Sin da quando è diventata indipendente dopo secoli di governo russo e sovietico, l’Uzbekistan ha visto qualche lento progresso economico. Restano comunque alti la povertà e la disoccupazione costringendo all’emigrazione tanti Uzbeki. Questo lascia gli uomini, le donne ed i bambini preda del lavoro forzato e della schiavitù sessuale.
“La sorella grande lavora in un ospedale di Mosca ed io bado ai suoi figli.” racconta Umida. “Lei è la sola a capire cosa è accaduto a me a Bangkok, non l’ho detto a nessun altro.”
La vita di Umida, nata in una famiglia grande e povera, è stata difficile. Sua madre morì nel 2000 lasciando suo padre, un muratore, a badare ai loro quattro figli.
“Fu duro senza mia madre” ricorda “le famiglie che avevano solo due figli avevano più figli”.
Quando aveva 28 anni, Umida incontrò una donna Uzbeka che le prometteva un buon lavoro in Thailandia. Umida non dice se sapeva di che lavoro si trattasse, ma spiega che accettò di andare nella capitale thailandese con la speranza di sostenere il figlio di sei anni.
Ma all’arrivo in Thailandia capì di essere stata imbrogliata. La donna che organizzò tutto le distrusse tutti i documenti. “Era una donna molto cattiva. Non mi diede né soldi né da mangiare. Potevo andare soltanto fuori per lavorare” racconta con calma Umida. La donna la costrinse a lavorare come prostituta per le strade di Bangkok.
Resa schiava per sesso
Molte delle strade di Bangkok centro sono piene di donne che se ne stanno in piedi a sussurrare ai passanti, sperando di attrarre il loro prossimo cliente. Le statistiche governative e delle ONG indicano che ci sono oltre 120 mila persone che lavorano nell’industria del sesso thailandese.
Alcune di queste donne sono diventate prostitute perché non hanno altro modo per fare soldi, altre sono state costrette ad entrarci e tante sono schiavizzate in Thailandia provenendo da altri paesi.
Annie Dieselberg che ha fondato e dirige Nightlight International, ONG che vuole aiutare le vittime della schiavitù e sfruttamento sessuale, dice che le autorità non prendono sempre la situazione seriamente. “Spesso le autorità non riconoscono la complessità della schiavitù sessuale. Non è così semplice come avere minorenni nel bordello. Potrebbe essere una donna adulta che passeggia per Bangkok costretta contro la sua volontà a prostituirsi”.
Angkhana Neelapaichit, una dei sette commissari per i diritti umani nominata dal Re per esaminare e descrivere atti che violano i diritti umani o che “non ottemperano agli obblighi dei trattati internazionali di cui la Thailandia è parte”, aggiunge: “Essenzialmente posso dire che trattare con la schiavitù sessuale tra i lavoratori del sesso, alla lunga è ancora una sfida per la Thailandia ed è difficile per le autorità trovare i reali colpevoli.”
Dopo alcuni mesi Umida provò a scappare, ansiosa di tornare a casa dal figlio. Riuscì a convincere uno dei clienti che provava simpatia per lei a darle denaro per tornare a casa”.
“Mi diede tanto denaro, e comprai qualcosa per mio figlio ed il biglietto d’aereo.” racconta Umida. Andò in segreto al consolato uzbeko che emise in suo favore un certificato per tornare in Uzbekistan. Quando arrivò all’aeroporto, una donna velata le si avvicinò. Si rivelò essere una trafficante. Era arrabbiata e minacciosa tanto che Umida si sentì senza potere davanti a lei. “Mi prese. Non sapevo cosa fare. Mi prese il passaporto e dovetti tornare a lavorare”.
Lavorò per altri cinque mesi ricevendo pochissimi soldi. La fecero stare in un appartamento senza doccia e alimenti.
“Avevo fame. Era solo quando avevo un cliente che potevo mangiare. Uscivamo ed andavamo a mangiare e a bere” racconta degli incontri con i clienti. “Poi finivamo in un appartamento o in un hotel”.
Scappare dalle grinfie del suo aguzzino
Umida intravide un’altra possibilità di scappare quando incontrò Emily Chalke, cofondatrice di Ella’s Home, una ONG che aiutava le donne ad uscire dalla schiavitù e dallo sfruttamento.
Chalke, che al tempo lavorava presso Nightlight International, incontrò Umida in un hotel di Bangkok conosciuto per gli scambi tra i lavoratori del sesso ed i loro clienti.
