Questo maggio Thailandese porta due date fatidiche per il paese: il 19 maggio 2010, quando iniziò la repressione finale a Bangkok che con 99 morti per mano militare pose fine alle proteste delle magliette rosse per il ritorno alle elezioni. In quei giorni fu ucciso anche Fabio Polenghi
Quattro ani dopo il maggio Thailandese vide il colpo di stato del generale Prayuth, il 22 maggio 2014, che abbattè il governo eletto di Yingluck Shinawatra. Il maggio Thailandese di quest’anno segnerà l’inizio del quarto anno del governo militare di Prayuth che di tutti i suoi progetti di riforma non ne ha realizzato uno solo.
Pubblichiamo due articoli su questo maggio Thailandese, uno ad opera di Benarnews a cura di Nontarat Phaicharoen, e l’altro articolo, pubblicato sul Bangkokpost a cura di Kong Rithdee, sul tentativo arcaico di tappare la bocca a Facebook in Thailandia.
Thailandia, tre anni sotto la giunta militare
Il prossimo 22 maggio la Thailandia entrerà nel quarto anno di un governo militare che si è radicato saldamente al potere e che rende il ritorno alla democrazia molto lontano nonostante aver promesso le elezioni il prossimo anno.
Quel 22 maggio del 2014 il comandante dell’esercito del tempo generale Prayuth Chanochoa rovesciò il governo eletto democraticamente di Yingluck Shinawatra con un golpe affermando che erano intervenuti per porre fine alle proteste di strada e ad anni di scontento politico.
Prayuth, capo del golpe diventato primo ministro, promise di restaurare ordine ed unità e liberare il paese da chi è contro la monarchia, la cui alleanza con i militari risale a 60 anni fa.
L’Assemblea legislativa nazionale, nominata dalla giunta, ha approvato velocemente tante leggi che mirano a mettere la museruola al dissenso, unitamente alla dura Lesa Maestà che proibisce gli insulti alla famiglia reale.
In questo periodo la giunta ha detenuto 597 persone tra attivisti, giornalisti e politici. Tra loro 82 sono tenuti per aver violato la lesa maestà che permette di dare fino a 15 anni di carcere per condividere un post di Facebook, mentre 64 sono stati presi per sedizione. I dati sono tratti dal gruppo di giuristi di iLaw.
Di recente la giunta ha vietato di contattare, seguire o discutere con tre critici online.
Nonostante questo la giunta vuole introdurre una nuova legge restrittiva del cyberspazio che permette al governo di accedere a sistemi di computer privati.
Il commissario della Commissione Nazionale dei diritti umani, Angkhana Neelapaijit, dice:
“La questione preoccupante è la lenta uccisione della libertà, libertà di espressione, di tenere manifestazioni, adunanze pubbliche pacifiche. Chi difende i diritti umani è intimidito quando non inquisito”.
Angkhana sostiene che la giunta, che ha riscritto la costituzione del paese facendola approvare in un referendum popolare e poi sottoscrivere dal re, “deve cercare un compromesso e permettere alla gente di esprimere le proprie opinioni”.
La costituzione apre la strada alle elezioni rimandate almeno 4 volte dalla giunta, e permette al governo militare di nominare un senato che avrà la parola sul prossimo primo ministro.
La giunta ha promesso le elezioni per il novembre del prossimo anno.
“Le regolari promesse della giunta militare di riportare la democrazia il prossimo anno sono minate dalla loro mancanza di rispetto per i diritti fondamentali come la libera espressione, l’associazione e dimostrazione pubblica pacifica che sono fondamentali per la partecipazione democratica.” sostiene Brad Adams di HRW. “Anche se si terranno le elezioni per il governo alla fine del 2018, scenario più probabile, ci si deve chiedere che democrazia sarà veramente con un senato potente nominato interamente dai militari e meccanismi che rendono più difficile per un partito della camera bassa ottenere una maggioranza sufficiente”.
