Assistiamo forse ad una replica della storia recente filippina con la proclamazione della legge Marziale di Duterte per affrontare una minaccia terroristica?
Si ritroveranno le Filippine, ancora una volta, soggette ai rischi che afflissero il paese con governo di Marcos?
La narrativa dell’eccezionalità di Duterte sostiene che intraprendendo le stesse azioni che Marcos prese 45 anni fa, potrà comunque raggiungere risultati differenti.
Il 23 maggio le truppe filippine cercarono di arrestare Isnilon Hapilon a Marawi città. L’operazione andò a male, ma i membri del gruppo Maute risposero assediando la prigione cittadina e il campus del Dansalan College. I cittadini, per lo più Musulmani Filippini Moro, si trovarono nel fuoco tra i seguaci di Hapilon e le forze del governo. Il presidente Duterte tagliò il suo viaggio a Mosca e, tornando a casa per la crisi, dichiarò la legge marziale a Mindanao per i prescritti 60 giorni.
L’innesco di questa proclamazione è la ribellione contro lo stato e l’invasione che presumibilmente è giustificata dalla presenza di militanti stranieri nelle fila del gruppo Maute.
Con la sua boria Duterte ha detto che questa nuova manifestazione di Legge Marziale, di governo militare, avrebbe ottenuto quello che ogni governo di Manila non è riuscito a fare: risolvere i problemi di Mindanao “una volta per tutte”.
Mindanao è la regione filippina più inquieta dove da 50 anni vari gruppi armati attaccano il governo. All’origine era dominata da musulmani separatisti che cercavano l’indipendenza da un paese cattolico, ma i gruppi principali MILF e MNLF sono tornati al tavolo del negoziato con Manila. Dopo aver abbandonato l’Indipendenza in favore dell’autonomia per la terra Moro, l’accordo Comprensivo per la Bangsamoro col MILF del 2014 e la Legge fondamentale della Bangsamoro sono gli ambiti più recenti dentro cui cercare la pace duratura.
Ma gran parte della violenza è fatta ora da frange estremiste come Abu Sayaff a Basilan e Sulu ed il Gruppo Maute a Lanao. Mentre erano stati valutati come gang di estorsori, le loro connessioni internazionali sono cresciute con la dichiarazione di alleanza prima con Al Qaeda ed ora l’ISIS. Agli inizi del 2016 ISIS designò Isnilon Hapilon come Emiro della regione. Il primo giugno il ministro Lorenzana confermò la presenza di otto militanti stranieri a Marawi. Con i rapporti crescenti della presenza ISIS a Marawi ad alzare la tensione, Duterte alzò la posta in gioco con l’applicazione della legge marziale.
Se pare già sentita la notizia di un presidente filippino che impone la legge marziale per distruggere la ribellione a Mindanao, è perché accadde già una generazione fa nel 1972. Era presidente Ferdinando Marcos e la ribellione del MNLF, guidato da Nur Misuari, diede la scusa principale, precipitando il paese nei giorni più bui di governo dittatoriale. Piuttosto che risolvere i problemi, la mano pesante di Marcos ingrassò le file delle armate ribelli, quelle del NPA comunista e del MNLF, che non videro più tanti militanti nelle loro file. La risposta militare di Manila distrusse Mindanao culminando con la distruzione di Jolo, la capitale di Sulu, nel febbraio 1974.
Da allora non si è più vista una pace reale.
Avendo negli occhi di tanti filippini e di Mindanao in questo vivido ricordo, ci sono tantissimi critici della legge marziale di Duterte. Questi lamentano il chiaro salto di amnesia che il paese ha preso ora verso situazioni che il paese attraversò solo qualche decennio prima, ed anche la prospettiva più tragica di fare lo stesso errore per la seconda volta nella storia recente. Alcuni mettono in guardia rispetto alle troppe morti, come lo stesso ministro Lorenzana ha confessato durante un incontro con i parlamentari, nel credo che Maute possa essere contenuto senza l’uso della legge marziale, e che non è stata la difesa a fare la raccomandazione per imporla.
Il MILF, che è il partner più importante di Manila a Mindanao, ha presentato una dichiarazione ufficiale in cui si mostra scettico e riservato: “Tale proclama, fatto presumibilmente dentro il processo legale del Governo, è chiaramente designato a contenere l’incidente di Marawi.” Dopo aver condannato l’attacco di Maute ed aver assicurato il proprio aiuto per sopprimerlo, il MILF ha avvisato del rischio che la violenza si diffonda invitando il governo ad assicurare che la legge marziale “non diffonda altri scontri in altre aree”. Il Consorzio della Società Civile Bangsamoro ha espresso i propri dubbi, considerando la situazione a Marawi iniziata dal gruppo Maute ma esacerbata dalla Legge Marziale. Ha lamentato del ritorno del conflitto in grande scala: “Questa situazione è causata da un lato dagli attacchi terroristici e dall’altro dalla risposta antiterroristica.”