Chalke racconta che venne a sapere di Umida dopo che un’altra donna uzbeka le aveva detto che il passaporto di Umida era stato portato via.
“Tutti sapevano di lei nell’hotel come la donna che era nei guai.” dice Chalke.
Umida le disse che voleva scappare. Decisero di incontrarsi in un altro hotel e far finta di andare ad incontrare un cliente e da lì prese un tassì verso una casa rifugio.
“Era arrabbiata quando la incontrai, arrabbiata che le era stato preso così tanto.” dice Chalke. “Aveva i soli vestiti che portava ed un piccolo notebook dove aveva scritto quanto aveva dato al suo aguzzino, oltre diecimila dollari”.
Nightlight International organizzò il suo rientro a casa e denunciò il tutto alla polizia.
Il suo aguzzino fu arrestato e fu il primo arresto di un uzbeko che la polizia aveva fatto in quattro anni. Ma questo richiedeva una dichiarazione di Umida che era terrorizzata. “Dovetti andare in tribunale una volta. Avevo così paura di vedere quella donnaccia” racconta e aggiunge: “la gente intorno a me mi aiutò e riuscii a farcela”.
La sua aguzzina comunque, dopo aver pagato una cauzione, fu liberata e scomparve senza essere più processata.
Processo ai trafficanti in Thailandia
Il processo del 19 luglio, in cui la divisione della corte penale di Bangkok per schiavitù umana condannò 62 persone, tra i quali un generale dell’esercito, con accuse di schiavitù è stato il più grande processo contro la schiavitù nel paese ed una conquista senza precedenti per il governo militare thailandese.
Dieselberg dice che il governo attuale sta dando risultati migliori degli eletti predecessori.
“Quando cominciammo ad aiutare le vittime di schiavitù sessuale nel 2010, la giustizia sembrava onestamente lontana dalla nostra portata”. Pensa comunque che c’è bisogno di fare di più. “Sebbene i militari stiano facendo di più per affrontare la schiavitù, affrontano in primo luogo la schiavitù del lavoro, l’industria della pesca ed i minori”.
In molti casi le reti del traffico sono piccole, fatte di massimo cinque donne, mentre chi sfrutta il lavoro spesso ha un maggior numero di vittime.
“Molte grandi organizzazioni contro il traffico mancano di risorse umane e finanziarie per seguire i piccoli casi, così c’è più grande valore nel mirare ad un maggior numero di persone in un posto.” spiega la Dieselberg.
Neelapaichit è d’accordo: “Trattare con la schiavitù sessuale è molto difficile per la Thailandia. La Thailandia prova a mostrare di aver politiche per combattere il traffico ma ci sono ancora molti trafficanti liberi e che non sono perseguiti”
Ci sono miglioramenti nel dare sicurezza e servizi alle vittime, sente Dieselberg. “Al momento non è considerato ancora un beneficio per la vittima identificare il trafficante e portarlo in tribunale… la donna preferisce tornare a casa ed essere al sicuro”.
Su un centinaio di donne che la sua organizzazione ha aiutato, solo tre all’inizio hanno accettato di testimoniare. Si ebbero due processi ma nessuno ha comportato una condanna.
Dieselberg dice che spera che l’effetto di questi casi di alto profilo sarà un avviso ai trafficanti, ma aggiunge che loro cercano comunque altre strade per continuare il traffico.
“Manda un messaggio ma una legge fa la differenza solo se la si applica con continuità”.
Neelapaichit è d’accordo. “La Thailandia deve mostrare di voler davvero combattere la schiavitù umana e di non permettere ai colpevoli di andarsene a piede libero anche se i trafficanti sono thailandesi o sono ufficiali delle forze di sicurezza.”
Ci vollero tre mesi alla polizia per prendere informazioni utili al caso di Umida e per dare i documenti di viaggio, ma alla fine tornò in Uzbekistan dal figlio il 20 ottobre 2009.
“Sono a casa con lui che va a scuola tutti i giorni” dice fiera Umida del figlio che ora ha 14 anni. Ora aiuta la sorella più giovane a fare il pane e a prendesi cura della famiglia. E’ determinata ad esprimere quanto sia migliorata la sua vita ora dopo Bangkok.
“Dopo essere ritornata da mio figlio, ho trovato un posto dove vivere. Non voglio ricordare i tempi cattivi. Non ci penso. Ricordo solo la gente buona che mi ha aiutato e gli amici che ho avuto. La vita mi sorride tanto ora. Sono felice”
Aston Kobler, Al Jazeera