“Ora non ce ne sono” dice guardando verso il mare di Sulu, il mare delle Filippine dove pesca negli ultimi quattro anni. Le sue due barche, le tradizionali barche a bilanciere filippine bancas, dondolano nelle acque basse vicine, con la nuova pittura bianca ad asciugare al sole.
Tubo sta seduto di fronte a casa sua su una panca in legno, appoggiata sui pali sulla baia.
Uno dei figli è abbracciato alla sua gamba. Sul retro una fila di magliette consunte fluttuano sulla linea del bucato.
Dando uno sguardo alla moglie Leah dice: “E’ un caso che ora riusciamo a dare da mangiare alle nostre famiglie.”
Tubo vive a Puerto Princesa sull’isola di Palawan, un’isola a forma di dito lungo vicino al Mare di Sulu, mentre ad est si estende l’arcipelago filippino e ad ovest il mare cinese meridionale.
E’ uno delle centinaia di migliaia di pescatori che tradizionalmente si guadagnano da vivere nel Mare Cinese Meridionale, ed uno dei tanti che sempre più pescano in aree di mare meno ricche biologicamente. La ragione è che la Cina circa otto anni fa iniziò a prendere una posizione più affermativa aumentando le sue intimidazioni dei pescatori fino a costruire le installazioni militari su varie isole contese.
Sa quando una guardia costiera cinese attaccò la barca di un amico con i cannoni ad acqua Tubo smise di pescare nel mare cinese meridionale.
“Ora vedete un aeroplano, poi c’è una imbarcazione militare” dice “Se continuiamo ad andarci forse non riusciremo a tornare dalle nostre famiglie”.
“Come la vedono loro, è mare loro ed i Filippini non possono andare” dice Henry Tesorio, un consigliere comunale di un villaggio di pescatori di Puerto Princesa.
La stessa cosa potrebbero ripeterla i pescatori filippini. “200 pescatori vietnamiti dell’isola di Ly Son, 15 miglia dalla costa, denunciò nel 2015 di essere stati attaccati dalle navi cinesi secondo un rappresentante vietnamita.
La decisione di Tubo è il riflesso delle tensioni nascenti nella regione che hanno acceso una competizione forte crescente per le risorse naturali. Con una superficie di quasi un milione e mezzo di miglia quadrate il Mare cinese meridionale ha un significato economico, militare ed ambientale particolare: nelle sue acque transitano oltre 5 mila miliardi di merci. Ha una biodiversità maggiore che in altri mari sul pianeta, ed il suo pesce da da mangiare e lavorare a milioni di persone nelle dieci nazioni che lo circondano.
Di questi sette hanno rivendicazione in conflitto. Se dovesse scoppiare un conflitto potrebbe coinvolgere le due superpotenze, Cina e USA, un alleato storico delle Filippine. Ecco perché questa disputa ha attirato l’attenzione del mondo intero.
Avanza un’altra minaccia meno pubblicizzata: la pesca eccessiva. L’industria della pesca nel Mare Cinese Meridionale è tra le più importanti al mondo ed impiega 3quasi quattro milioni di persone con miliardi di profitto all’anno. Ma dopo anni di pesca indiscriminata le riserve si esauriscono minacciando la sicurezza alimentare e la crescita economica delle nazioni in via di sviluppo che si basano su di esso.
La Cina avanza un diritto su quasi tutto l’intero mare. Ha segnato una vasta area ad U che sarebbe storicamente della Cina ma che la legge internazionale include le acque internazionali di altre nazioni. Ogni altra nazione nella disputa, Filippine comprese, basa la sua rivendicazione sulla legge della UNCLOS, un patto internazionale che definisce zone marittime diventato efficace nel 1944.
Opponendosi alle affermazioni espansionistiche di Pechino, nel 2013 le Filippine portarono un’accusa contro la Cina davanti al tribunale della Cote Permanente dell’Arbitrato, forum per dirimere le dispute internazionali, dove però la Cina rifiutò di partecipare. Il 12 luglio del 2016 il tribunale decise in favore delle Filippine su quasi tutte le sue rivendicazioni, dichiarando che la Cina aveva negato ogni possibilità di diritti storici ratificando la convenzione nel 1996. La Cina decise di ignorare la decisione del tribunale.
La disputa sul mare cinese meridionale intensifica la competizione tra i pescatori e la confusione che ne segue infiamma la disputa. Oggi molti mari hanno un pescato di appena un decimo rispetto a quello che avevano mezzo secolo fa. E pesci di alto valore come il tonno si fanno più scarsi.
