gente di Sulu possa non amare le tattiche di Abu Sayaff, non sono neanche d’accordo con i militari filippini.
“Questa attività di rapimenti e decollazioni, la gente non li sostiene, ma restano silenziosi a causa dei legami familiari” dice Gustaham.
Abu Sayaff è un gruppo fuoriuscito dal MNLF nel 1991 sotto la guida di Abdurajak Abubakar Janjalani perché non era in accordo con la politica di perseguire una maggiore autonomia, invece che perseguire uno stato islamico indipendente. Nel 2016 Abu Sayaff promise fedeltà all’ISIS.
Gustaham sostiene che, sebbene MNLF e Abu Sayaff siano entità separate, e MNLF ha sostenuto il governo filippino nella guerra contro Abu Sayaff, ci sono ancora forti legami familiari tra i membri del MNLF, civili e Abu Sayaff a Sulu.
Ma ci sono anche timori che la popolazione di Sulu e Basilan, più che restare calma, tende ad unirsi alle file di Abu Sayaff.
Dice Gustaham: “L’economia civile è anche colpita. Lavorano nell’agricoltura ma non possono farlo per le operazioni militari. E’ un contributo alla violenza perché, se la gente non ha lavoro ed Abu Sayaff a causa dei riscatti ha i soldi, Abu Sayaff potrà facilmente trovare nuove reclute.”
Le operazioni di ricollocazione della popolazione civile esacerbano una situazione già precaria. La regione Autonoma di Mindanao Musulmana, che include Sulu e Basilan, è la più povera nelle Filippine e lì si trova che il 56% della popolazione vive in povertà secondo il censimento del dicembre 2015 e l’ONU. Sulu in particolare è la seconda provincia più povera in tutte le Filippine.
Secondo Bidder, c’è la paura che tale povertà alimenti il sostegno per Abu Sayaff specialmente tra la gioventù di Sulu e Basilan.
“Ci sono comunità frustrate forse dalla mancanza di progresso negli anni specialmente nel trattare le questioni annose: la disoccupazione, la mancanza di lavoro e di opportunità. E c’è il senso che con la gioventù, senza una concreta speranza di un futuro migliore, ci potrebbe essere la tendenza a spostarsi verso modi più estremi di pensare ed agire” dice Bidder.
Molta gente del posto percepisce che questa area e la sua gente sono stati storicamente oppressi. Sotto l’ex dittatore Marcos si commettevano atrocità contro i musulmani delle Filippine Meridionali come il famoso massacro di Jabidah con l’uccisione di giovani reclute musulmane e la distruzione di Jolo, capitale di Sulu, da parte dell’esercito filippino nel 1973.
Fu sotto la dittatura di Marcos che emerse il MNLF che lottò contro il governo filippino sin dagli anni 70 per una maggiore autonomia, ma che ora è ingaggiato in negoziati di pace.
Kalma Isnain, che dirige una ONG locale, dice che la stria di violenza di Mindanao, Sulu e Basilan in particolare, implica che il reclutamento di Abu Sayaff si è normalizzato.
“La tensione è sempre lì, ed i bambini sono quelli più colpiti” dice la direttrice. “Per la gente del poto è cosa normale perché non finisce mai. Questi bambini non hanno nulla per le loro vite e quindi si arruoleranno”.
Gustaham è d’accordo, ma lega la situazione ad un sentimento di sfiducia verso i militari in questa regione musulmana in un paese a maggioranza cattolica.
“Quando porti i cristiani in territori musulmani, allora qualcuno dirà che è una crociata”.
Il governo filippino sostiene comunque di fare dei progressi contro Abu Sayaff. Il generale Ricardo Visayas, dimessosi dall’incarico di capo delle forze armate a dicembre, ha presentato un rapporto a novembre che affermava che nei primi cento giorni di Duterte erano stati uccisi, arresi o arrestati 94 militanti di Abu Sayaff che avrebbe 350 militanti attivi.
“I capi principali Nelson Muktadil, Braun Muktadil e Mohammad Said erano tra i terroristi uccisi in intensi combattimenti i cui corpi furono ritrovati nelle operazioni di ricerca e recupero” diceva il rapporto.
Anche i militari hanno avuto le loro perdite. Non esistono numeri sui soldati uccisi nella campagna contro Abu Sayaff sebbene i media danno una cifra minima attorno ai 29. Rispetto alla sua minaccia da cannibale di settembre, Duterte ha ora un tono più conciliatorio. A novembre disse che voleva parlare al gruppo ed a dicembre diede loro persino il “buon natale”.
Nello stesso mese, il ministero dell’agricoltura diceva che il governo ed alcune delle grandi compagnie del paese volevano investire pesantemente a Sulu per alleviare la povertà e contrastare l’estremismo.
Nel2017 la gente di Sulu e Basilan spererà che i negoziati e gli investimenti avranno successo dove proiettili e bombe hanno finora fallito.
David Doyle, SEAGlobe