Negli ultimi mesi sono scomparsi almeno quattro capi di minoranze religiose malesi alimentando la paura che siano stati presi di mira nella tendenza verso l’islamizzazione crescente della Malesia.
Nel giorno del suo rapimento, il 13 febbraio 2017, il pastore cristiano Raymond Koh Keng Joo era in auto vicino casa sua a Petaling Jaya, nella periferia di Kuala Lumpur. Koh era conosciuto per il suo lavoro con i gruppi marginalizzati: le madri sole, tossicomani, lavoratori del sesso e persone affette di HIV/AIDS.
Il suo lavoro aveva attratto già l’attenzione delle autorità religiose malesi nel 2011 quando la sua chiesa metodista fu attaccata dal Dipartimento Religioso Islamico di Selangor.
Koh fu sospettato di voler convertire musulmani al cristianesimo, reato punibile nello stato Selangor il più popoloso della Malesia, con multe di oltre 2000 dollari ed un anno di carcere. Non fu accusato di nulla ma ricevette una pallottola in una busta.
Il suo rapimento fu catturato nelle telecamere di sorveglianza di una vicina proprietà in un video dove si vedono tre SUV neri seguire Koh mentre esce dalla strada principale. Si vede una decina di persone mettere Koh in una quarta vettura che poi scappa. Il tutto dirò appena 47 secondi.
Il rapimento di Koh, portato avanti con spavalderia alla luce del giorno seguì simile scomparse di capi di minoranze religiose malesi nei mesi precedenti, tendenza crescente che ha acceso le paure che le esse siano state presa di mira nella più vasta repressione del dissenso e nella crescente islamizzazione del paese.
Il 30 novembre prima scomparvero Joshua Hilmy e la moglie Ruth. Sei giorni prima diede l’annuncio della scomparsa di Amri Che Mat la moglie. Due testimoni videro un gruppo di uomini armati in due SUV e tre berline accostarsi a ad Armi a 500 metri dalla casa. Il mezzo di Amri fu ritrovato a venti chilometri con i vetri rotti e le targhe rimosse.
I paralleli tra i due rapimenti e la chiara esperienza mostrata dai rapitori hanno portato molti a dire che i due fatti sono legati e fatti da professionisti, forse persino dall’interno dello stato.
Il Consiglio degli Avvocati Malesi diceva in una dichiarazione di aprile che i rapimenti portavano a pensare a delle scomparse forzate, che secondo Amnesty International, sono rapimenti fatti da agenti dello stato in una strategia di diffusione del terrore nella società.
Le indagini frettolose della polizia malese, che etichettarono i casi di Hilmy e Amri come incidenti di persone scomparse, hanno alimentato speculazioni di un gioco sporco nei media e tra i gruppi di difesa dei diritti umani.
La polizia non l’ha presa molto bene questa accusa di collusione tanto che il capo della polizia Khalid Abu Bakar, in una conferenza stampa, disse ai giornalisti “Chiudete quella fottuta bocca”, accusando i media che la loro attenzione eccessiva danneggiava le tracce delle indagini.
Ambiga Sreenevasan, presidente di HAKAM, Società Nazionale dei diritti umani della Malesia, disse che il silenzio assordante del governo ha rafforzato il messaggio che i rapimenti, anche se non fossero fatti dallo stato, sono tollerati.
“I rapitori sono riusciti a creare paura, se quello era l’intento. Ha fatto della Malesia qualcosa che non è mai stata, un paese che ha scomparse forzate.”
La famiglia di Koh ha posto una ricompensa di oltre ventimila dollari a chi dia notizie, ma finora nulla. Ma sono spuntate dovunque dimostrazioni di base e vigilie nelle parrocchie di tutto il paese.