Sono giustificati i dubbi oppure Duterte può davvero superarli e aver successo?
Il discorso di Duterte è quello del duro che è anche un capo eccezionale. Si è descritto come chi risolverà i problemi del paese, non per la forza delle idee, ma dal liberarsi dalle conseguenze che forse, ai suoi occhi, hanno neutralizzato le azioni dei precedenti presidenti filippini. Con uno stile sensazionalistico, ha messo in dubbio le un tempo relazioni profonde con gli USA, ha abbracciato la Cina il rivale nel Mare Cinese Meridionale, e riacceso i legami da tempo negati con la Russia. Tutto questo serviva a creare lo spazio politico per i risultati della sua firma, l’estirpazione del problema della droga delle Filippine in cui egli ha consolidato l’intero scopo delle questioni che affliggono la società filippina. Ha legato il crimine, la corruzione politica ed ora, in una recente conferenza stampa su Marawi, persino il terrorismo al commercio della droga, sostenendo che i fondatori del gruppo Maute erano poliziotti corrotti spinti dal commercio della droga. Ha permesso a vigilanti legati a polizia e militari di fare omicidi extragiudiziali di presunti tossicomani e spacciatori, portando alla morte di oltre 7000 individui nel paese dei quali 3600 ancora sotto indagine.
Queste semplificazioni dei problemi del paese hanno funzionato bene sulla base eletorale. La prova più convincente di quanto Duterte sia un’eccezione è la sua popolarità. Un’indagine di Pulse Asia di Prile trovava che il tasso di approvazione era oltre il 76%, minore del 83% precedente. Questo ha ringalluzzito Duterte contro i suoi oppositori politici. Ha dovuto incontrare pochissime conseguenze dopo aver isolato i critici maggiori come la vicepresidente Robredo e la senatrice De Lima, colei che ha iniziato le indagini sugli omicidi extragiudiziali.
Ora nell’assumere la minaccia terroristica a Mindanao, il credo di Duterte della propria eccezionalità lo ha portato a testare il nudo potere della presidenza, come mai nessuno ha fatto dopo Marcos. E’ stato persino sicuro nel dire, in un video posto da Mocha Uson, che vorrebbe estendere la legge militare per un anno. Nello stesso video non si è affatto preoccupato nel caratterizzare la sua legge marziale che sarà tanto cattiva come lo fu negli anni di Marco: “La legge marziale è legge marziale… non sarebbe differente da quella che il presidente Marcos fece. Sarò duro. Mi fu chiesto una volta come avrei trattato il terrorismo. Dissi che sarei stato duro. Lo devo essere per preservare la repubblica.”
Ma davvero Duterte davvero può sconfiggere la storia recente filippina? Seguendo lo stesso percorso dal precedente dittatore può conseguire risultati differenti?
Ci sono differenze importanti nelle situazioni. La più citata è la natura della legge applicata. Secondo la costituzione del 1987, scritta un anno dopo la cacciata di Marcos, la versione della legge marziale di Duterte è limitata dall’operatività continuata dei diritti, della libertà di stampa, di assemblea e petizione, che negli anni 70 furono soppresse.
Funzionano le corte civili e condurranno i processi sulle persone arrestate e catturate durante la legge marziale. Questo è in contrasto al periodo di Marcos quando Benigno Aquino e Jose Diokno furono arrestati e soggetti alle corti militari. Più importante non si possono abolire le assemblee legislative attuali come lo furono con Marcos.
La situazione politica di Duterte è differente. All’inizio della sua presidenza il presidente attuale gode di una sorprendente e resistente luna di miele e detiene ancora un sostegno fanatico dalla propria base. Gli errori fatti non hanno ancora avuto tempo per produrre conseguenze. Quindi la popolarità di Duterte forse impedirà la crescita delle fila di Maute, come invece accadde al MNLF tanti anni fa. Allora, Marcos era alla fine del secondo mandato con una popolarità al ribasso. I suoi passi falsi nell’economia erano già chiari agli inizi degli anni 70. La sua spesa aggressiva nelle infrastrutture s progetti da cattedrali nel deserto avevano fatto già esplodere il debito pubblico che portò al taglio degli aiuti. A marzo 1970 Manila visse grandi proteste di massa e scontri con la polizia in ciò che divenne la Tempesta del Primo trimestre, che spinse Marcos a dichiarare la legge marziale.
