La città addormentata di Pak Beng, conosciuta per le lente barche che connettono il confine laotiano con la Thailandia all’antica capitale laotiana di Luang Prabang, si trasformerà alla fine di questo anno con il lancio della terza diga idroelettrica sul Basso Mekong.
A soli 180 chilometri le comunità thailandesi e le ONG che insistono su un’altra sezione del Mekong spingono perché si fermi la diga per prevenire gli impatti negativi sulla pesca, sui raccolti e sui mezzi di sostentamento.
La diga di Pak Beng costerà quasi 2,5 milioni di dollari e produrrà una potenza di 912 megawatt di energia con un progetto sviluppato dalla impresa cinese di energia, Datang Overseas Investment, ed esporterà il 90% della sua elettricità in Thailandia.
Partecipanti all’impresa finanziaria sono anche l’impresa thailandese Electricity Generating PCL, ed il ministero laotiano delle miniere.
Il progetto della diga fu attaccato in modo deciso durante il processo di consultazione di sei mesi a giugno, indetto dalla Commissione del Fiume Mekong, MRC, un’agenzia intergovernativa che mette insieme i quattro stati rivieraschi di Thailandia, Cambogia, Laos e Vietnam, allo scopo di uno sviluppo sostenibile delle risorse acquifere della regione.
Il gruppo di esperti del MRC ha ritrovato molti punti oscuri nel disegno della diga ed una mancanza di studi di impatto ambientale credibili, ha detto ad Asia Times l’esperto dell’Università di Can Tho situata nel delta del Mekong, Le Anh Tuan.
“Il Laos dovrebbe prendersi altro tempo per la consultazione e ritardare il progetto di costruzione per la diga a Pak Beng perché tutte le cifre dell’impatto ambientale del progetto sono molto vecchie, insufficienti e non seguono gli standard internazionali”.
Queste preoccupazioni non scoraggeranno gli sviluppatori della diga. La corsa alla costruzione di una cascata di 11 dighe sul percorso del Basso Mekong è tirata dalla costruzione cinese delle sei dighe a monte, ed anche dalla spinta che Pechino dà allo sviluppo a valle, nel Laos, trampolino per il Sud Est Asiatico continentale.
Mentre la Cina ha attirato con i suoi prestiti, gli aiuti e i progetti di costruzione tutti i paesi rivieraschi del Mekong come Cambogia, Laos e Thailandia, i critici dei progetti affermano che il danno ambientale è stato messo da parte nella fretta di incassare i ricchi progetti di investimento.
Il governo laotiano afferma che le entrate dalle esportazioni idroelettriche sono essenziali al fine di far decollare il paese dallo stato di paese più povero del ASEAN.
Incastonato nella terra ferma e sottosviluppato, il Laos ha mirato a diventare la fonte di energia idroelettrica della regione la cui domanda energetica è in crescita.
Il segretario permanente al ministero dell’energia laotiano, Daovong Phonekeo, sostiene che la diga di Pak Beng “promuoverà lo sviluppo economico e ridurrà la povertà.”
Unitamente alle sei dighe a monte del Mekong, che in Cina è chiamato Lancang, la diga di Pak Beng rafforzerà il controllo sull’idrologia della regione e l’egemonia nascente geopolitica di Pechino sul fiume più lungo e più strategicamente importante della regione.
La Cina non fa parte della MRC ed ha istituito una organizzazione rivale, Meccanismo di Coordinamento del Lancang Mekong, come quadro alternativo per la risorsa di acqua della regione.
La sfida maggiore alle dighe del Mekong è stata lanciata nella Thailandia settentrionale da una rete di ONG, che si estendono su otto province, conosciuta col nome Chiang Kong Conservation, secondo il nome della città di confine sul fiume.
Fondatore, e testimone di una causa penale contro il Ministero delle Risorse Idriche Thailandese ed il Comitato Nazionale del Mekong che hanno aderito al progetto della diga, è Niwat Roykaew.
“Accusiamo le agenzie dello stato thailandese di non aver portato avanti il proprio compito” dice ed insiste che le agenzie dovrebbero aver studiato gli impatti prima di sostenere il progetto della diga. Non sono state fatte audizioni in tribunale da quando è stata fatta la denuncia il giorno 8 giugno.
Gli esperti dicono che il tempo è essenziale. Lo specialista del WWF Marc Goichot afferma che il fiume ha ora raggiunto il punto di di non ritorno ecologico a causa di tutte le dighe costruite negli ultimi anni.
