L’analisi della politica estera filippina, negli ultimi mesi in particolare, è stata ancorata per lo più alla personalità ingombrante di Duterte. Dalla sua salita alla presidenza nove mesi fa, il presidente filippino ha sempre deluso la saggezza convenzionale scuotendo, come mai prima, il sistema politico filippino.
Duterte, nel promettere una politica estera “indipendente” che “non sarà dipendente dagli USA”, ha gestito un degrado percettibile della cooperazione militare bilaterale con il solo suo alleato. In risposta alla critica americana della sua storia di diritti umani, Duterte non si è fatto pregare a riempire di bestemmie i capi di Washington tra i quali Obama.
Nel frattempo ha restaurato le relazioni bilaterali con la Cina che ha offerto grandi investimenti e aiuto allo sviluppo in cambio di una gestione pacifica delle dispute nel Mare Cinese Meridionale. Si è prestata meno attenzione al ruolo conseguente del potere della sicurezza filippina, che nutre profondi dubbi verso la Cina e cerca di mantenere una cooperazione militare robusta con gli USA.
La politica estera filippina, che non è il dominio esclusivo di Duterte, è un campo di contesa tra le varie fazioni con convincimenti geopolitici in conflitto. La presidenza filippina attuale dell’ASEAN ha innalzato ancor di più la posta, da quando Manila ha un’importanza significativa sull’agenda regionale, particolarmente il Mare Cinese Meridionale.
Quello che accade alle Filippine avrà comunque un impatto significativo sul panorama più vasto della regione.
Con una forte approvazione popolare e con la maggioranza straripante nel parlamento, Duterte ha goduto una significativa mano libera nel forgiare la politica estera, in modo inconcepibile con i suoi predecessori. Da socialista autoproclamato, conosciuto per i suoi slogan anticoloniali e la sua storia antiamericana, il populismo di Duterte rappresenta il rigetto delle istituzioni democratiche liberali in patria e delle politiche filoamericane della elite al potere.
Quindi un elemento fondamentale della improbabile ascesa al potere di Duterte era il ricalibrare se non rivoluzionare la politica estera filippina. In forte contrasto al suo predecessore Aquino, che paragonò la Cina alla Germania Nazista, Duterte ha spesso descritto Pechino con una luce molto positiva.
Il presidente filippino ha descritto la Cina come un partner vitale per lo sviluppo economico e un alleato militare potenziale, mentre provava a minimizzare la questione del Mare Cinese Meridionale. Più di recente, Duterte ha ringraziato Pechino per “amare le Filippine ed aiutare il paese a sopravvivere ai rigori di questa vita”
Concedendo qualcosa alla Cina Duterte ha ritirato il paese da alcuni esercitazioni con gli USA. Ha cancellato i piani di pattugliamenti in mare congiunti mentre ha vietato alla Marina Americana di usare le basi filippine per condurre operazioni di Libertà di Navigazione nelle acque contese.
Ma il potere della sicurezza, fatto di generali, rappresentanti della difesa, statisti e diplomatici più ortodossi, ha posto resistenza ad ogni cambiamento nelle fondamenta della politica estera filippina, mentre ha visto il flirt strategico di Duterte con la Cina con profondo sospetto.
Appena dopo la visita a Manila del Ministro Del Commercio Cinese Zhong Shan e del vicepremier Whang Yang, che hanno offerto un pacchetto di investimenti miliardario, il ministro della difesa Lorenzana suonava l’allarme per le attività cinesi nella zona ricca di gas di Benham Rise.
Si accusava la Cina di far attività sospette nell’area, parte della piattaforma continentale filippina nell’Oceano Pacifico. Lorenzana sollevò l’idea che le navi cinesi forse facevano ricerche oceaniche illegali che miravano al sondaggio delle risorse naturali, a porre equipaggiamento di sorveglianza ed esplorare condizioni topografiche per l’impiego di sottomarini.
Duterte, che forse non sapeva neanche dove si trova Benham Rise, ha provato a minimizzare affermando di aver dato unilateralmente permesso alla Cina per le sue attività, cosa ben al di là dei suoi poteri costituzionali. Sia i ministeri della difesa che degli esteri negarono immediatamente le sue affermazioni.