Prayuth ha difeso il ruolo della giunta e dice di lavorare soldo a gettare fondamenta forti per il paese, cosa che però l’opposizione politica e critici democratici pone il paese in cattiva luce e lo fa sembrare come se stesse crollando.
“Sono preoccupato per il paese, non della democrazia” ha detto Prayuth al BangkokPost. “Avremo elezioni, ma vogliamo il ritorno al caos?”
Per il portavoce della giunta, generale Sansern Kaewkamnerd, il governo sta gettando le basi per un governo migliore, provando a risolvere con tutti i mezzi i problemi del paese e spingere il governo per il buon governo, la disciplina finanziaria e la libertà dalla corruzione. Alcuni media secondo lui sono incentrati invece a valutare negativamente le azioni del governo.
Secondo Southeasta Asian Press Alliance, SEAPA, obiettivo del governo Prayuth prossimamente sarà la critica online del governo.
“I media online sono sotto la lente, accusati di creare conflitti o di avere un ruolo chiave nella critica ai risultati del lavoro del governo” dice Kulchada Chaipipat di SEAPA. “La società è andata oltre il punto che il governo deve controllare i media”.
Kulchada sostiene che il controllo del codice giornalistico deve essere affidata solo alle organizzazioni dei media.
Tra i pochi che osano parlare contro la giunta vi è un giovane studente della Chulalongkorn University, Netiwit Chotiphatphaisal, il quale afferma che il golpe ha fatto più male che bene.
“La costituzione erode i fondamenti della democrazia, il curriculum scolastico non è sufficientemente buono ed i diritti umani sono semplicemente svaniti” dice Netiwit. “Bisogna uscire dal ciclo dei golpe e dall’idea che bisogna dipendere da dittatori. Dobbiamo migliorare la democrazia per prevenire ulteriori golpe”.
Nell’ultima repressione militare, la polizia ha detenuto per poche ore otto persone che hanno manifestato in strada alla ricerca della giustizia per la repressione militare del maggio 2010.
C’era anche Payao Akhard, la madre di una infermiera che fu uccisa mentre provava a dare soccorso ad un manifestante che stava morendo durante le manifestazioni contro il ministro Abhisit Vejjajjiva.
L’infermiera è una delle 99 persone morte in quel maggio 2019 (tra le quali ricordiamo il fotogiornalista Fabio Polenghi, NdT), per mano della repressione militare.
Abhisit fu prosciolto dalla accusa di omicidio legata all’aver ordinato la repressione militare del maggio 2010.
Nontarat Phaicharoen, Benarnews
Non si può sconfiggere Facebook, chiedetelo ai bambini
Appollaiati in qualche punto tra la stupidità e la malizia, abbiamo minacciato di bloccare Facebook. Nel provare a farlo, annunciammo al mondo che crediamo nella censura del flusso globali di informazioni, nella creazione di una nuova coscienza collettiva.
Chiaramente abbiamo fallito. In modo spettacolare. Non che sia la cosa più sorprendente al mondo.
La Cina riesce a farlo perché è grande, fredda e potente. La Corea del Nord perché ha scelto di vivere in un universo parallelo. Cosa è la Thailandia?
Se fossimo così maliziosi o stupidi, l’avremmo dovuto fare tanto tempo fa. Ma non lo siamo. Siamo indecisi, deliranti, avanzando a tentoni nel futuro come una persona sulle stampelle credendo però di guidare una Ferrari.
Col fiato sospeso, alle dieci di martedì, 25 milioni di persone attendevano di vedere se il notiziario sarebbe stato tagliato, poiché la Commissione nazionale di trasmissione e telecomunicazione aveva minacciato Facebook se non avesse rimosso 131 pagine definite illegali. Quando le lancette scoccarono le dieci, sollievo, nulla è accaduto. La Commissione citò anche una denuncia se la macchina di Zuckerberg non avesse aderito alle nostre potenti richieste ed avesse violato la legge thailandese. Questa ostentazione di potere potrebbe far paura solo ai deboli di cuore e Facebook, che ha detto di essere pronta a cooperare quando le autorità hanno le carte in regola, non è tra quelli.