Una dichiarazione di 46 ONG e gruppi di fede del 7 aprile invitava la polizia malese “ a dimostrare di lavorare vigorosamente al localizzare i rapiti e portare i colpevoli in tribunale” come pure a rassicurare che “nessuna agenzia dello stato abbia condotto i rapimenti”. Il giorno dopo 300 persone tennero una vigilia di preghiera.
Peter Chong, ex consigliere municipale, era tra chi cerca delle risposte e questo lo ha reso un obiettivo. Chong pubblicò sulla sua pagina di Facebook un incontro con un motociclista che lo avvisava di “statti attento” perché la gente sparisce, e i responsabili sanno dove vivono i loro “obiettivi”.
Il 7 aprile Chong andò in Thailandia seguendo una notizia sulla presenza del pastore Koh. Fu invece rapito da tre uomini, di cui due malesi, e tenuto per otto giorni ad Hat Yay nel meridione thailandese.
I suoi rapitori gli dissero di smettere di cercare Koh. “Credo che il loro obiettivo era di intimidire non musulmani a non interferire con questioni musumane.” ha detto Chong ad AsiaTimes dopo il suo ritorno in Malesia.
Chong fu rilasciato senza danni il 16 aprile, cosa che lui attribuì alla soddisfazioni dei suoi rapitori per la copertura giornalistica ricevuta nella stampa malese. Disse che lo misero in guardia sul fatto che militanti non musulmani devono stare lontano da questioni musulmane. “Poiché non l’ho fatto non mi sento molto al sicuro”.
I rapimenti, che riguardano tutti persone di fedi minoritarie, giungono sullo sfondo della crescente islamizzazione della legge e della politica del paese. Militanti ed avvocati descrivono una deformazione sempre lenta e costante dei principi islamici nella legge civile, mentre estremisti spingono per regolamenti sempre più invasivi.
Il governo “impone semre di più opinioni e norme restrittive sulle minoranze etniche e religiose che non solo colpiscono la possibilità di questi gruppi di praticare la loro religione liberamente, ma anche la loro vita quotidiana” dice il rapporto della Commissione degli USA sulla libertà religiosa.
I centro di ricerca Pew nel 2015 considerava il tasso di restrizione della Malesia sulla libertà religiosa molto alta, seconda solo alla Russia,Iran, Cina ed Egitto.
La costituzione malese asserisce che “le altre religioni possono essere praticate in pace ed armonia” ma considera l’Islam Sunnita come la “religione della federazione”. Nessuna altra religione può evangelizzare e i seguaci di fedi di minoranza sono soggetti a frequenti ostilità, accusa di essere non islamici e violenza.
Anche la famiglia Hilmys era stata accusata di fare proseliti. Il gruppo di Amri, Perlis Hope, fu denigrata sui media sociali di propagare la dottrina sciita, cose che la moglie ha ripetutamente negato. La casa di Amri nel 2014 fu attaccata dalle autorità islamiche a Perlis, nella Malesia settentrionale.
La comunità sciita malese con i suoi 40 mila fedeli si trova di fronte a violenze regolari ed intimidazione. Gli sciiti sono considerati devianti al pari dei non musulmani e a loro è vietato pubblicare e distribuire testi religiosi in Malesia.
Per far rispettare la propria versione sunnita dell’Islam, la Malesia opera tantissime corti della Sharia che sono indipendenti dal sistema giudiziario. I non musulmani che sono il 38% della popolazione malese non sono soggetti alle corti islamiche, ma sono frequenti i conflitti di giurisdizione, stando ai rapporti di Suara Rakyat Malaysia, SUARAM.
Sono considerati vincolanti varie sentenze legali emesse secondo le leggi federali e statali, secondo i decreti reali, i consigli delle fatwa, ed “erodono la nozione di uno stato laico e la costituzione come legge suprema della Malesia”
Codici legali in competizione portano a interpretazioni contraddittorie nei casi in cui c’è una sovrapposizione con la religione nei matrimoni, conversioni e divorzi.
