I pescatori del Bangladesh che si sono trasformati in trafficanti chiedono somme al di là delle possibilità della maggioranza dei rifugiati, costringendo tanti a consegnare loro i propri gioielli e minacciando altri per le somme da pagare. Lo hanno rivelato alcuni Rohingya a Buzzfeednews.
Di conseguenza alcuni rifugiati sono stati costretti ad elemosinare al di fuori della città portale di Cox’s Bazar per nutrire le proprie famiglie e per pagare i propri debiti ed evitare la vendetta dei trafficanti.
Reyhana Begum, una Rohingya di 25 anni, è tra le migliaia di rifugiati sulle rive del fiume Naf al confine col Bangladesh, stanca e sanguinante per aver camminato per giorni con il piccolo Enam ed il nuovo nato Mohammed. I soldati birmani avevano incendiato il suo villaggio, Nu Ru La ed i cittadini sono scappati con tutto quello che riuscivano ad afferrare.
Fu la suocera a tagliarle il cordone ombelicale con un rasoio quando Begum ebbe le doglie durante il cammino nella foresta. Giorni dopo Begum sanguinava ancora a causa del parto traumatico.
Quando giunse sulle rive del fiume non ebbe altra scelta che pagare il trafficante.
“C’erano così tanti che sono morti durante il viaggio, colpiti dai proiettili. E non c’era nessuno che li seppelliva” dice la donna.
I trafficanti domandano una somma immensa per Begum, l’equivalente di 50 dollari, il cui marito era un contadino e pescatore. Altri rifugiati hanno detto di aver pagato somme finanche a 120 dollari. Begum li supplicò di darle un passaggio promettendo di pagarli dopo.
Ora i trafficanti vogliono che sia pagato il debito.
“Il pescatore è venuti ieri ed oggi anche” racconta Begum da una costruzione vuota in un villaggio di pescatori a Shamlapur, a breve distanza da Coxz’s Bazar dove si è rifugiata. Quando le si chiede se ha paura, annuisce in silenzio.
Entrambi i piccoli si sono ammalati, con la febbre e la diarrea. Al suo fianco sul materasso, Enam è sdraiato col volto fisso a guardare il soffitto, mentre il suo petto si solleva e scende con uno sforzo doloroso. Mohammed è in braccio alla madre, delirante, gli occhi rivolti indietro.
“Morirà” dice Begum con lo sguardo fisso in avanti.
La violenza scoppiò lo scorso mese quando i militanti Rohingya, che si definiscono l’Esercito di Liberazione dei Rohingya dell’Arakan, lanciarono attacchi coordinati contro dozzine di posti di frontiera. Nella successiva repressione, i militari birmani si dice si siano uniti a buddisti del posto per radere al suolo e saccheggiare i villaggi Rohingya, molti dei quali sono stati rasi al suolo col fuoco. E’ una campagna che Amnesty International definisce come una campagna da terra bruciata.
La scorsa prima il presidente della Commissione dei diritti umani dell’ONU definì l’assalto ai Rohingya come “un esempio libresco di pulizia etnica”.
Da allora almeno 400 mila persone hanno fatto un viaggio pericoloso fino al Bangladesh, quasi la metà della popolazione Rohingya in Birmania, e molti di loro si sono affidati a pescatori che li hanno trasportati lontano dalle aree di conflitto.
La polizia di frontiera del Bangladesh ha condannato i pescatori come trafficanti ed ha bruciato alcune delle loro barche arrestandone alcuni che erano stati accusati di aver sequestrato persone. Ma i pescatori dicono che così li aiutano a salvarsi la vita e tanti Rohingya sono d’accordo vedendo quelle barche di legno, piene all’inverosimile, come l’ancora di salvezza che ha comunque un costo.
La Birmania blocca ancora l’accesso umanitario all’area e i lavoratori dell’aiuto non sono riusciti a raggiungere tanti Rohingya dispersi nel paese.
Lo spazio nudo dove Begum dorme è piena di famiglie indebitate con i trafficanti. Tra di loro c’è anche un’altra donna Jinara, anche lei di Nu Ru La, che tiene al seno un piccolo mentre racconta come supplicò gli uomini a tenerla in barca con i suoi sei figli prima che accettassero di essere pagati dopo. “So di molti che hanno passato la frontiera pagando 120 dollari e allora ringraziai il pescatore”.
“A Muangdaw stavamo bene economicamente” dice Jinira che descrive la sua casa di legno in Birmania con il giardino sul retro “Avevamo animali e risaie”
Sulla barca crollò esausta e ricorda che disse a chi voleva aiutarla “Voglio morire, lasciatemi morire”.
Ora Jinara è costretta ad elemosinare per ripagare il pescatore. “Sta qui vicino e sa che siamo qui dice Jinara riferendosi al pescatore che l’aiutò a passar il fiume.
Nel caos della fuga frettolosa dai villaggi assediati dai soldati, sono pochi i Rohingya che portavano con sé molti bagagli. Molte delle donne di fronte alle richieste dei pescatori erano costrette a dare la gioielleria. Tra i nuovi arrivi sulle spiagge del Bangladesh ci sono tante donne di ogni età i cui nasi non portavano più le pietre e gli anelli usati come piercing.
La scorsa settimana una dozzina di Rohingya appena arrivati dal distretto di Rathedaung si erano accampati sul ciglio della strada, a pochi metri dal punto dove il giorno prima erano sbarcati. I trafficanti che avevano trovato avevano chiesto inizialmente 100 dollari, ma accettarono quasi 25 dollari a passeggero. Così raccontava Rohi Mullah, un uomo di mezza età che guidava il gruppo.
