“Alcuni dicono che la prossima amministrazione ed il Congresso avranno più tempo” scrivemmo nella nostra lettera. “La nostra paura è che si sarà anche perso del tempo prezioso, un tempo che chiuderebbe la porta ai movimenti estremi e violenti che reclutano seguaci sfruttando l’alienazione di segmenti di popolazione dal governo e dalla società in generale”.
Quando scrivemmo quella lettera, erano state appena uccise 120 persone a Parigi presso un sala di concerti, un hotel a Bamako nella capitale del Mali era stato appena attaccato e due azioni suicide avevano colpito una periferia di Beirut.
La lettera portava il titolo “Non perdiamo altro tempo” e citava il consigliere della Sicurezza Nazionale Cesar P. Garcia nel suo discorso al comitato della Camera Dei Rappresentanti che discuteva la bozza di legge.
L’approvazione della BBL proposta, disse Garcia, avrebbe aiutato a tagliare le gambe alla diffusione dell’estremismo a Mindanao. Il governo della Bangsamoro che si sarebbe venuto a formare con la BBL avrebbe permesso ai capi islamici moderati di contrastare l’estremismo, allontanando la comunità musulmana dall’influenza dell’ISIS.
Garcia aggiunse che il completamento di quell’accordo avrebbe sistemato un conflitto armato interno più serio e liberato le forze armate filippine che così avrebbero potuto spostare le proprie risorse verso altre preoccupazioni urgenti, le minacce alla nostra integrità territoriale e dominio marittimo.
Lavoro con i detenuti Moro
Allora la Cina aveva fortificato la propria presenza sulle Spratly spingendo l’Amministrazione Aquino a lanciare la denuncia al Tribunale dell’Arbitrato a L’Aia.
Ma come già sappiamo, il Congresso non approvò la legge, e si perse il momento opportuno.
In quel momento sapevamo che c’era bisogno di affrontare gli allarmanti sviluppi internazionali.
Il pannello di pace del Governo e il nostro segretariato cominciarono a lavorare sui detenuti Moro al Centro di massima sicurezza di Bicutan. Il nostro staff con portavoce Tausug tra di loro, discusse il processo di pace Bangsamoro con loro per informare ma anche per convincere e dare speranza.
Gran parte dei detenuti erano presunti membri dei gruppi jihadisti. A loro si unirono chi fu arrestato nei due eventi tragici del 2013: l’attacco a Lahad Datu a Sabah di febbraio, guidati dall’erede del sultanato di Sulu Esmail Kiram, e l’assedio di Zamboanga a settembre. I detenuti erano lì da anni, mentre i tribunali non andavano per nulla avanti.
A Bicutan, trovammo che la gran parte dei detenuti non aveva avuto contatto con i propri familiari da anni. Procurammo loro un computer che avrebbe facilitato la comunicazione, cosa accettata dall’istituzione carceraria perché in linea con il loro programma di e-visita.
Furono istituiti piani per l’Autorità dell’Istruzione Tecnica e di Sviluppo delle capacità, TESDA, e il ministero dell’Istruzione per dare loro addestramenti di base e programmi alternativi di lezione per i detenuti di Bicutan.
Se si consideravano le questioni della sicurezza, questa opportunità di istruzione poteva essere trasmessa ad un membro della famiglia per aiutarli ad alleviare la loro situazione di povertà. La povertà e la rabbia che covava per il destino di un familiare lontano aveva condotto molti dei parenti dei detenuti verso l’estremismo.
Non erano misure sconosciute e Indonesia, Malesia e Singapore hanno programmi simili che cercano di fermare la spirale di odio dei detenuti e ripristinare la fiducia nel governo e nella società.
Gli sforzi dell’antiterrorismo
Nelle Filippine, è il consiglio dell’antiterrorismo che ha il compito di offrire un piano comprensivo contro il terrorismo in accordo con la legge della sicurezza umana del 2007. Ma dopo varie amministrazioni il consiglio deve ancora produrre un tale piano.
Il piano di contrasto del terrorismo è ricaduto sulle spalle delle forze armate e della polizia filippina. Il consigliere della sicurezza nazionale consolida tutti i rapporti dell’intelligence e dà al presidente una guida di politica.