Nel 2015 il presidente del partito islamico conservatore PAS introdusse una legge che voleva espandere la giurisdizione delle corti islamiche ed innalzava la pena massima a 30 anni di carcere e 100 scudisciate.
Chi sosteneva questa Legge Hudud voleva solo cercare di aumentare la pena massima, non di applicare il codice penale islamico. Ma altri sostengono che non assegnando le pene ai specifici reati la legge permette un’applicazione flessibile che potrebbe toccare la vita dei non musulmani.
Nello stato del Kelantan guidato dal PAS, tutti le aziende devono chiudere al tempo delle preghiere islamiche. L’apostasia o la conversione può portare fino a 36 anni di carcere nello stato Sabah; nel Kelantan e Terengganu la sentenza è la morte.
I critici credono che l’approvazione della legge del Hudud potrebbe indebolire la posizione delle corti civili nei futuri casi.
“La legge divide il paese in musulmani e non musulmani” dice il politologo Ong Kian Ming che ora fa parte del Partitodi azione democratica. “I nostri amici nella coalizione di opposizione hanno paura che votando contro la legge saranno definiti come antislamici”.
Il primo ministro Najib all’inizio andò contro la propria coalizione a sostegno della legge, prima di ritrattare di fronte alle conseguenze negative montanti. Il dibattito sulla legge è stato spostato ad Agosto.
Mentre si propongono leggi che restringono le libertà e pratiche religiose, il sistema legale dà poteri straordinari alle forze di sicurezza che per molti minacciano le libertà civili.
L’accusa di insultare l’Islam secondo la legge della sedizione serve spesso come pretesto contro gli oppositori politici, mentre tanti militanti sono stati arrestati negli ultimi anni secondo un insieme di statuti repressivi che censurano i discorsi online ed i testi delle minoranze religiose.
La polizia reale malese ha anche una licenza straordinaria di detenere sospetti sotto indagine anche con sole sviste illusorie, “forzando poteri draconiani in una patina di legalità” come sostiene l’avvocato Andrew Khoo.
I poliziotti sono raramente tenuti sotto disciplina e non rispondono degli abusi o degli eccessi. Il rapporto del 2016 di SUARAM ha registrato 723 morti in custodia della polizia tra il 2013 ed il 2016. L’edizione del 2015 dice: “L’uso della tortura ha permeato il sistema di giustizia penale del paese”.
Mettere il bavaglio ai militanti di opposizione, alle minoranze religiose e a chi difende i diritti umani “ha creato un ambiente di impunità” che “dà conforto agli attori non statali che si vogliono avvantaggiare della situazione” dice l’avvocato Khoo. “Talvolta per gli attivisti della società civile può essere difficile accettare cge siamo una società otto assedio” e cita gli affari nazionali pacifici, pluralità etnica e la vita commerciale vibrante.
Secondo Khoo questi rapimenti hanno raggelato la società civile. “Le notizie di questi tipi di scomparse e la mancanza di progressi fatti nel risolverli si aggiungono alla paura e l’intimidazione in cui viviamo”
La Commissione Nazionale dei diritti umani malese annunciò il 21 aprile una sua propria indagine sui rapimenti, mentre si appellava alla Polizia “affinché usasse tutti i mezzi a disposizione per delucidare il destino di queste persone scomparse”
Il 5 maggio una coalzione di gruppi della società civile annunciava la formazione di un Gruppo di Azione di cittadini sulle scomparse forzate per coordinare gli sforzi presso governi nazionale e internazionali, per assistere le famiglie e pianificare delle veglie nazionali.
Srenevasan però ha sottolineato che i rapimenti, portavi avanti con impunità sotto il disinteresse dello stato, hanno già distrutto la fiducia nelle istituzioni del loro paese.
“Una volta superati i limiti e si lavora fuori della legge, ecco. E’ un pendio scivoloso. Può accadere a chiunque per una qualunque ragione. Chi può essere al sicuro?”.
Eli Meixler, Asiatimes.com