“La pesca sta perdendo, l’erosione del fiume cresce ad un tasso allarmante ed il Delta sprofonda” ha detto Goichot. “Sono molti i fattori che contribuiscono a questi problemi, come il cambio di uso del suolo, l’industria e l’agricoltura che si intensificano, l’estrazione di sabbia e pietre, ed ad aggravare il tutto c’è il cambiamento climatico. I principali sospettati però sono le grandi dighe.”
Agli inizi si sperava che la MRC, fondata secondo l’accordo multilaterale del Mekong nel 1995, sarebbe riuscita ad assolvere al mandato di proteggere la delicata regione del fiume. La prima Valutazione Ambientale Strategica sul Mekong, fatta dal MRC nel 2010, raccomandava una moratoria a tutte le dighe sul corso del fiume per dieci anni, mentre si tenevano altri studi scientifici.
Secondo il processo di consultazione creato con l’accordo del 1995, i grandi progetti infrastrutturali, come le dighe lungo il corso del Mekong, devono essere presentati al MRC a Vientiane per la consultazione e la revisione da parte degli stati membri.
Il Laos che firmò l’accordo si è rifiutato persino di considerare il rapporto, secondo Jeremy Bird, il capo esecutivo del MRC al tempo.
Il segretariato del MRC nel frattempo lasciò che il rapporto prendesse polvere, nonostante il fatto che il Vietnam e Cambogia sostenessero quanto trovato nel rapporto. Il conflitto nascosto sulla conservazione delle risorse d’acqua e i progetti di generazione di energia ha esso in luce il fatto che non c’è mai stato un buon governo condiviso ed una visione ambientalmente sana per il Mekong.
All’interno del MRC, le delegazioni ufficiali di Cambogia e Vietnam si erano in precedenza battute con forza contro la costruzione della diga di Xayaburi, un altro grande progetto idroelettrico sostenuto da Laos e Thailandia. La diga di Pak Beng, sostenuta dai governi laotiano e thailandese ed opposta dai paesi a valle, Cambogia e Vietnam, ha seguito lo stesso processo.
Agli occhi della società civile e dei paesi donatori del MRC, è scomparsa ogni speranza posta nel MRC di poter risolvere i conflitti ambientali e di risorsa acquosa ad ognuno di ogni nuovo processo consultivo bloccato. Di particolare preoccupazione è l’impatto sull’industria della pesca.
Secondo i dati del MRC del 2015, l’industria della pesca del fresco sul Mekong ha portato un contributo alle quattro economie dei paesi del Mekong pari ad 11 miliardi di dollari. Il pescato è una fondamentale risorsa proteica per la regione ancora povera.
Pham Tuan Pham, presidente esecutivo del MRC, ha ammesso che durante le consultazioni della Pak Beng che “le dighe sul fiume Mekong causeranno impatti certi agli ecosistemi di tutto il bacino”. Ha però anche fatto l’affermazione controversa secondo cui “l’energia idroelettrica sul Grande Mekong non ucciderà il fiume. Credo si debba comprendere questa cosa in modo chiaro”.
“Mi domando: Cosa vuol dire morto?” si è chiesto Philipp Hirsch, già direttore del Mekong Research Center dell’Università di Sidney, in risposta alla dichiarazione: “La prova principale mostra che l’intera cascata di dighe sul corso del fiume lascerà il Mekong estremamente menomato”
Secondo Hirsch la MRC sta facendo un gioco fin troppo cauto di provare a non offendere i governi piuttosto che avere cura del fiume. Pham Tuan Pham in una corrispondenza di email con Asia Times ha detto che “le mie affermazioni sono state estratte dal contesto originale”
L’organizzazione americana Stimson Center crede che ci sono varie alternative razionali redditizie all’energia idroelettrica, come il solare e l’eolico, per andare incontro ai bisogni energetici in rapida crescita della regione.
Brian Eyler, direttore del programma del Sudestasiatico di Stimson Center, sostiene la necessità urgente di ripensare la politica. “Proviamo ad allontanarci dall’energia idroelettrica”.
Mentre crescono le prove degli effetti negativi della costruzione delle dighe sul Mekong e la società civile accresce le sfide al potere statale che spinge per progetti redditizi,
Pak Beng sarà con tutta probabilità la prossima diga a bloccare il sempre più tenue flusso del Mekong
Tom Fawthrop, AsiaTimes