Il più grande processo contro la schiavitù umana in Thailandia di rifugiati e migranti si è concluso con l’emanazione dei verdetti finali contro oltre un centinaio di accusati tra cui 21 verdetti di colpevolezza.
Tra i condannati vi è un generale dell’esercito thailandese, generale Manas Kongpaen, accusato di traffico umano e corruzione, ed un altro pezzo grosso Pajiban Aingkachotephan considerato uno dei principali re del traffico umano, un ex politico del meridione thai a Satun nonché uomo di affari.
Le dichiarazioni di colpevolezza coinvolgono ufficiali di polizia e nazionali birmani. Molti dei 103 sono stati assolti invece per insufficienza di prove.
Il processo contro la schiavitù umana in Thailandia ebbe inizio dopo che nel 2015 furono scoperti 36 corpi in fosse comuni superficiali nel meridione thai a confine con la Malesia
Questi erano vittime di reti di trafficanti che sequestravano Rohingya birmani in fuga e li tenevano in squallidi campi di concentramento chiedendo loro poi cifre di riscatto per poter andare in Malesia.
Le cifre si aggiravano attorno ai tremila euro che i familiari erano costretti a trovare per far liberare il loro familiare o amico.
Durante il processo si è saputo che tra chi è morto c’erano anche bambini di 15 e 12 anni.
Si deve ricordare come simili fosse comuni siano state ritrovate dal versante malese del confine Malesia-Thailandia con la scoperta di un centinaio di corpi.
Mentre il grande processo, che dovrebbe durare 3 giorni per leggere 500 pagine di sentenze, sta terminando con le altre sentenze nei prossimi giorni, la Thailandia deve ancora rilasciare un rapporto completo sulle fosse comuni e le indagini forensi.
I gruppi dei diritti credono che questo processo contro la schiavitù umana in Thailandia, benché fondamentale, non ha colpito davvero la rete dei traffici. Dice Amy Smith di Fortify Rights: “Crediamo che quella repressione sia solo un colpo ad una rete di schiavitù ma quella rete è ancora molto attiva”.
L’attenzione di questo processo, secondo la Smith, è alquanto ristretta: “Ci attendiamo che ci siano molti più colpevoli fuori. Si tratta di affari enormi che coinvolge una somma enorme di denaro”
Sunai Phasuk di HRW dice: “C’è bisogno di maggiori condanne contro gli schiavisti come anche un maggior lavoro per riabilitare le vittime del traffico.”
A causa della lentezza del processo legale in Thailandia, ci vorrà molto tempo per sapere i dettagli del verdetto in un processo che poi è stato segnato dall’intimidazione dei testimoni, degli interpreti e degli investigatori della polizia.
“La Thailandia ne ha strada da fare per assicurare alle migliaia di persone torturate, trafficate ed uccise in questi ultimi anni la giustizia che meritano” ha detto Fortify Rights.
Thitinan Pongsudhirak della Chulalongkorn University dice che questo processo è la cartina al tornasole per il governo militare thailandese che è attraversato da molte controversie e scandali di corruzione.
“Complessivamente, questo processo deciderà se questo governo ha qualche eredità o vittorie durature e mettono molta enfasi sul processo per mostrare la loro credibilità”
Il governo thailandese nega che i sindacati criminali della schiavitù stiano facendo fortune ed afferma di aver eliminato quasi del tutto la schiavitù nel paese.
La Thailandia è sempre stata fonte, destinazione e passaggio per il traffico umano, fatto di uomini, donne e bambini che sono trafficati dai paesi confinanti più poveri per lavorare in Thailandia o in Malesia come manovali e lavoratori del sesso.
Fosse Comuni
Lo scorso mese il dipartimento di stato USA lasciò la Thailandia in osservazione al Livello 2, appena sopra quello più basso, nel suo rapporto annuale sul Traffico delle Persone, TIP, prché il paese non aveva fatto abbastanza per contrastare il traffico e la schiavitù.
Dice Scott Heidler di Al Jazeera: “Gran parte degli osservatori dei diritti umani sperano che ci saranno un prosieguo dei casi perché credono che si stia guardando ad un’area molto piccola. Questa fossa comune fu ritrovata nel 2015 con una rete che riforniva questi campi di persone che arrivavano dalla Birmania. Si spera che sia solo l’inizio e che ci saranno altri processi”.
Si deve ricordare che questo processo ha vissuto una fase di collasso quando il capo del gruppo di indagini thailandese Paween Pongsirin fuggì in Australia dove poi chiese asilo politico.
Infatti l’ex ufficiale di polizia disse di sentirsi in pericolo di vita a causa della presenza nella rete della schiavitù di figure influenti del governo, della polizia e dei militari.
Paween Pongsiri infatti poco prima della scadenza dei sei mesi accordati dal governo all’indagine fu nominato nella sede di polizia a Yala, dove quasi certamente si sarebbe trovato faccia a faccia con chi avrebbe potuto ucciderlo. Yala è anche una delle province più tumultuose della insorgenza meridionale thailandese. Questa fu l’ultima goccia che fece traboccare il vaso.
Il generale Prayuth poi si è anche espresso su questo verdetto invitando a non generalizzare e a non prendere di mira l’esercito per il solo fatto che uno è stato ritenuto colpevole.
“Ci sono tante persone in questa rete di traffico di schiavi. Non fate di tutta l’erba un fascio” ha detto Prayuth Chanochoa ai giornalisti.