A loro credito sono stati neutralizzate centinaia di personalità note anche di jihadisti stranieri negli ultimi 20 anni. Vari tentativi sono stati prevenuti. Altri gruppi aspiranti sono stati colti al loro inizio. Quasi tutti i padri fondatori e l seconde linee dei gruppi islamici di Mindanao sono passati a miglior vita.
Questi successi in battaglia sono stati raggiunti senza il bisogno di uno stato di emergenza o la dichiarazione della legge marziale, nonostante gli sbagli operativi della sicurezza che ha pagato di conseguenza con la vita dei loro uomini.
Al di là della soluzione militare
La tragedia caduta sulla città di Marawi deve porre una domanda: Perché, nonostante i successi della AFT e della Polizia e la natura asimmetrica di questo genere di conflitto armato a Mindanao, il problema persiste? Svuotata dei suoi 200 mila abitanti e di larghi spazi con infrastrutture sconvolte, perché Marawi è crollata sotto i nostri occhi?
Evidentemente, non si può risolvere il problema con le sole misure antiterroristiche. Uccidi questo gruppo di terroristi ed un altro prenderà il suo posto, le terze linee come i fratelli Maute e Isnilo Hapilon che hanno raccolto i pezzi.
Sono necessarie una serie di interventi non militari che rispondano al contesto sociale, politico e storico della crescita dei movimenti islamici nel paese.
Secondo questa vena, David Campbell, un ricercatore indipendente britannico sulle leggi antiterrorismo, scriveva in un’intervista al Time, dopo le bombe a Manchester, che “il modo migliore di combattere il terrorismo in modo proficuo non è con una reazione eccessiva ma usare una linea dura sui criminali pericoloso senza alienarsi le comunità”.
La legge marziale reifica il lato brutto dello stato esercitato attraverso il suo personale in uniforme con le armi. Creerà solo più problemi come violazioni di diritti umani, percezioni radicate nel profondo di ingiustizia, distruzione, assenza del governo della legge.
Non si disse tempo fa che la legge marziale di Marcos fu il miglior reclutatore di ribelli?
Le persone che comprendono meglio ciò non sono altro che i generali stessi. Anche loro sono esasperati dalla mancanza d un piano di azione comprensivo e coeso che mobiliti il resto delle agenzie dello stato. Non solo per riabilitazione e sollievo, ma anche per azione preventiva. Non sotto il loro comando, ma sotto mani civili a cui appartiene in primo luogo il mandato di governare e il dovere di farlo bene.
Salviamo Marawi
Dopo due settimane dalla dichiarazione della legge marziale il 23 maggio 2017, il presidente Duterte è rimasto sullo stesso corso militarista. Ha invitato NPA comunista a partecipare alla lotta. Ha accettato l’offerta di Misuari di 2000 uomini del MNLF per aiutare l’assalto ai gruppi Jihadisti.
Tutti questi pronunciamenti improvvisati sono stati fatti senza considerare le difficoltà nel controllo operativo che creerebbe alle forze armate filippine ed il loro impatto di lungo corso.
Per ora deve essere prioritario salvare le persone prese in ostaggio o intrappolate negli scontri a Marawi oltre a prevenire l’ulteriore distruzione della città.
Si deve raggiungere immediatamente un pizzico di controllo che permetterebbe una transizione verso la riabilitazione da sostenere attraverso pattugliamenti di sicurezza, invece di guerra di alta intensità. A questo scopo è da lodare meritando il nostro sostegno l’assistenza del governo e i pannelli del MILF e dei comitati del cessate il fuoco nel creare un corridoio umanitario e eventualmente sostenere un sistema di monitoraggio.
Marawi è casa per molti, come gli studenti di altre parti di Mindanao. La sua distruzione ha causato un dolore profondo che potrebbe trovare ancora espressione in forme violente e serie incomprensioni tra le forze armate filippine, il volto del governo sul terreno in queste aree, ed i cittadini.
Gradualmente le braccia civili del governo con l’aiuto di organizzazioni locali della società civile, assistite e legate in rete dai partner nazionali ed internazionali, devono prendere il sopravvento nel lavoro di ricostruzione. Necessariamente ciò include di rimettere a posto la strada della Bangsamoro come un pezzo del programma più vasto della costruzione della pace per Mindanao.
Non perdiamo altro tempo.
Miriam Coronel-Ferrer, Inquirer