Uno dei grandi temi che il nuovo governo thailandese guidato da Yingluck Shinawatra dovrà affrontare è l’insorgenza musulmana nelle regioni del profondo sud di Yala, Pattani e Narathiwat che, iniziata nel 2004, ha fatto quasi cinquemila morti e decine di migliaia di feriti, con un grande peso di violazioni di diritti umani contro la popolazione malay.
La Thailandia di questi ultimi anni è assorbita in alcuni temi di democrazia, e ha lasciato da parte il problema del cosa fare in quelle province di frontiera.
Si è parlato tantissimo di legge di lesa maestà, della censura dei siti web, della mancanza di libertà reale di espressione, della repressione violenta a Rachadaprasong, eppure questa guerriglia sta mietendo molte più vittime. Se le notizie delle vittime e degli attentati raggiungono i grandi quotidiani, sono in pochi a discutere delle libertà civili per queste province meridionali e per chi si batte per un minimo senso di giustizia.
Una domanda ce la si deve porre: ma le province di Yala, Pattani e Naratiwat sono Thailandia, appartengono al regno thailandese come le province del Nordest e del Nord, oppure definiscono il limite di ciò che vuol dire “essere thailandese” (Thainess).? Un accomodamento in senso autonomista è davvero possibile in questo quadro politico e sociale attuale?
Il Sud thailandese si infiamma ancor di più di Newly Purnell
Qui a Pattani, nel meridione thailandese, gli insorti musulmani sembrano commettere atti sempre più raccapriccianti di violenza illuminando uno dei conflitti più oscuri presenti in Asia. I separatisti stanno montando attacchi dopo attacchi in questa regione coperta dalla giungla vicino al confine malese sin dal 2004 con 4700 persone morte.
Negli scorsi sei mesi gli attacchi, secondo Anthony Davis, un analista della sicurezza di stanza a Bangkok della ditta IHS Janes, “sono stati meglio pianificati e scelti, più sofisticati e professionali di quanto era stato fatto finora nel conflitto”.
Ma ora gli insorti fanno sempre maggior uso di IEDs e hanno innalzato il tipo di violenza. I monaci buddisti sono decapitati. Le scuole, il simbolo dello stato thai buddista, sono bruciate. Raffiche di mitra lanciate da auto in corsa lasciano morti tra i docenti e lavoratori della gomma. Bombe piantate su auto uccidono soldati e avventori. Davis nota che mentre nel 2010 ci furono tre casi di attacchi con bombe su auto nel profondo sud, da gennaio ci sono stati almeno sei attacchi del genere.
“Il fatto è che c’è una guerra in atto e sembra che sta diventando sempre più intensa e brutale” dice Davis. Si crede che la violenza dsia portata avanti da un piccolo gruppo operativo di insorti, alcuni dei quali dicono di combattere per una più basta autonomia dallo stato thailandese. Ma questi gruppi in ombra raramente si assumono la responsabilità dei loro attacchi, e il movimento sembra mancare di un fronte politico coerente, o forse un fine comune. Molti musulmani del posto di fatto dicono di non sostenere i fini separatisti dei gruppi.
La maggioranza degli esperti di sicurezza concordano che i gruppi sono largamente attenti a tirar via le autorità da Bangkok che annesse l’area nel 1902. Secondo i rappresentanti thai Al Qaeda è stata una fonte di ispirazione ma non ha assistito i militanti del sud.
Secondo Marc Askew, accademico di antropologia dell’Università di Melbourne che vive nella Thailandia meridionale, benché sia difficile dir quanti attacchi si verificano, le statistiche mostrano che il numero di eventi violenti in un mese è di fatto sceso ultimamente. “Ma la differenza” lui dice “è che il numero di vittime sembra più grande per singolo evento.” Il conflitto forse non ha attratto molta attenzione internazionale, ma gli attacchi stanno diventando sempre più mortali, indicando che gli insorti lavorano meglio sugli obiettivi che sono punti deboli della sicurezza, quali docenti che non possono essere protetti continuamente dall’esercito. Nonostante la presenza dell’esercito thailandese nell’area gli insorti non stanno perdendo terreno.