L’uomo zoppicava per la ferita di una pallottola al suo piede destro. Il loro villaggio, Koe Tan Tauk, era stato bloccato da soldati e da buddisti Rakhine e loro passarono vari giorni nella foresta prima di riuscire a sfuggir ad un posto di blocco militare per raggiungere la costa.
Rohi Mullah raccontava che le donne avevano tutte dato le proprie pietre ed anelli ai trafficanti ed aggiunse: “Poiché non avevamo denaro diedero tutti i loro gioielli ai pescatori”.
Nonostante il prezzo enorme ed i pericoli del viaggio, tanti Rohingya solo loro grati. Senza i trafficanti sarebbero probabilmente bloccati dall’altro lato della frontiera tra l’esercito ed il fiume.
“Quando arrivai qui in Bangladesh ero felice di essermi salvata” dice Jinara che ha passato il confine con sei figli.
Attraversare il fiume Naf può esser pericoloso, come testimonia la morte di cinque bambini morti su tre barche che si capovolsero all’inizio di settembre. La maggioranza dei Rohingya, e la grande maggioranza delle donne, non sa nuotare.
Du Na, una donna del villaggio di Nu Ru La, racconta con gli occhi rossi dal pianto come i suoi genitori scomparvero quando la loro barca affondò. Riuscirono a salvarsi solo lei ed i tre figli.
Quel naufragio aggravò i dolori della famiglia. Du Na dice che suo zio era stato sequestrato dalla casa dai soldati birmani e dai buddisti Rakhine che gli avevano intimato di scavarsi la tomba.
Lei crede sia morto. “abbiamo pianto per giorni. Mia zia non sa come poter sfamare le sue figlie”
In un angolo dello spazio a Shamlapur sua zia Robida siede dietro le dieci figlie, molte delle quali siedono guardando avanti in silenzio. “Non riesco a pagare il pescatore ma talvolta mi chiedono dei soldi.” dice Robida. “Ci aiutano e talvolta ci danno da mangiare”
I pescatori che trasportano i Rohingya dalle spiagge birmane vedono il loro approfittarsi come un atto umanitario. Sulla spiaggia di Shampalur gruppi di uomini del Bangladesh se ne vanno in giro sulla sabbia.
“Per salvare una vita dobbiamo aiutare altri” dice uno dei pescatori giovani, Hamid. “Siamo felici perché questo è umanità”
Gli uomini all’inizio dicono di fare ai rifugiati un passaggio libero. Ma quando si chiede loro delle accuse di aver chiesto delle cifre ai Rohingya, alcuni di loro con rabbia si difendono. “Dobbiamo spendere dei soldi per andare lì e trasportarli” dice Hamid.
Hamid ammette di aver chiesto soldi ai Rohingya ma solo a chi poteva pagare, e poi critica la polizia di frontiera che la scorsa settimana aveva fermato alcuni bruciando almeno una decina di barche.
Le autorità del Bangladesh hanno raccontato di aver provato di fermar i pescatori che minacciavano la gente per far pagare loro il passaggio sul fiume. Khaled Mahmud, magistrato di Cox’s Bazar, ha detto che la città aveva condannato 170 persone per disturbo della quiete pubblica durante il corso delle attività di traffico umano da agosto. 165 persone sono state condannate al carcere con senteze di alcuni mesi, altri cinque sono stati solo multati.
Tirana Hassan di Amnesty International ha detto che c’è uno schema per cui i rifugiati che fuggono al conflitto sono spinti nelle mani dei trafficanti.
“Aprendo delle rotte sicure e legali per i rifugiati il governo del Bangladesh e la comunità internazionale avrebbero potuto evitare altre perdite di vite umane mettendo i rifugiati alla mercé dei trafficanti.”
Mentre in migliaia continuano ad attraversare il confine, l’ONU ha detto che molti altri potrebbero essere in attesa di scappare dalla Birmania.
“Abbiamo notizie dai rifugiati che sono già in Bangladesh secondo cui c’è un grande numero di persone, tra gli 80 mila ed i centomila, che hanno già abbandonato i loro villaggi ed attendono l’opportunità di attraversare il fiume Naf” dice Robert Watkins, coordinatore del’ ONU per il Bangladesh. “Siamo molto preoccupati che questa potrebbe essere una sottostima di quanti potenzialmente potrebbero passare la frontiera, dal momento che sappiamo che ci sono ancora le operazioni militari in corso nello stato Rakhine.”
Watkins ha detto che l’ONU non ha potuto fare nulla per aiutare i Rohingya nei confronti dei trafficanti perché i propri operatori non hanno accesso nella parte settentrionale dello Stato Rakhine.
“Se avessimo accesso potremmo dare assistenza umanitaria in loco e la gente non sarebbe dovuta scappare ed attraversare pericolosamente la frontiera con il Bangladesh”
Nel frattempo i Rohingya a Shamlapur fa di tutto per fare soldi, non solo per ripagare il debito ma anche per nutrire le famiglie o comprare le medicine.
Per Begum, la scelta è tra pagare i pescatori e portare i due figli all’ospedale per salvare loro la vita.
“Pensavo che quando i miei figli fossero diventati adulti, avrebbero dovuto andare a scuola” dice Begum, raccontando ancora una volta che la sua famiglia, quando vivevano in Birmania, aveva abbastanza da mangiare e non aveva mai dovuto dipendere dagli altri.
“Chiedo al mondo di ridarmi indietro il mio paese”
Poppy MacPherson, Buzzfeed