Marcos stesso aiutò ad innescare la ribellione a Mindanao. L’omicidio sommario nel 1968 dei comando Moro addestrati per un’invasione della Malesia alla fine accese il movimento di indipendenza Moro, guidata dal MNLF. Inoltre, secondo lo storico Patricio Abinales, i tentativi di Marcos di consolidare il potere aggirando i governi locali negli anni 60 implicarono che i suoi uomini coprivano ruoli un tempo occupati dai Moro un tempo rispettati.
I rappresentati di Marcos non avevano spesso la credibilità per servire efficacemente come mediatori tra Manila e Mindanao. Mentre il movimento di indipendenza acquistava forza, non c’erano meccanismi locali per aiutarlo a contenere.
Duterte dal canto suo ha dalla sua parte decenni di negoziati e accordi quadro per la pace costruiti su questi meccanismi, il più recente dei quali è il CAB con il MILF. Questi accordi hanno più o meno solidificato il ruolo che i mediatori locali possono giocare nel negoziare con differenti gruppi Moro moderati e facilitare l’isolamento e la soppressione dei più radicali. Inoltre lui viene da Mindanao, dopo essere stato sindaco di Davao ed è il primo presidente filippino della regione.
Ma bastano queste differenze a fare di questo periodo un momento eccezionale a Mindanao, permettendo a Duterte di usare l’accresciuta autorità per risolvere i suoi problemi un volta per tutte?
Sfortunatamente se si può trarre una conclusione dagli oltre tre secoli di reale e tentato governo di Mindanao da Manila, è che la soluzione aggressiva militare ha esattamente l’effetto opposto in termini di fermare la rivolta.
Se togliamo la nefandezza della legge marziale per i Filippini, non ci rimane che un’altra solita strategia militare per Mindanao: uno dei tanti che hanno provato e fallito. Spagnoli, americani, poi Marcos, Estrada, Arroyo e ora ci prova Duterte.
Un fattore importante in questa situazione è il ruolo dei gruppi moderati al tavolo della pace, il MILF e fino ad un certo punto il MNLF. La dichiarazione del MILF su Marawi mette in guardia delle conseguenze di permettere alle forze del governo ancora una volta di maltrattare i meccanismi di mediazione locali: “gli ultimi eventi hanno mostrato che disprezzare questi meccanismi è stato disastroso per le comunità e per gli sforzi di far fruttare la fice di un conflitto decennale nella nostra patria”.
Il MILF aveva sperato che i meccanismi messi in piedi dal CAB sarebbero stati in gioco in una situazione come quella che si crea ora a Marawi. La legge Marziale di Duterte usurpa questi in favore dell’esercito, istituzione vista con sospetto profondo ai Moro. Ci sono stati segni di fastidio con l’approccio di Duterte tra chi lavoro sulle soluzione di lungo termine a Mindanao. Le dimissioni di Samira Gutoc-Tomawis dalla Commissione di Transizione Bangsamoro il 29 maggio suggeriscono che c’è una crescente costernazione sulla regressione verso il militarismo.
L’entusiasmo Moro per il CAB e la BBL sta nel fatto che allontana il ruolo dei militari nella costruzione della pace a favore di attori del posto familiari e fidati che operano all’interno di un quadro culturalmente rilevante. Riaffermare il ruolo dei militari può polarizzare ancora l’atmosfera spingendo potenzialmente i gruppi moderati in una scelta impossibile tra stato e località.
Potrebbero continuare a stare con Manila se le città sono distrutte da offensive governative aggressive e da omicidi inutili? La paura di Maute, Abu Sayaff e della presenza dell’ISIS permetterà loro di superare l’ambivalenza verso Manila?
Se la brutalità degli eserciti del passato a Mindanao è uguagliato dalle truppe rafforzate dalle assicurazioni di Duterte che li sostiene col la dichiarazione: “Potete arrestare chiunque, perquisire ogni casa … Se accade che abbiate stuprato tre donne, me ne assumo la responsabilità”, chi lavora per la pace potrebbe perdere ogni speranza.
La legge Marziale di Marcos e quella di Duterte forse hanno differenze fondamentali, sia nella legge che nelle circostanze in cui si applicano. Mentre Duterte ed i suoi si considerano eccezionali e quindi immuni da conseguenze solite che hanno toccato i predecessori di Duterte, lui potrebbe ritrovarsi a cadere nello stesso scuro tunnel come i precedenti residenti, dittatori e governatori coloniali, tutti sedotti dalla semplicità apparente della soluzione militare nel porre fine ai problemi a Mindanao.
Forse il fattore principale da tener presente non è né la legge marziale, né l’eccezionalità di Duterte, ma come essi funzioneranno nel contesto di Mindanao, ed il ruolo che i suoi abitanti e i meccanismi di costruzione della pace giocheranno lì.
Cesar Suva, New Mandala