“Quello a cui guardiamo è potenzialmente uno dei disastri peggiori dell’industria della pesca di sempre” dice John McManus, ecologo del mare che studia le barriere della regione. “Parliamo di centinaia di specie che spariranno e forse anche in fretta, l’una dopo l’altra”.
Pescatori in prima linea
Quando si esaurirono le acque costiere, i pescatori furono costretti ad avventurarsi al di là dei limiti nazionali fino alle aree contese per sopravvivere. Nel frattempo la Cina cominciò ad affermare le proprie richieste sostenendo in modo aggressivo i propri pescatori. Ha rafforzato la guardia costiera, militarizzato la flotta della pesca, promosso sussidi per combustibile e barche. C’è persino un sussidio per i pescatori cinesi a lavorare nelle acque attorno alle isole Spratly, oltr 500 miglia del punto più meridionale della Cina, l’isola di Hainan.
“La sola ragione per cui pescatori più piccoli vanno nelle Spratly è che sono pagati per farlo” dice Gregory Poling di AMTI in Washington. Questa ulteriore pressione ha ulteriormente esaurito il pescato.
I Cinesi costruiscono anche isole artificiali sulle barriere alle Spratly per sostenere le installazioni militari. “Il possesso è quasi tutta la legge” dice Zachary Abuza, esperto di sicurezza del National War College di Washington. “La Cina prova a rafforzare la sua sovranità attraverso la costruzione di queste isole e negando agli altri accesso alle risorse naturali.”
Eugenio Bito-onon è un exsindaco di Kalayan che include le isole nelle Spratly. Da avvocato ardente delle rivendicazioni filippine, ha visto con i propri occhi come la Cina usa i suoi pescatori per rafforare le proprie rivendicazioni nella regione. Nell’ufficio del comune, ha appeso al muro una mappa gigantesca del mare, segnando di pugno con puntini colorati, le rivendicazioni di ogni nazione.
Si connette col suo laptop a Google Earth e trova Thitu Island, nelle Spratly, che localmente è conosciuta come Pagasa, dove 200 filippini con qualche militare vivono temporaneamente per affermare la presenza del paese. Tutto deve essere trasportato con una barca o con un aereo e le sole fonti di elettricità sono due generatori forniti dal governo. Bito-onon indica quanto vicino la cinese Subi Reef è a Thitu, da poterla vedere all’orizzonte in una sera limpida.
Più vicine ancora sono le barche cinesi che dice hanno lasciato le barriere vuote di ogn pesce. “I cinesi sono sempr stati presenti nei tre anni scorsi” dice Bito-onon che sul suo laptop vede ora l’immagine satellitare di Thitu. “Le barche cinesi vengono e vanno, sostituendosi” aggiunge.
Gilbert Elefane, capitano filippino di una barca per il tonno a Quezon, sull’isola di Palawan, dice che ora incontra fino a cento barche, molti cinesi, in un singolo viaggio di due settimane. Sol oalcuni anni fa non ne vedeva più di trenta.
Pechino ha dato ai propri pescatori addestramento militare e tecnologie sofisticate di GPS e telecomunicazione, per poter chiamare la guardia costiera se hanno uno scontro con marine straniere, o per allertarla della presenza di pescatori di altre nazioni.
Di fronte alla costruzione delle isole artificiali di Pechino, il Vietnam ha fatto dei reclami di terra limitati nel suo tentativo di migliorar la propria capacità nelle Spratly. Gli sforzi sono stati comunque meno distruttivi di quelli cinesi.
Mare senza legge
Finché continua il conflitto nel mare cinese meridionale è quasi impossibile regolare la pesca.
Quando un paese prova a regolare la propria zona di pesca, crescono le tensioni. A marzo, la marina indonesiana arrestò otto cinesi, che erano a meno di tre chilometri dalle isole Natuana, con l’accusa di pesca illegale. Queste isole non sono parte della disputa ma solo le acque a nord, perché ricche di gas, sono state l’occasione di scontro. Per la legge internazionale sono indonesiane, ma si sovrappongono parzialmente con le rivendicazioni cinesi della mappa ad U. La Cina perciò dice di aver diritto a pescare qui.
Quando la nave indonesiana cominciò a tirare nel porto vicino la barca cinese, apparve una guardia costiera cinese che iniziò a speronare la nave cinese per liberarla. La nave indonesiana fu costretta a lasciar andare la barca ed a ritirarsi.
“Non è chiaro quale legge si applica quando si hanno sette differenti leggi della pesca” dice Poling “Gli stati hanno interessi forti nel violare all’uopo la legge della pesca degli altri”.