Una proposta di autonomia
In uno sforzo di guadagnare voti affrontando il problema della violenza, Yingluck Shinawatra ha visitato il profondo sud prima delle elezioni del 3 luglio che l’hanno eletta primo ministro. Con un hijab rosso in testa, la Yingluck che è buddista ha proposto di garantire alla nazione più autonomia. Ha suggerito di raggruppare in una “zona amministrativa speciale” le tre province meridionali di Pattani, Narathiwat e Yala con un governatore eletto. La proposta era sostenuta da studiosi e gruppi non profit del meridione thailandese che sostengono una maggiore decentralizzazione ed una maggiore indipendenza economica da Bangkok.
Ma il suo partito non ha vinto seggi nella regione, e la scorsa settimana, quando le è stato chiesto in parlamento di dare dei dettagli sul piano, il ministro con la delega di Yingluck è sembrato prendere le distanze, insieme all’amministrazione, dalla proposta, conducendo alla speculazione che il piano potrebbe alla fine essere abbandonato.
“Non è un buon inizio in termini di costruzione di fiducia tra il nuovo governo e la gente del meridione” dice Sunai Phasuk di Human Rights Watch che nota come mentre alcuni al meridione possano desiderare un maggiore controllo della regione, gli abitanti vedranno la proposta come un disegno politico.
Ancora, una qualche forma di autonomia è una opzione nei mesi o negli anni a venire? “Alla fine ci dovrà essere quasi inevitabilmente un certo grado di devoluzione del potere. La domanda è sotto quale forma e quanto tempo ci vorrà” dice Davis. “Ci sono ovviamente istituzioni potenti, quali il ministro degli interni e l’esercito reale che in questa fase non sembrano considerare cosa buona qualunque cosa che si avvicini all’autogoverno.”
Altri dicono che la mano forte delle forze di sicurezza è da biasimare per il fatto che incita alla violenza attuale per il modo di trattare la gente del posto ed i sospettati. Una soluzione è “molto diretta” dice Sunai “Il governo deve porre fine agli abusi dei rappresentanti dello stato ed indagare sul loro operato”.
Nell’incontrare i giornalisti a Pattani qualche sera fa, Udomchai Thammasarorat comandante in capo dell’esercito thailandese delle province meridionali, negò che la violenza sta facendo sempre più sanguigna. Diceva che l’esercito si attiene al suo piano di provare a promuovere la “comprensione” tra il governo e la popolazione locale, e sosteneva che lo sviluppo economico sarà di aiuto nel conquistare i cuori e la mente della gente.
Indicò alcuni programmi del governo quali quello per cui i medici dell’esercito forniscono alla gente del posto servizi medici gratis. In una recente visita, però, non c’erano persone che parlavano il Malay di Pattani da un lato, così la gente del posto che non parla Thailandese doveva portare con sé un parente che lo parla quando cerca un trattamento medico.
Tra i detenuti nella base militare c’era un detenuto di 30 anni musulmano che diceva di chiamarsi Amatsydee. Seduto sul letto della sua cella, spiegava pazientemente, parlando un thailandese passabile, che era stato tenuto in detenzione poiché le autorità lo accusavano di aiutare “un gruppo di gente cattiva”.
A chi gli chiedeva delle ragioni degli attacchi degli insorti diceva: “Non so cosa dire. Il mio thailandese non è buono” con lo sguardo verso la guardia robusta che gli stava di fianco.
Con la proposta di autonomia in questione, sembra improbabile che saranno intraprese nuove politiche o che l’esercito cambierà la propria tattica. Il pericolo di non cambiare la strategia nel profondo sud, secondo Davis, è un senso di compiacenza a Bangkok, la convinzione che le cose stanno andando meglio nel profondo sud. “Ma è un vero guaio laggiù e sta andando sempre peggio” sostiene Davis