Trovandosi sotto pressione Duterte ha chiesto alla Marina Filippina di accrescere i pattugliamenti ed ha contemplato il creare delle strutture permanenti nell’area per affermare i diritti sovrani delle Filippine. Giorni dopo scoppiarono di nuovo tensioni tra il potere della sicurezza e Duterte, quando di il presidente affermò che Manila “non può impedire alla Cina” di costruire strutture sulle Scarborough Shoal che dista ad appena 155 chilometri dalla costa di Luzon.
Le figure importanti del senato e della magistratura hanno messo in guardia il presidente dal fare affermazioni disfattiste, mente l’opposizione parlamentare lanciava una messa sotto accusa accusando il presidente di tradimento.
Lorenzana ha descritto la prospettiva di un’attività di costruzione sulla barriera come “molto molto inquietante” ed “inaccettabile”, data la prossimità geografica alle basi militari filippine di Clark e Subic.
Lorenzana ha sottolineato l’importanza dell’assistenza americana nel prevenire la completa occupazione della barriera. Di fronte ad una aperta risposta tra i suoi generali e importanti figure dei media, Duterte, che ha sempre cercato il favore dei militari da quando ha preso il potere, ha affermato che la Cina lo aveva rassicurato che non ci sarebbero state attività di reclamo nel Scarborogh Shoal.
Poi il ministero degli esteri filippino chiarì che le dispute marittime sarebbero state poste nella visita prossima di Duterte in Cina, dove è programmato un incontro con il presidente Xi Jinping nei corridoi del Summit sulla Via della Seta.
Duterte ha quindi indurito i suoi toni durante una sua visita alle postazioni militari nell’isola di Palawan, quando ha ordinato alle sue truppe di occupare ed affermare la sovranità filippina sulle facezie di terra in questione nella catena delle isole Spratly. Ha persino promesso di innalzare la bandiera filippina sull’isola di Thitu, la seconda isola più grande delle Spratly, il 12 giugno, giorno dell’indipendenza.
Mentre questo potrebbe essere lo sforzo calcolato per presentare le sue credenziali patriottiche per prevenire la risposta dal potere della sicurezza, Ci si attende che Duterte faccia aggiustare la pista aerea e l installazioni nell’isola di Thitu.
L’attuale beccarsi tra Duterte e il potere della difesa si riflette sulla presidenza filippina di turno dell’ASEAN. Da un lato Duterte vuole restare fedele alle questioni che più ama, la lotta al terrorismo transnazionale e al traffico di droga, mentre mette in secondo piano questioni delicate come le dispute in mare. Ha chiarito che non userà l’arbitrato del Tribunale Internazionale sul mare cinese meridionale per mettere pressione a Pechino nei forum regionali.
D’altro canto, i membri anziani del ministero degli esteri e della difesa vogliono che le questioni marittime siano al centro delle discussioni regionali. Turbati dalla costruzione cinese degli impianti militari nelle acque contese, vogliono che le Filippine usino la sentenza della corte per spingere verso un codice di condotta vincolante nel mare cinese meridionale.
Questa dissonanza interna spiega le dichiarazioni contraddittorie di Duterte e dei membri anziani dei ministeri sull’agenda dell’ASEAN di questo anno. Finora non è chiaro se questa non sia una strategia elaborata di Manila da “poliziotto buono, poliziotto cattivo”. Probabilmente è l’espressione esplicita dei dibattiti interni ad elevata posta che animano la battaglia per l’anima della politica estera filippina.
La fluidità della battaglia sottolinea il ruolo importante delle potenze esterne, Cina, Giappone e USA, nel forgiare il comportamento di Manila. La Cina è pronta a dar potere a Duterte e simili in Manila offrendo grandi investimenti ed aiuto allo sviluppo, sperando di addolcire la sua posizione sulle dispute territoriali e marittime.
Giappone e USA, nel frattempo, hanno cercato di rafforzare la voce del potere della sicurezza offrendo assistenza di sicurezza marittima, sottolineando le minacce che la Cina pone con la sua presenzialità e facendo leva sul loro significativo peso nell’economia del paese.
Tokyo ha anche cercato di avvicinare le differenze tra Manila e Washington mentre ha contrastato l’offensiva cinese offrendo un proprio bel pacchetto di investimenti infrastrutturali.
Alla fine la direzione della politica estera filippina e la sua presidenza dell’ASEAN non sono scritte nella pietra, qualunque cosa Duterte possa dire.
Richard Heydarian, AsiaNikkeiReview