La ragione è che accettando la legge dell’altro paese significa accettare la giurisdizione di quel paese sulla regione, cosa che nessun paese vuol fare.
Nel 2012 una nave militare filippina provò ad arrestare dei pescatori filippini alle Scarborough Shoal, 138 miglia dalla costa filippina, per sospetta pesca illegale e pesca di frodo di coralli, di vongol giganti e squali. Una guardia costiera cinese intervenne costringendo ad uno stallo. Dieci settimane dopo entrambe le parti accettarono di ritirarsi ma dopo che la nave filippina se ne andò la nave cinese rimase prendendo il controllo di fatto della barriera.
Quando i pescatori filippini hanno visto ridursi il pescato, si sono sempre più rivolti a metodi pericolosi ed illegali di pesca. La pesca con esplosivo, che i filippini chiamano “bong bong” implica sistemare bombe fatte in casa in mare ed uccidere tanto pesce. La pesca al cianuro, che implica di spruzzare del veleno sui pesci appena pescati per stordirli, è usata per rifornire ristoranti di fascia alta con pesce vivo di Hong Kong. Queste pratiche uccidono il corallo e gli altri pesci, un danno collaterale che spinge sempre di più il mare sull’orlo della crisi da troppa pesca.
Più pericolosi per le barriere ed i coralli, sono la costruzione delle isole cinesi e la pesca di frodo delle vongole giganti, che rappresentano gran parte della distruzione della barriera corallina documentata nel mare cinese meridionale, un’area di 62 miglia quadrate. La costruzione delle isole richiede la triturazione dei cristalli come materiale di fondazione, ricoprire la barriera che diviene così la base delle isole e crea un manto di sedimenti che soffocano i coralli circostanti. Altri gravi danni è la dragatura per approfondire i porti. La pesca di frodo delle vongole giganti comporta lo scavare l’intera area per ottenere le conchiglie.
Quando si distrugge una barriera, si disfa l’ecosistema. Il pesce di scogliera perde il proprio habitat, ed il pesce pelagico come il tonno una fonte alimentare importante. Inoltre le barriere in quel mare sono connesse. Le larve dei pesci da una barriera scendono lungo la corrente per ripopolare l’altra barriera. Se scompare una barriera, scompaiono la fonte delle larve aumentando la possibilità che la perdita delle specie di pesce sarà permanente.
“E’ abbastanza possibile che stiamo assistendo ad un grave declino in quasi la metà delle barriere” dice McManus. “E’ quello che ci attendiamo che accada se non è già accaduto. Una distruzione totale”.
McManus dice che molte delle barriere danneggiate potranno riprendersi in dieci o vent’anni, se si fermeranno la costruzione delle isole e la pesca di frodo delle vongole giganti. Sostiene l’idea di un parco della pace, un’area marina protetta dove tutti i paesi congelino le proprie rivendicazioni e fermino le loro attività che rafforzino queste rivendicazioni.
Gli esperti sostengono che una gestione cooperativa regionale potrebbe fare tantissimo per rendere sostenibile l’industria della pesca in questo mare. Richiederebbe un fortissimo taglio alle imbarcazioni da pesca e restrizione ai metodi di pesca, come l’uso di grandi pescherecci con lampade forti che attraggono di notte il tonno. Questo a sua volta significa aiutare i pescatori a trovare un altro modo per sopravvivere.
Con un piano di gestione sostenibile tonno e sgombro potrebbero riprendersi tantissimo per il 2045, dicono Rashid Sumaila e William Cheung dell’Università della British Columbia in un rapporto del 2015. Il pesce di barriera si riprenderebbe fino al 15% e il pescato e il valore del pesce di barriera crescerebbe anche. Ritornerebbe anche il pesce costoso come lo squalo.
Ma Poling si domanda se un tale piano potrebbe mai essere messo a punto in tempo per impedire il collasso dell’industria della pesca.
“Si richiede di mettere da parte le dispute. Possibile ma non improbabile. Perché una gestione congiunta abbia successo, si deve essere d’accordo prima sul definire l’area di cui si parla.”
Se la Cina si appella alla sua rivendicazione giurisdizionale allargata, mentre gli altri paesi basano le loro rivendicazioni sulla legge UNCLOS, non sarà possibile un accordo.
Per la situazione attuale la risorsa principale del Mare Cinese Meridionale, il pesce, scompare e i paesi stanno passivamente a guardare o ad incoraggiare attivamente i propri pescatori a prenderne di più.
Rachael Bale, NG