Lo sanno i bambini che la Commissione non bloccherà Facebook. E’ troppo tardi. Il mondo ha superato il punto di non ritorno. Se i notiziari si fermano, le vittime non sono solo le immagini di piatti triviali o i film di gatti o i lamenti privati. E’ il mondo degli affari che pone la pubblicità, le multinazionali che si affidano al traffico online, o o chi ha rilasciato i video virali e fanno le vendite sulla piattaforma. La nostra affidabilità si perderà.
In breve non si può sconfiggere Facebook, non oggi, non dalla Commissione nazionale o dal governo militare la cui cultura digitale è ad essere onesti tragica. Per rendersene conto basta dare un’occhiata ai siti web delle agenzie dello stato.
L’intero flop si è consolidato in una delusione epica, eppure è qualcosa di più del bloccare o non bloccare il fornitore di notizie al mondo più influente.
Mostra lo stato ufficiale della nostra mentalità: i nostri capi credono ancora nella censura in un mondo dove la censura è difficilissima se non impossibile. Mostra che crediamo ancora in confini fissi, in frontiere definite dell’informazione, quando il traffico globale di immagini, testi, idee e notizie ha quasi raggiunto l’infinito. Si fermano all’illusione del controllo quando si è entrati in un’era dove chiunque con un telefonino può accedere all’intera storia della conoscenza e della memoria umana.
Cosa siamo per pensare di fermarlo? In quale secolo vive la Commissione Nazionale di Telecomunicazione?
Deve Facebook rispettare le leggi nazionali? Natualmente lo deve fare. Ma ancora, è più complicato. E parliamo ancora di frontiere, giurisdizione, e territori chiaramente definiti in un’era dove tutti questi termini si fanno ogni giorno più confusi.
Senza dubbio Facebook è sotto pressione. Se ci permettono di dire quello che è pubblicabile o meno, altri paesi faranno la stessa richiesta. E finché la violazione non è qualcosa di universalmente definito, come un omicidio dal vivo o una frode finanziaria, sarà difficile comandare il Signor Zuckenberg.
Per natura Facebook è un organismo dalla libera mente, ed il braccio forte del pensiero conservatore che con ardore pratichiamo non trova posto lì. Davvero credevo che la gente dietro Thailandia 4.0 sarebbe stata abbastanza intelligente da saperlo.
E’ diventata così una discussione insignificante da cui siamo usciti umiliati. Anche di più perché nella stessa settimana un’altra storia legata a Facebook ha ottenuto tante condivisioni e pezzi di sostegno.
Non abbiamo dimenticato Jatupat “pai Dao Din” Boonpattararaksa, che è ancora in carcere per aver condiviso un articolo su Facebook, per aver spinto un bottone che tantissime altre persone fanno senza essere punite. Questa settimana Jatupat ha avuto il premio Guangju per i diritti umani per il 2017. Poiché non gli è stato consentito di lasciare il carcere, i genitori sono andati in Corea per conto suo.
Chi avrebbe pensato che “giocare a Facebook”, come si dice in Thailandia, avrebbe potuto avere tante conseguenze dure su un uomo? Carcere, negazione della cauzione e possibilmente un futuro rovinato, oltre a tanti anni senza Facebook. Negli altri stati totalitari ci sono dissidenti incarcerati per aver diffuso le proprie idee, e tuttavia non abbiamo letto un caso di qualcuno accusato per aver condiviso un articolo che era stato già condiviso da altre 3000 persone.
Facebook è una bestia, ma se c’è una cosa per cui si deve prendere una posizione chiara è questa: una missione per sostenere la possibilità di accesso, apertura e giornalismo responsabile.
Jatupat è una vittima, forse un martire, in una lunga battaglia tra il passato ed il futuro. Quale sceglieremo?
Kong Rithdee Life editor, Bangkok Post.